Ci ritroviamo ancora una volta qui, nella stessa piazza, ad un anno di distanza da quella tornata elettorale che ha visto l’affermazione delle destre al governo nazionale così come a Triggiano. Ma rispetto ad un anno fa qualcosa, qui a Triggiano, è cambiato. Qualcosa di importante. Qualcosa che nulla ha a che fare con le logiche trasformiste, con le promesse non mantenute, con i cambi di casacca.

 E’ un qualcosa che nasce, invece, dal “sentire politico”, da un bisogno pressante di recuperare quella identità collettiva, vera, profonda, che altri stanno tentando di disgregare, di annacquare con provvedimenti iniqui, con scelte governative arroganti e indifferenti al rispetto dei bisogni e dei diritti fondamentali dei cittadini.

 E’ questo “qualcosa” che ci ha spinti ad essere qui stasera. E’ questo “qualcosa” che, con vigore, ha spinto le forze democratiche e progressiste di Triggiano, in nome di valori e principi comuni, a scendere in piazza, tra la gente, per difendere quello che è nostro, quello che è di tutti. Perché la sanità è di tutti. Perché di tutti è il diritto alla salute, sancito e garantito dalla nostra Costituzione. Ma qualcuno sta ponendo definitivamente fine ad un diritto universale e uguale per tutti, ad un diritto che credevamo indiscutibilmente inalienabile.

 Sulla sanità, il governo Berlusconi e quello della sua “protesi regionale” Fitto stanno compiendo con determinazione un’opera di privatizzazione pressoché totale. Se allo Stato spetta ormai il compito di garantire solo i livelli minimi di assistenza, le Regioni, grazie al passaggio delle competenze legislative in materia, si fanno la sanità che vogliono, scelgono di garantire solo i servizi che ritengono di garantire, preparando il terreno a privati ed assicurazioni.

 Il centro-destra pugliese è da anni, in tema di gestione della sanità, un chiaro esempio di sperpero del denaro pubblico, di proliferazione di clientele e favoritismi come culla di consenso elettorale per i politicanti e gli affaristi al governo, di assenza di pianificazione e di scelte organiche su dove investire e su cosa tagliare. Qualcuno a questo punto dirà: “ma i tagli ci sono, i tagli li stanno operando”. E’ vero. Ma i loro tagli non sono rivolti agli sprechi, alle clientele, alle consulenze d’oro, agli appalti affidati agli “amici”.  Quei tagli riguardano il servizio pubblico, le strutture socio-sanitarie, il personale medico e infermieristico. Quei tagli vengono inferti ai cittadini, ai lavoratori, ai disoccupati, agli ammalati. Sono i nostri diritti, i più fondamentali, ad essere tagliati, calpestati, derisi da una classe dirigente inadempiente e clamorosamente in fuga dalle proprie responsabilità. E ci si accorge solo oggi degli sprechi, dei buchi voraginosi di bilancio. Dov’erano gli organi regionali di controllo, gli assessori al bilancio e alla programmazione, l’ex assessore alla sanità Saccomanno (oggi assessore all’Ambiente) quando si sperperava, quando i bilanci delle AUSL facevano registrare costi esorbitanti?

 E oggi a pagare questa gestione sanitaria cattiva ed irresponsabile siamo solo noi. Come?

Aumentando l’IRPEF. Riclassificando i farmaci a pagamento, inserendo in questa famigerata lista farmaci di uso comune assolutamente indispensabili per la cura di patologie che colpiscono prevalentemente cittadini già in situazione di disagio, spingendoli verso la richiesta di ricoveri impropri pur di sfuggire ad una insostenibile spesa farmaceutica, con il risultato di gravare ulteriormente, e con spese che si potrebbero evitare, sul costo del servizio sanitario, anticamera necessaria per giustificare una politica di tagli, di rigore, di tasse!

Abbassando i Livelli Essenziali di Assistenza, con la conseguenza che alcune prestazioni, specialmente quelle di medicina fisica e riabilitativa, assolutamente indispensabili per anziani ed ammalati, possono essere erogate solo a pagamento. Un pagamento che per molte situazioni va a intaccare il già misero milione di pensione che, nonostante le strombazzanti promesse elettorali e lo spettacolare contratto nel salotto di Vespa, ancora non è stato dato a tutti gli aventi diritto.

E a questi provvedimenti iniqui e scellerati si aggiunge il terrorismo psicologico del servizio di emergenza 118, distribuito sul territorio regionale così come quel milione di pensione sul territorio nazionale: col contagocce! Un contagocce che ancora una volta finiamo per pagare noi!

E cos’è se non terrorismo psicologico il psico-thriller del Piano di Riordino Ospedaliero. Una reticenza qui, un rinvio là…sentiamo cosa mormora la gente, aspettiamo il risultato delle Amministrative, diamo la colpa ai direttori sanitari che non hanno trasmesso i dati in tempo, smentiamo l’Ares che dice che il piano è già pronto, non nominiamo i direttori generali perché non siamo ancora d’accordo sulla spartizione, e intanto….

Intanto un reparto viene smantellato e trasferito, un servizio alienato e spostato, un investimento, anche di miliardi, tenuto immobilizzato, un Presidio Ospedaliero declassato.

E i cittadini? In giro, alla ricerca del medico e dell’infermiere perduto, sfiancati da code ed attese interminabili negli Ospedali metropolitani che hanno accorpato reparti e servizi prima saggiamente e previdentemente distribuiti sul territorio.

E qui, cari cittadini triggianesi, permetteteci uno scatto d’orgoglio. Quello scatto che certamente è mancato a chi ha istituzionalmente il dovere di sovrintendere alla tutela della salute di noi tutti, vuoi perché è a capo dell’Amministrazione Comunale e vuoi perché esercita una professione sulla cui missione non ci possono e non ci devono essere dubbi.

Il nostro Ospedale è nostro! E’ di tutti quei triggianesi che hanno contribuito alla sua edificazione con il loro lavoro, la loro passione, le loro esigenze, i loro malanni.

E’ di tutta quella collettività del sud barese che, pur tra mille inconvenienti, tra scomodità che andranno risolte, tra impossibilità materiale a recarsi altrove, ne hanno fatto un presidio ospedaliero di sicuro riferimento. Questi cittadini, quella collettività che oggi, in piazza, caro Sindaco di Triggiano, le chiedono, e come a Lei anche agli altri amministratori dei comuni del Sud Barese, almeno per una volta di farsi tramite delle necessità della gente che Lei rappresenta ed amministra. La lotta per la tutela della salute e per il mantenimento dei servizi pubblici relativi non è una lotta che ha colore politico, è lotta di tutti, di tutti noi, ed anche sua, Signor Sindaco.

A Lei affidiamo la nostra voce, le nostre speranze, le nostre firme, raccolte tra migliaia di cittadini che non hanno guardato il colore delle nostre bandiere, ma hanno ascoltato la voce dei loro bisogni, e dei bisogni di quelli che verranno.

L’Ospedale Fallacara deve essere migliorato, non ridotto né, tanto meno, chiuso!

E questa volta, signor Sindaco, le chiediamo di essere il sindaco di tutti i triggianesi!