I periodi della fienagione:

 

Al fén (primo taglio): primi di giugno

L’argorda (secondo taglio): prima metà di agosto

Al tarzüal (terzo taglio): metà di settembre

Dopo il tarzüal, nei prati, su cui ormai cresce soltanto un’erba bassa chiamata ràta o quartarola, vengono portate al pascolo le mucche (i’s mèti fò i vàk).


1. Il taglio dell’erba

La falciatura (a sigàa) ha inizio normalmente al mattino molto presto (alle 4 per il fieno di primo taglio), per sfruttare le ore meno calde della giornata. L’erba tagliata viene raccolta in una lunga striscia o andana, detta ònsgia. Verso le 8,00 si fa una sosta per la colazione: ai falciatori (sigadür) le donne portano, in una gerla, pane nero, formaggio, salame e una zucca piena di vino.

2. Lo spargimento del fieno

L’erba viene quindi sottoposta ad essiccazione, sparpagliandola sul terreno, generalmente con l’aiuto di un tridente o di un rastrello (slargàa i ònsg; altrove: spantigàa). Questa operazione in genere viene compiuta dalle donne.

Se il clima è troppo umido, il fieno non perde tutta la sua umidità (fén basgiòk) e rischia di ammuffire o imputridire. Se invece l’aria è troppo secca il fieno, a causa della rapida essiccazione, si sbriciola (al fa i crüau). Per ottenere un buon fieno è quindi necessario attendere il tempo più favorevole possibile.

3. Il rivoltamento

Per consentire al fieno di asciugare perfettamente, è necessario rivoltarlo con il rastrello (vutàa al fén). Questa operazione viene compiuta nel primo pomeriggio

4. Ammucchiamento

La sera del primo giorno il fieno viene raccolto in cumuli (a mügiàa ‘l fén; a caplinàa u tarzüal) per preservarlo dall’umidità notturna. La stessa operazione è necessaria quando si avvicina un temporale. I mucchi del fieno di primo taglio normalmente sono più grandi.

5. Spargimento e rivoltamento al secondo giorno

Il mattino del secondo giorno il fieno viene sparso di nuovo (a slargàa i mücc) e lasciato asciugare fino al pomeriggio.


La raccolta

Quando il fieno, dopo lo spargimento e l’eventuale rivoltamento, è abbastanza secco, si raccoglie con il rastrello in lunghe andane (fàa i ònsc). A questo punto è pronto per essere trasportato nel fienile (la cassìna dal fén). In montagna a questo scopo si usa la gerla a steli radi (scivirùn), mentre in fondovalle una volta si usava il carro a due o a quattro ruote (al càra dal fén) trainato da un asino. Chi non possedeva un asino usava invece un carretto a due ruote trainato a mano.


La conservazione

Il fieno raccolto viene quindi trasportato nel fienile (cassìna dal fén), che di solito si trova nel locale soprastante la stalla (cassìna di vàk). Lì viene adeguatamente ammassato e lasciato fermentare (a ciapàa al boi). D’inverno, poi, sarà fatto scendere direttamente nella stalla (a siàa sgiü) attraverso una botola (fnèr, altrove fenèr, dal latino FOENARIUM).

Anticamente si facevano anche dei pagliai all’aperto di forma conica (la mèe, dal latino META).

 

Falce da erba (mèula)

Usata per falciare l’erba (sigàa l’èrba) in piccoli appezzamenti oppure in montagna, su pendii impraticabili. E’ costituita da una lama d’acciaio semicircolare, larga 3-4 cm, col filo all’interno. Veniva usata anche per mietere il grano: il suo nome dialettale, mèula, deriva, infatti, dal latino METULA, collegato al verbo METERE “mietere”.

Il manico (mànik) è per lo più di legno, ma in qualche caso può essere fatto di dischi di cuoio sovrapposti.

Falce fienaia (ranza o sighèzza)

Usata per falciare l’erba in prati pianeggianti o comunque di facile accesso, è formata da:

  • una lama d’acciaio arcuata, lunga 60-90 cm che termina a punta;

  • un manico lungo (falchéer, dal latino FALCARIUM);

  • due impugnature (mànik);

  • un anello di ferro (véra o vèrgna);

  • un cuneo (cügn) con cui si fissa la lama al manico.

La foggia può essere più o meno diversa a seconda delle località.

Cote (cùut)

Serve per affilare la lama (cudàa la rànza) durante lo sfalcio dell’erba. Una volta era di pietra, oggi invece è fatto di carborundum, un materiale molto duro ottenuto trattando in forno elettrico silice e carbone.

Contenitore della cote (cuér)

Chiamato anche cudèe nei paesi vicini, deriva il suo nome dal latino COTARIUM. Gli esemplari più vecchi sono fatti con un corno bovino, che veniva tenuto alla cintola dal falciatore. Esisteva però anche il cuér di legno, la cui base appuntita consentiva di conficcarlo nel terreno. Gli esemplari più moderni sono fatti di latta o, addirittura, di plastica. Normalmente il cuér viene riempito d’acqua (per l’affilatura) e di erba, in modo che la cote non venga sballottata mentre il falciatore si muove.

Martello (martìal)

A differenza dei martelli normali usati per conficcare chiodi, questo attrezzo può avere due penne, cioè due estremità sottili, con cui si batte la lama sull’incudine a testa piatta. Se invece l’incudine è a testa sottile, il martello terminerà con due bocche, cioè con due estremità piatte.

Incudine (incünsgiul)

Nella sua forma più semplice e antica, ha l’aspetto di un grosso chiodo a testa piatta quadrata, che viene conficcato in un tronco disteso a terra o inserito in un foro praticato in un masso. Su di esso si appoggia la lama della falce per procedere all’affilatura con il martello (martlàa la ranza). Altri esemplari hanno la forma di una L, con estremità appuntita. In questo caso si usa un martello ad estremità piatta.

Rastrello (rastìal)

Fabbricato per lo più in legno di nocciolo, è formato dal manico (rastigola) e dal regolo (pèci), in cui sono inseriti i rebbi (dènt). Ogni tanto è necessario sostituire gli elementi sottoposti a maggiore usura, cioè i denti, che vengono foggiati a mano con l’ausilio di un coltello oppure della biruléra.

Forca fienaia e tridente (forca, trìant)

Quello con due rebbi o denti è chiamato forca, furcùn (dal latino FURCA) ed è usato solitamente per mettere il fieno sul carro. Il tridente (trìant) consente invece un uso più ampio: serve per ammucchiare il fieno, trasportare il letame ecc.

Tagliafieno (fèr da taiàa ‘l fén)

Strumento di ferro con manico di legno, serviva per tagliare una porzione dalla massa di fieno pressato (la mòta dal fén) che era conservato nel fienile (cassìna dal fén).


Gerla a intreccio fitto (scivìara)

Il nome latino (CISTA CIBARIA) ci ricorda che la sua funzione antica era quella di trasportare cibarie. La scivìara (chiamata in Ossola anche scivéra, ciuéria, svéra ecc.) è usata soprattutto dalle donne e serve per il trasporto di fieno, erba, letame, patate ecc.

E’ formata da una struttura di stecche di nocciolo o di castagno (còst) inserite in un’assicella rettangolare, che serve come fondo, da cui sporgono le estremità delle quattro stecche principali (cautsùi). Questa struttura viene quindi rivestita con un intreccio di verghe tagliate per il lungo (lancìstar). Alla cesta sono applicate due cinghie fatte di verghe attorcigliate per il trasporto a spalla, che in Ossola sono chiamate in genere basgialùi, a Mergozzo palnài e nel Verbano baréen.

Gerla a intreccio rado (scivirùn)

Attrezzo usato per trasportare erba e fieno, soprattutto in montagna, ma anche fogliame (stràm) oppure, sporadicamente, oggetti ingombranti come pentole, sacchi pieni ecc.

E’ fatto di rami per lo più di betulla (ràk ad bèula), scortecciati e quindi intrecciati, fissati in fondo a un telaio di legno e tenuti insieme da un giro di rami intrecciati (la garlànda). Le cinghie sono come quelle della scivìara, collegate da un’assicella (sgiuèt).

In area italiana è presente soltanto in una zona ristretta dell’arco alpino: Svizzera italiana, Ossola, Val Sesia, Alpi lombarde.

Una gerla piena d’erba o di fieno è detta da mèz (in altre zone dell’Ossola ràas, rasùn).

La diffusione di questo strumento è limitata alla catena alpina.


Bastone con fune (bisvìara)

E’ un sistema arcaico di trasporto del fieno, praticato soltanto negli alpeggi. La balla di fieno veniva legata ad un bastone mediante una corda, e così trasportata fino alle baite. Sulle montagne premosellesi l’usanza venne abbandonata agli inizi del Novecento.

Cesta (cavàgn)

Può servire per il trasporto di piccole quantità di erba che viene falciata con la mèula. Il suo nome deriva da una parola latina ricostruita, CAVANEUM, da CAVUS “vuoto”.


Carro a quattro ruote (càra dal fén)

Usato fino a circa vent’anni fa per il trasporto del fieno in fondovalle, era trainato da un asino o da un mulo, più raramente da una mucca. Durante il raccolto del fieno, una persona si metteva sul carro e sistemava il foraggio che gli altri le passavano con il tridente (fàa sü al càra). L’operazione richiedeva una certa esperienza ed abilità, per fare in modo che sul carro si potesse mettere quanto più fieno possibile. Al termine, la massa di fieno, ammucchiata tra le quattro stanghe verticali del carro (i staurèl), veniva legata con una corda doppia, e quindi tesa attorcigliandola intorno ad un cilindro di legno (al tùarn), sistemato sul retro del carro. Nel tùarn venivano fatte passare delle sbarre di ferro, i parsèl, che erano usate come leve. Una di queste serviva a bloccare la corda (pagàa) alla tensione voluta.

 

Carro a due ruote (carèt a màn)

Serviva per il trasporto dell’erba e del fieno in fondovalle ed era trainato da una persona oppure da un asino. Durante la raccolta del fieno, per tenerlo in posizione orizzontale veniva calato un paletto (batilòk) che si trovava agganciato sotto il carro. Un altro sostegno a “V” (bork) era messo invece dietro il carro. Il fieno andava disposto a regola d’arte, altrimenti il carro rischiava di rovesciarsi (imbursàs).


 

 

Si tratta di una bevanda molto sostanziosa che veniva consumata soprattutto in estate, al ritorno dai lavori della fienagione.

 

 

 

Bibliografia: 

P. Scheuermeier, Il lavoro dei contadini;

Rina Chiovenda Bensi, Intervista ad uno “scivirat”, Oscellana anno XXVIII