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Regina di francia

di Silvia 

Gli eventi stavano precipitando. Nessuno si sarebbe mai aspettato che si sarebbe giunti a questo stato, men che meno lei. Regina di Francia. Non avrebbe mai pensato che quella corona avrebbe significato solitudine e paura. Lei, prima circondata da cortigiani, amata dal popolo, ora era completamente sola. Alcuni nobili erano fuggiti all'estero, compresa la contessa di Polignac, che per anni le era rimasta al fianco, condividendo i passati splendori della brillante corte di Versailles. Colei che sola avrebbe potuto confortarla e proteggerla, ormai non c'era più.

Sua Maestà il Re era in riunione con alcuni dotti gentiluomini. Non si doveva cedere la guida dello stato ai rappresentanti del popolo. Non si doveva lasciare che fossero loro a decidere delle sorti del regno e dei regnanti. Certo, avevano ben dimostrato di essere forti, di essere un popolo intero, unito nel motto che recitava "Liberté, Egalité, Fraternité". Avevano dato l'assalto alla fortezza della Bastiglia ed erano riusciti a prenderla in poche ore. Cosa volevano ancora quei fanatici dei loro rappresentanti? Che Sua Maestà concedesse loro una Costituzione? La situazione era invivibile, a Corte, a Parigi, in tutta la Francia. Non si stava tranquilli in nessun luogo.

Da poco si erano dovuti trasferire alle Tuileries. Il 5 ottobre 1789 migliaia di donne si recarono a Versailles da Parigi, chiedendo il pane per i loro figli. Trascorsero la notte all'aperto; la mattina dopo entrarono nel palazzo. Per permetterle di rifugiarsi negli appartamenti del Re, alcuni dei suoi soldati si fecero addirittura uccidere. Si affacciò al balcone e salutò la folla, inchinandosi a loro e dando prova di grande coraggio. Fu quel giorno che la famiglia reale si trasferì da Versailles al vecchio palazzo delle Tuileries. Il palazzo non era abitato da parecchio tempo, ovunque dava l'idea di decadimento che, di certo, anche la monarchia francese offriva al resto dell'Europa.

Maria Antonietta volle recarsi nella stanza dove, ignari di tutto, Louis Charles, Delfino di Francia, e sua sorella maggiore Marie Thérèse giocavano, sorvegliati dalla governante. Quando si avvicinò alla sala, restò sulla porta. Gli occhi le si erano riempiti di lacrime e non voleva che i suoi figli la vedessero piangere. Cosa ne sarebbe stato di loro? Aveva già perso due bambini, non voleva perdere anche loro. Erano ormai l'unica cosa bella che le rimaneva.

Tornò nella sua stanza, dove un magro fuoco scoppiettante nel caminetto avrebbe dovuto riscaldarla in quel pomeriggio di gennaio. Si sentiva terribilmente sola. Aveva freddo. Le continue tensioni e le rivolte le facevano paura. Sapeva che sarebbe stata una facile vittima di quel patriottismo che i francesi volevano dimostrare. L'"Autrichienne", come veniva chiamata sin dal suo arrivo in Francia, non era mai stata ben accetta. Sua sorella Carlotta le aveva scritto più volte per tranquillizzarla: i napoletani deridevano anche lei. In un'ultima lettera le aveva scritto che anche a Napoli c'erano continui contrasti, venivano pubblicati libelli sulla famiglia reale, ma il popolo non era affatto organizzato e le piccole rivolte erano presto sedate. A Parigi i rivoltosi invece avevano validi rappresentanti e potevano contare anche sull'appoggio di alcuni nobili.

Andò a sedersi al piccolo scrittoio. Era decisa a non farsi prendere dal panico che l'attanagliava.

Oscar. Se solo fosse stata ancora al suo fianco. L'avrebbe aiutata, consigliata. Ma Oscar non c'era più. Se n'era andata per sempre. Se avesse saputo che non sarebbe più tornata, quel giorno che si erano salutate per l'ultima volta a Versailles, non le avrebbe permesso di andar via. Nel cuore sapeva che quello di Oscar era un addio definitivo, ma si era illusa che fosse solo un arrivederci.

In quei mesi aveva pensato spesso alla sua amica. Si, la sua amica. L'unica nella sua vita. La persona più leale e sincera che avesse mai incontrato. Sebbene fossero di carattere diverso, la loro era stata un'amicizia disinteressata, intensa.

Tagliò una penna nuova e la intinse nell'inchiostro. Cominciò a scrivere, sperando che i bei ricordi la sollevassero un poco dall'ansia.

 

 

Al comandante della Guardia Metropolitana di Parigi Oscar François de Jarjayes

 

Carissima Oscar,

È passato tanto tempo dall'ultima volta che ci siamo incontrate. Quante cose sono cambiate da allora. In pochi mesi mi sento invecchiata di anni. Sembra essere passato chissà quanto tempo da quando ci siamo conosciute. Ricordate quel giorno di aprile di vent'anni fa? Com'ero ingenua allora. Non appena varcai la frontiera tra l'Austria e la Francia credetti di potermi sottrarre dai doveri di nuova Delfina di Francia, travestendomi da cameriera e allontanandomi da sola dal padiglione eretto per accogliermi. I miei nemici non attesero molto; decisero subito di eliminarmi e se non foste intervenuta voi, mi avrebbero ucciso di certo. Fu allora che ci conoscemmo. Rimasi affascinata dalla vostra figura. Cavalcavate al fianco della carrozza che mi avrebbe condotta al palazzo di Versailles. Eravate così bella nel sole del tramonto. Fu Mme de Noailles a dirmi che eravate una donna. Rimasi stupita: una donna che comandava i soldati. A Vienna non avevo mai udito una tale assurdità. Mi spiegò che fu vostro padre ad educarvi come un maschio e che aveva di certo raggiunto un eccellente risultato, perché, benché giovanissima, mi avevate appena salvato la vita, mostrandovi decisa e sprezzante del pericolo. Da allora, mille altre volte sarei caduta in attentati e in ogni sorta di tranelli tesi da chi mi voleva male, se voi non ci foste stata. Avevamo la stessa età, ma voi eravate più matura di me. Eravate più acuta, conoscevate meglio la realtà. Mi mettevate in guardia dai falsi amici, ma io non sempre vi ho ascoltato. Se l'avessi fatto, probabilmente, oggi sarei meno amareggiata perché avrei saputo di non potermi fidare di loro.

Quanti bei momenti passati insieme, Oscar. Quanti miei capricci avete assecondato. Mi sconsigliavate dal commettere tali azioni, ma io vi obbligavo ad accontentarmi perché sapevo che avreste obbedito ai miei ordini. Dico ordini, in quanto tali sono i desideri di una sovrana quale io ero e sono tuttora, ma spero, Oscar, che non vi abbia mai costretta a fare cose che vi rincresceva troppo fare. Addirittura, un mio capriccio rischiò di costarvi due volte la vita: una volta, perché il defunto Re Luigi XV, che riposi in pace, ritenne responsabile André di quell'incidente a cavallo e voi sareste stata pronta a morire al suo posto, la seconda volta perché, perdonata da Sua Maestà, ma gravemente ferita a causa della caduta, rischiaste di morire dissanguata. Vostro padre era a corte, quando veniste portata a casa priva di sensi. Chiesi che venisse avvertito immediatamente ed egli, appena appresa la notizia, chiese a Sua Maestà di poter lasciare il palazzo per correre al vostro fianco. Sua Maestà rimase colpito dalla sua richiesta e credo si rese conto della preoccupazione che provava, perché acconsentì subito. In quel momento credo di avervi invidiato. Voi eravate in pericolo e vostro padre vi era vicino. Capisco che vostro padre non sarà stato troppo affettuoso con voi, come lo è stato con me il mio, ma almeno poteva esservi accanto. Sapete che mio padre è volato al cielo quando io ero ancora piccola e che nemmeno mia madre, pace alle loro anime, sarebbe potuta venire al mio capezzale se ne avessi avuto bisogno. Voi invece avevate un padre e una madre che, a modo loro, vi volevano bene e vi erano accanto. Con grande gioia di tutti vi riprendeste presto e tornaste al mio servizio. E ricordate quella volta che vi chiesi di accompagnarmi alla festa in maschera a Parigi? Fu là che conobbi il conte di Fersen. All'inizio ebbi l'impressione che non andaste troppo d'accordo con lui, ma poi non so cosa vi abbia fatto cambiare atteggiamento nei suoi confronti. Mentre voi riuscivate a leggere nel mio cuore, io non sono mai riuscita a leggere nel vostro e, forse, non ci è mai riuscito nessuno.

O forse ci riusciva André.

Ma anche voi, cara amica, mi avete dato delle preoccupazioni. La mattina che venni svegliata e mi dissero che avevate sfidato a duello il duca di Germain, o lui aveva sfidato voi, non so bene, non sapete che paura che mi avete fatto prendere. Mentre in carrozza cercavo di raggiungervi in tempo per fermarvi, mi chiedevo se sapevate con chi avevate a che fare. Il duca di Germain aveva di certo molta esperienza in fatto di armi da fuoco; so che anche voi non eravate da meno, ma non potevo pensare a come sarei vissuta se vi fosse successo qualcosa. Avrete capito che allontanarvi per un mese dalla corte era una punizione necessaria, soprattutto perché i duelli sono proibiti e non potevo lasciar passare una cosa del genere, ma di certo chi ne ha risentito di più sono stata io. Credo che voi l'abbiate presa piuttosto come una vacanza forzata. Seppi da vostra madre che, sebbene non avreste dovuto lasciare il vostro palazzo vicino Versailles, vi recaste con André ad Arrès. Fui io a non resistere e vi concessi di tornare a corte prima della fine del mese.

Non seppi cosa pensare quando mi chiedeste di lasciare la Guardia Reale. Prendeste il comando dei soldati della Guardia Metropolitana, gente rozza, plebea. Chiedevo spesso di voi, del vostro operato e, con mio sollievo, non apprendevo che elogi nei vostri confronti. Riusciste subito a conquistare la loro fiducia e alcuni di loro non hanno esitato ad opporsi al generale de Bouillé, che aveva fatto in modo di accusarvi di tradimento. Tutto ciò avvenne in un periodo di grande confusione. Gli Stati Generali erano stati aperti, poi sciolti. Per me coincise con un periodo di profondo dolore per la perdita di mio figlio Joseph. Almeno a lui sono state risparmiate queste umiliazioni, queste sofferenze. Non dimenticherò mai la felicità che gli avete donato. Lo portaste fuori a cavallo, un giorno. Lo rendeste felice e nei giorni seguenti continuò a parlare di voi. Volle che gli raccontassi le vostre imprese mentre eravate al mio servizio e ricordo che un giorno mi chiese se avesse potuto sposarvi. Io gli risposi che, quando fosse diventato re, avrebbe potuto fare quello che avrebbe ritenuto giusto. Povera creatura. Quanta forza gli donaste. In voi vedeva il coraggio, la forza, la bellezza. Sopportò le sofferenze della malattia con grande coraggio, perché voleva crescere forte per potervi sposare, ma la sua volontà non fu sufficiente a salvarlo.

Chissà poi se un giorno vi sareste sposata con qualcuno. Non riesco ad immaginarvi sottomessa ad un uomo, ma sono certa che l'amore vi abbia trascinata con sé. Per caso appresi che vi eravate ribellata, che con alcuni uomini della vostra guardia avevate affiancato il popolo in rivolta. Vi facevate chiamare semplicemente Oscar François, rinunciando ai vostri privilegi aristocratici. Ignoro quale sia stata la causa del vostro cambiamento, ma so che pur rinnegando la vostra nobiltà di nascita, il vostro cuore è rimasto nobile. Per questo non ce l'ho con voi, non posso ritenervi una traditrice. Avevo tante preoccupazioni, Oscar, ma la prima eravate voi. Due o tre giorni dopo la presa della Bastiglia, convocai vostro padre nei miei appartamenti. Quando entrò nella sala chiesi ai presenti di uscire e di lasciarci soli. Quando tutti se ne furono andati, invitai vostro padre a rialzarsi e a sedersi davanti a me, su una sedia che gli porsi io stessa. Credo che immaginasse il motivo per cui desideravo parlargli in privato, poiché vidi i suoi occhi velarsi di lacrime. Vi giuro, Oscar, che mai avrei creduto che un uomo come il generale Jarjayes potesse piangere, ma di certo lo ha fatto di nascosto da tutti, per voi. Mi si gelò il cuore. Intuivo. Intuivo cosa vi era capitato. Trassi un profondo respiro, di cui, certamente, egli si accorse, ma non mi importava di mostrarmi distaccata e dignitosa di fronte a lui, non in quel momento. Gli domandai se avesse notizie al vostro riguardo. Le sue mani tremarono quasi impercettibilmente mentre mi comunicava la vostra morte. Chiusi gli occhi, cercando nella mente la vostra immagine. Quando li riaprii, vostro padre continuò. Mi disse che avevate deciso di seguire André, il vostro uomo. Per un momento, vi immaginai felice, al suo fianco. Sapevo che, alla fine, l'amore avrebbe rapito anche il vostro cuore. L'immagine svanì in un attimo, perché realizzai che non aveste potuto essere felice a lungo. Forse una notte, una notte soltanto. Pregai vostro padre di raccontarmi tutto quello che sapeva su di voi. Credo sia stata anche per lui l'occasione di sfogarsi. Mi parlò di quando veniste accusata di tradimento, che avrebbe voluto uccidervi e che, prima che arrivasse il mio perdono, André lo aveva fermato e aveva dichiarato davanti a lui i sentimenti che da anni provava per voi. Avrebbe voluto fuggire con voi, sposarvi. Poi veniste travolti dalla furia della rivoluzione che stava prendendo vita. Fu uno dei vostri soldati che si recò da vostro padre e gli parlò degli ultimi avvenimenti. Decideste di abbandonare l'uniforme per seguire André, ma i vostri soldati vi avrebbero voluto ancora al loro fianco. Nei primi scontri alcuni di loro morirono, e, al tramonto, anche André fu colpito al petto da una pallottola. Rimaneste al suo fianco finché egli morì e la notte voleste passarla da sola, lontana da tutto e da tutti. La mattina dopo, però, eravate ancora lì, pronta per portare avanti quegli ideali per cui il vostro amato aveva combattuto ed era morto. I soldati della Bastiglia non ebbero pietà di voi e vi uccisero in quella maniera orrenda. Questa volta, Oscar, non potei fare nulla per salvarvi la vita. E non posso nemmeno portare un fiore sulla vostra tomba. Posso solo pregare per voi e sperare che quello che vi è stato negato in vita, vi sia dato adesso. Voglio immaginarvi come quando vi vidi la prima volta, splendente nel tramonto, al fianco del vostro André. Voglio immaginarvi così.

Sento che non tarderà ad arrivare il giorno in cui mi ricongiungerò a voi . Colmerò l'attesa portando sempre nel cuore il vostro ricordo e quello di André.

Questa volta, amica mia, non è un addio. E' un arrivederci.

 

Maria Antonietta

 

Quando firmò il foglio non seppe spiegare cosa l'aveva spinta a scrivere quella lettera. Era del tutto inutile, perché Oscar non sarebbe più tornata. A volte bussavano alla sua porta e si aspettava che le annunciassero il Comandante Oscar François de Jarjayes, ma poi rifletteva un attimo e capiva che ciò non sarebbe più stato possibile.

Si avvicinò al caminetto e gettò la lettera nel fuoco. Restò a guardarla finché la fiamma non la consumò del tutto, riducendola ad un pugno di cenere.

Bussarono. Disse di entrare.

"Bambini, date la buona notte a vostra madre."

Maria Antonietta abbracciò i suoi due figli e diede loro un bacio. Ora doveva andare avanti per loro. Perché era una madre. Perché era la Regina di Francia.

*  fine *

Silvia, 2 - 3 dicembre 2000

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