L’aspetto archeologico del Barigadu propone vestigia di un lontanissimo passato che si perde nell'età preistorica. L'altissima concentrazione di necropoli a Domus de janas, le "case delle fate" o "delle streghe" della tradizione popolare, testimonia che anche quest'angolo di Sardegna era abitato in epoche remote e fa capire l'importanza della sua posizione geografica vicino al fiume Tirso, che da sempre ha rivestito un ruolo peculiare, sia come via di comunicazione, sia per la preziosità di quell'elemento naturale che è l'acqua. Nel Barigadu non vi è paese che sia privo di domus: la loro presenza attesta la diffusione dei culto funerario tipico delle genti dei Neolitico, soprattutto della Cultura di Ozieri (f ine IV- metà dei V millennio a.C. che seppellivano i loro del unti all'interno di cavità scolpite nella roccia e presumibilmente proprio la tenera pietra trachitica, diffusissima nel Barigadu, ha consentito di creare un numero elevatissimo di necropoli.

Realizzate su costoni rocciosi, le Domus de janas servivano per garantire ai defunti una continuità tra la vita e la morte, rappresentata dalla presenza dei corredo funerario con oggetti della vita quotidiana (vasi, piatti, etc.) messi accanto ai corpi deposti in posizione rannicchiata o fetale per simboleggiare il rito in seno alla Dea Madre, dea femminile della fertilità, protettrice dei defunti. La Dea Madre ha come partner maschile il Dio Toro raffigurato con le protomi o le corna.

           Le Domus De Janas...

Nel Barigadu sono attestati alcuni esempi: si tratta delle domus di Sas ArzoIas de Goi a Nughedu S. V e della splendida domus di Grugos a Busachi.  In quest'ultimo centro il numero di domus è elevatissimo e sono concentrate a Cottejana, Pardischedda, Maniele, Contra, S'Atza 'e Pranu. Altre necropoli si trovano ad Abbasanta, a Neonelí in loccilità Puleu, Samugheo, Ula Tirso, Allai e in località Domigheddas a Fordongíanus. Ad Ardauli le domus situate in diverse località, come Muruddu, Iscala Mugheras e altre, sono conosciute con il nome di Mausoleos, termine che ricalca la parola latina mausoleum (tomba monumentale) che coglie con precisione la destinazione funeraria di queste grotticelle.

 

I   PRIMI   ABITATORI

Questa regione non poteva certamente per sempre rimanere nel suo stato silvestre. Appena conosciuta essa diventerà proprietà dei primi esploratori che, in seguito, vi stabilizzeranno la loro residenza. Chi siano stati i primi ad occuparla non è facile affermare; è da ritenere però che i primi ad occuparla siano stati sardi di origine romana o romanizzati, in cerca di selvaggina e che siano entrati dalla parte dei fiume Tirso. Questa ipotesi può essere avvalorata da tre particolarità:

La prima può dedursi dall'antica foggia dei vestito maschile degli abitanti di questa regione, comune a quella degli antichi romani e dei primi abitatori della Regione, detto Curittu o Quirittu (da Quirino, Romolo, fondatore di Roma), o da Cures, città dei Sabini, i cui abitanti o Quiriti, dopo l'alleanza tra Romolo e Tazio, secondo Cicerone, si fusero coi Romani, fondando un unico popolo; o da Corium = corzu (cuoio), perchè il farsetto che in questa regione si usava Fino al 1837 circa, e che scendeva quasi fino alle ginocchia, con calzoncini fino ai polpacci delle gambe, era di cuoio, o conciato a corto pelo. Così erano anche le vesti degli antichi profeti, in pelle di capra o di pecora (in melatis et pellibus caprinis) e di torma simile alle vesti dei militari romani e di coloro che usavano le armi come i cacciatori, onde, non senza ragione, i primi abitanti della Sardegna venivano detti "Sardi pelliti".

La seconda particolarità che induce a credere che i primi abitatori di questa regione fossero di origine romana ed entrati dalla parte dei fiume Tirso, che la bagna ad ovest, è il fatto dei culto di tre divinità romane che si praticava in tre diversi siti, non lontano dallo stesso fiume e che in seguito presero il nome dei singoli idoli. Le divinità domestiche e famigliari che di adoravano in gruppo dai romani sotto il nome di "Lari", hanno dato il nome al sito Monte Ulari; il dio Giano, che si adorava dai romani in tempo di guerra, diede il nome alla località Giani, o Zani, mentre "Adone" diede il nome a Odone, località non distante dalla precedente. Al culto di queste divinità romane si aggiunse forse quello di "Moloch", divinità feriicia e cartaginese, che Tiras, figlio di Giapetto volle importare dalla sua madre patria perchè fosse adorato dai suoi discendenti, Tusci, Osci, Toscani, Tirreni e Sardi, come ci lasciano intendere Plutarco e Strabone. Amoloch venivano offerti anche sacrifici umani. Da tale divinità deriva forse il nome Malochis, sito roccioso, pieno di burroni e precipizi e perciò adatto allo scopo.

La terza particolarità che induce a ritenere essere stati quei primi abitatori di origine romana, è la lingua che vi si parla.

 

 

L E    O R I G I N I

Se si volesse figurare la regione di Ardauli come un grande scudo crociato, si potrebbe avere un'idea approssimativa del numero degli abitatori primitivi che se la divisero tra loro i quattro pari. In ciascuna di queste fu fabbricata una villa ed a ognuna fu dato un nome appropriato alle caratteristiche del luogo, volendo seguire la massima del loro poeta che dice "Conveniunt nomina rebus saepe suis ", che spesso i nomi sono appropriati afle cose o per seguire l'esempio di Adamo che, come leggesi nefia Genesi, diede alle creature il vero loro nome. La villa dei grande scudo crociato della quota sud-ovest fu data Terra Idda (terra Villa) ossia adatto per fabbricarvi una villa. Quella della quota sud-est fu chiamata Iddedera (Villa d'Edera), per l'abbondanza dell'edera che vi prosperava. Quella della quota nordest fu denominata Tanghe'(Tangentem), perchè rasenta il confine naturale a nord-est della regione. Quella della quota nord-ovest fu detta Corte (cohortem, da cohors = recinto per gli animali, o da cohortes = moltitudine) perchè poteva accogliere un popolo numeroso, per la sua posizione geografica, come realmente avvenne quando a questa si unirono le altre tre ville per formare il paese di Ardauli.

 

              Il Ruscello vicino al Mulino...         Antica Macina...

LE   INCURSIONI   SARACENE

Una vita così tranquilla e comoda, che tendeva sempre più all'agiatezza, non poteva passare inosservata ai barbari invasori e specialmente alle orde dei Saraceni e dei Mori (sec. IX e X) che, spiando sinistramente su tutto, nelle loro incursioni abituali, altre volte avevano fatto schiavi molti sardi e tolto abbondante bottino dalle zone in cui avevano trovato debole resistenza. Per respingere efficacemente le incursioni di questi predoni selvaggi, era necessario che le quattro ville si riunissero in un solo popolo e stabilissero la loro resistenza dov'era più facile difendersi per la nascosta posizione in caso di attacco improvviso. Nella stagione primaverile ed in quella autunnale, i Saraceni ed i Mori risalivano dal golfo di Oristano, contro corrente, il Tirso sopra zattere sul quasi insensibile declivio delle acque del fiume, fin dove potevano, trainando le loro primitive imbarcazioni dalle sponde del fiume, con catene o canapi, tirati da schiavi, e vogando energicamente. Quando non era più possibile andare contro corrente, per eventuali disturbi, o comunque quando lo ritenevano conveniente, approdavano e da quelle stazioni si dirigevano verso i centri abitati. Fatto largo bottino di prodotti e di schiavi, riprendevano la via del ritorno e, favoriti dalla corrente, sui loro legni raggiungevano speditamente il mare, dove erano attesi dagli altri rimasti a guardia delle navi. E' facile immaginare con quale incubo vivevano le popolazioni esposte alle feroci incursioni dei pirati. Questi, sconfitti dai Sardi nell'anno 806, ritornarono ancora nei primi anni dell'XI sec. con a capo Museto. A triste ricordo delle stazioni di questi feroci predoni si conservano ancora i nomi: Saraghin isca (terre dei saraceni), Saraghinu (saraceno), località nei pressi dei Tirso in agro di Ula Tirso, Isca morda (terra dei mori) presso lo stesso fiume, e Palmas (palme), pure presso il Tirso, località che si trovano entrambe in agro di Ardauli. Quest'ultimo nome derivò dalle piante di palme, nate dai noccioli di dattero ivi lasciati cadere dai saraceni che avevano provviste di tale frutto.

 

S O S   M A U S O L E O S

Di tre ville quindi, non doveva restare, a perpetuo ricordo, altro che i ruderi delle antiche costruzioni, il nome della zona e nelle vicinanze le antiche tombe: Sos mausoleos, chiamati in seguito Domus de Janas. Uno dei più caratteristici di questi mausolei, proprio all'ingresso dei paese, è stato recentemente demolito in seguito alla costruzione della strada Ardauli-Ponte dei Tirso. E giacchè qui si presenta l'occasione di Parlarne, conviene dire di essi qualche parola che lasci nella mente dei dubbiosi qualche idea certa. Scotton Gottardo, al volume VII a pag. 208 ed al volume IX a pag. 14, parlando della sepoltura di nostro Signore Gesù Cristo e di quelle degli Ebrei, iliustrando l'argomento con tavole topografiche, dice: "Le tombe degli Ebrei erano ordinariamente scavate sul fianco dei monti, aventi l'ingresso verticale, ostruito da un grosso macigno. Tale fu la tomba di nostro Signore Gesù Cristo. Gli ebrei avevano i loro sepolcri fuori dall'abitato, altri scavati nel piano e chiusi al livello del suolo, come quello di Lazzaro e déi nostri cimiteri, altri interrati nei fianchi dei monti, in grotte naturali o artificiali e chiusi esternamente. Avevano uno o più celle, comunicanti con piccole aperture ove potevansi racchiudere i morti di una famiglia e vi si applicava estremamente una porta in forma orbicolare da non potervi passare che col corpo incurvato. Così fu il sepolcro di Gesù a due camerette, scavate a scalpello sulla roccia del Monte Calvario senza alcun lavoro di muratura". E così precisamente possiamo aggiungere noi, sono Sos mausoleos che si trovano in quattro siti di questa regione, che appartenevano alle quattro ville e probabilmente alle famiglie dei capi delle medesime, e che sono simili alle tombe dei re che si vedono a Persepoli. Lo stesso nome Mausoleo (Mausoleum) significa sepolcro, più o meno magnifico. Derivato dal nome di quello fatto erigere da Artemisia al marito Mausolo, Re di Caria, morto nel 337 avanti Cristo e che formava allora una delle sette meraviglie dei mondo. Dal modo di fare le sepolture si può anche dedurre che in mezzo all'idolatria romana si era infiltrata anche la religione ebraica, data la presenza in Sardegna di antiche colonie ebraiche, per cui i primi abitatori delle quattro ville dovevano essere, sotto un certo aspetto, idolatri giudaizzanti .

 

LE  DIFESE  E  ORIGINE DEL NOME DI

ARDAULI

      Per salvaguardarsi da questi predatori, le popolazioni misero in certi punti elevati apposite guardie o vedette che, con corni di caccia o con segnalazioni davano l'allarme appena avvistavano il nemico, per potersi mettere al sicuro o prepararsi alla difesa. Quei posti di vedetta poi presero il nome dal servizio pubblico che ivi si prestava. Così un altipiano nei salti di Ula Tirso prese il nome di Guard'uschis (guarda boschi); un altro invicinanza dei Tirso, in campagna di Ardauli, Guarderis (guardiani), un altro fu detto Arzola 'e s'ardia (aia della guardia). Una sporgenza della catena dei monti che nella grande gola (uJa, ugula, canale) a nord di Corte, domina tutta la vallata sottostante fino al di là del Tirso presso la cascata di Taluschi, ove termina un altro canaletto in forma di libro aperto, con declivio da mezzodi a set ' tentrione, prese il nome di Ardaule (guarda gole). C'è chi propende per il significato di ardua gola (ardua ugula). Inquesto canaletto, presso la villa Corte, era accentrata tutta la ricchezza armentizia della regione. Le pecore erano custodite in Cort'ezza (corte od ovile vecchio) e in Corte noa (corte od ovile nuovo o semplicemente corte), le capre in Corongiu 'e crabas (roccia di capre) ed i buoi in Cort'e locura (corte a locazione). Per questo stato di cose era diventata necessaria la guardia nell'indicata vedetta, sia per spiare i movimenti degli eventuali nemici, e comunque di persone sospette, che potevano venire dalla parte del fiume verso il gran canale, sia per dare tempestivamente l'allarme ai custodi degli armenti, raccolti nei punti indicati al ritorno dai prati, ed al popolo di Corte, in caso d'incursione. In altre parole, la consegna che la guardia doveva rispettare era questa: Arda'ule(guarda le gole, e i canali, Arda'uls guarda al di la'). E fu questo in seguito il nome del paese, sorto ed accentrato in questo canaletto. La necessità di una guardia per custodire la regione ardaulese era riconosciuta in seguito anche da Noraco, comandante degli Spagnoli, che venuto in Sardegna con forte esercito, fondò Nora, oggi Capo Teulada, e fece costruire tra gli altri norachi (Nuraghes) quello di avanguardia nell'angolo sud-ovest dei territorio di Ardauli presso il fiume, nel sito detto Monte irau (monte girato, perchè in quel punto la collina, gira da nord a sud e piegando verso sud-ovest). Di questo Noraco esistono tutt'ora i ruderi. Divenuta più numerosa la popolazio ne di Ardauli, fu stabilito di costituire una squadra di giovani forti e coraggiosi, ben retribuiti che armati convenientemente provvedessero alla sicurezza pubblica, andando incontro ai barbari invasori che tentassero di metter piede in questo territorio. Il nome di Sos monumentos (i monumenti), regione vicina ad Ardauli, ove i valorosi combattenti ardaulesi abbatterono completamente una squadra di mori, ivi poi seppelliti, rimane a perpetuo monumento del fatto vittorioso. Coll'andar dei tempo, prima diminuirono, poi cessarono del tutto i pericoli delle incursioni nemiche: alla garitta dell'Ardaule fu sostituita, verso il 1025, una chiesetta ed alla guardia umana una guardia mistica, la Vergine della guardia. Questo titolo in seguito fu cambiato in quello della Vergine d'Itria, non solamente per trovare in Lei una difesa contro eventuali invasioni di Saraceni e Mori, ma anche per essere liberati dal duro flagello della peste che desolava in quei tempi la Sardegna e che in seguito per sette anni continui, dal 1398 al 1405 aveva decimato o distrutto gli abitanti di molti piccoli paesi sardi.

 

            Ruderi chiesa S.Antonio...                  Antica Via di Ardauli...

 

OPERE D'ARTE NELLA CHIESA PARROCHIALE

Le opere d'arte, riconosciute dal Soprintendente alle opere d'antichità e d'arte perla Sardegna in un sopraluogo fatto il 19 luglio 1937 coi consenso dell'Autorità Diocesana, nella chiesa parrocchiale di Ardauli sono:

L'altare maggiore, con questa relazione: "Anconetta in legno intagliato e policromato, basamento coperto da tre gradini recentemente aggiunti. Il corpo dell'ancona di pianta esagonale, la nicchia centinata nel pannello anteriore limitata ai lati da due colonne, con avvolgimento di foglie e capitelli corinzi; grappoli di frutta nei due pannelli laterali; trabeatura fregiata e cimosa a padiglione, ornate da volute, sormontata da palla crociata; stile barocco, secolo XVIII; larghezza del basamento circa tre metri". (L'opera è dello scultore Francesco Piga, a. 1750).

L'altare della Vergine del Rosario, con questa descrizione: "Anconetta in legno intagliato e policromato, composto di due gradini si eleva il pannello centrale dell'ancona, aperto a nicchia ai due lati. due coppie di colonne tortili con avvolgimento di foglie dorate. Trabeazione figurata e fregiata con una testa d'angelo. Coronamenti con un grande cuore, racchiuso tra volute e palmette. (Secolo XVII, stile barocco, bottega sarda, lungh. dei basamento metri 2,80)".

Cassapanca in legno intagliato, così descritta: "Poggia con due piedi con motivi ornamentali diversi. Il pannello anteriore è racchiuso entro una cornice, delle lesene laterali a fogliamo e rosette. Sul pannello, motivi tipici dell'orlato popolaresco sardo. (secolo XVII-XVIII, stile popolaresco sardo, m. 0,74 X 1,45 X 0,55)". Questa cassapanca fu acquistata nel 1815 dal falegname Mattia Manca.

Ostensorio d'argento, fu acquistato nel 1782, e la navicella dorata, con relativa mezzaluna nell'intemo di esso, fu riformata nel 1788 per disposizione dell'Arcivescovo di Oristano Mons. Cusani. La descrizione fattane è la seguente: "Ostensorio d'argento, sbalzato e cesellato: piede circolare, diviso in quattro partiti, uno dei quali, ornato da cartilli tra foglie e due da semplice foglie. Fusto con nodo, ornato da una testa di cherubino sul retro e da un'altra foglia su verso. Raggiera con dardi e grappoli d'uva, voluta e crocetta terminale, (Secolo XVIII, stile barocco, bottega sarda, altezza centimetri 60).

La secchia d'argento, acquistata nel 1681, essendo rettore d'Ardauli Don Antonio Pes, come dice l'iscrizione sulla stessa secchia, è così descritta: "Secchiello con ostensorio d'argento, sbalzato e cesellato. Piede circolare, coppa con ornamentazioni ad ovuli; collo polilobato, Figurato ai due opposti lati con due mascheroni, forniti di anello. Secolo XVII, stile barocco, bottega sarda, alto cm. 10, diametro massimo cm. 20".

6° Ilturibolo d'argento è descritto così: "Turibolo d'argento sbalzato e traforato; coperto a foggia di tempietto poggiato sopra una breve coppa di restauro. Il coperchio di base esagonale ha due sovrapposti ordini di transenne con quadriche gotiche; copertura cuspidata, alto cm. 17. Secolo XVII, imitaz. dei prototipi di stile catalano".

Un calice d'argento descritto nel seguente modo: "sbalzato e cesellato diviso in tre partiti, contenente cartilli con tondi figurati, con diversi simboli della passione, nodo ed involucro della coppa con eguale ornamentazione; cimasa dell'involucro a volute. (Secolo XVIII, stile barocco, bott. sarda, alt. cm. 27).

 

   Cappella in legno all'interno della Chiesa della Vergine del Boun Cammino...    Parrocchiale-Buoncammino     Adamo ed Eva...

 

STILI ARCHITETTONICI NELLA CHIESA PARROCHIALE

Nel suo complesso, in tutta la chiesa, domina lo stile ogivale. La facciata presenta quattro colonne di pietra rossa, proveniente dalla cava di mesu-ortos, incastrate nel muro di pietra trachite, con zoccoli e capitelli ornati, ai tre lati liberi, di fregi diversi. Il portone, finito pure in pietra rossa, con pilastri cilindrici, con sopraporta in sesto acuto e finito con vari ordini di cornici, tramezzati di densi e variati ornamenti. Il rosone centrale, lavoro di grande pazienza sopra il portone, anch'esso in pietra rossa, è sormontato da un cordone a semicerchio che finisce alle due estremità in due grossi ciondoli a pina, con una cornice circolare a treccia ed a dentelli, chiude in mezzo i quattordici petali di un gran fiore traforato, del quale formano gli stami i piccoli disegni che si trovano nel più vicino al centro dei tre circoli concentrici. Tutta la facciata contiene 137 fregi diversi, 6 diverse cornici, due cordonature a treccia, un semicerchio a pomi e due dentellature doppie. Nell'angolo retto che il sacro edificio presenta tra il livello dei tetti delle cappelle laterali ed i due pilastri che s'innalzano fino al tetto della navata centrale, nella stessa facciata, si osservano in un solo blocco di pietra le figure di due leoni che hanno sotto di se una preda, forse a significare che anch'essi sono guardia (ardia) che vince il nemico, ed in senso mistico, come fu detto di Cristo; Vicit leo de tribu luda. Le volte della navata, a sesto acuto, sono sorrette da archi dello stesso stile, mentre quelle delle cappelle sono a semicerchio o a botte, o a vela come quelle dei coro e delle cappelle più vicine all'altare maggiore. Varie sono le cornici a dentellatura semplice o doppia e vari i simboli delle colonnette; alcune sono piatte, altre cilindriche e le due centrali dei coro sono ad elica, in vari stili, con capitelli diversi, con zoccolatura a dado, ad ovuli e poligonali, ricoperti da un'infinità di fregi geometrici. Nella cappella della Vergine d'Itria a nord‑est ci sono 78 diversi simboli, 106 in quelle della Vergine del Rosario, tre ii? quella delle anime, 4 in quella di San Quirico e 50 nel Coro e Presbiterio. Nelle tre volte a vela si osservano due archi incrociati, semplici o istoriati di figure varie. Nel punto d'incrocio dei due archi si vede pendere un pomo di pietra in forma di campana che serve da chiave agli archi medesimi nel seguire la legge del centro di gravità. Nella superficie dei cerchio maggiore di queste campane si vedono figure di santi, ai quali si voleva fin dall'epoca della costruzione della Chiesa, intitolare la cappella o coro. Tutte queste particolarità edilizie richiamano alla mente i vari ordini architettonici, ionico, dorico, composito, corinzio e romano.

 

I  L     C  A  M  P  A  N  I  L  E

Terminata la costruzione della chiesa parrocchiale, conveniva pensare anche alla costruzione dei campanile. Intanto fu trasportata dalla vecchia chiesa di Santa Maria una campanella a dondolo che, collocata in alto, tra il muro della facciata dalla nuova chiesa ed i lombi dei leone di pietra, che si vede nella parte meridionale, serviva per richiamare il popolo alle pubbliche funzioni fino al 1812. Nel 1689 furono trasportate le pietre per la costruzione nel campanile a mezzo di carri "di Pietro Antonio Cui e Antonio Pau da Meana" al tempo dei parroco Don Angelo Pes Putzolu. La costruzione fino ai primi finestroni, fu fatta nel 1812, durante la reggenza del Sac. Antonio Vidili da Paulilatino, come conferma l'iscrizione esistente sull'architrave della porta dei campanile stesso: 

FIERI FECIT ANTONIUS VIDILI A PAULILATINO HUIUS PAROCCIAE RECTOR ANNO 1812 

  Nel 1819 fu formalmente proibita la continuazione dell'innalzamento del campanile dall'Arcivescovo Atzei, che ordinava allo stesso tempo di fare due archi sulla costruzione fatta e di collocarvi le campane. li rettore Vidili, però, non abbandonò l'idea di completare la torre campanaria. Per favorire tale opera, con testamento del 1834, lasciò il suo peculio personale. 1 lavori furono ripresi nel 1895 sotto il rettorato dei parroco Patta e finiti in quello stesso anno a spese del popolo, che concorse anche all'acquisto dell'orologio pubblico ivi collocato. Ne fa fede la targa di marmo, sovrapposta alla precedente iscrizione, che porta queste parole: 

TURRIS HAEC CAMPANARIA ORTA ANNO 1812 OPERA ET EXPENSIS R. D. ANTONI1 117DILI, RECTORIS PAROCHIALIS HU[US OPPIDI, AD CULMEN EVECTA FUIT CUM CRONOMETRO MENSEJULI0 1895 OPERA PUBBLIQUE OBBLIGA TIONIBUS, RECTORE PAROCHIALISEBASTIANO PATTA AB A TZARA? REM PUBLICAN ADMINISTRANTE, SALVATORE PINNA FLORE

  La campana collocata alla parte meridionale dei campanile fu fatta nel 1602, essendo parroco di Ardauli Sebastiano Dessì. La campana collocata nella parte occidentale fu rifusa nel 1889, col concorso del municipio nella spesa, essendo rettore di Ardauli il Sac. Sebastiano Patta. Il metallo della campanella che serviva perii richiamo al catechismo ed alla scuola fu portato da Gesturi da Salvatore Pinna nel 1837.

 

La parrocchiale dedicata alla Beata Vergine del Buon Cammino, in trochite grigia e rossa, è stato realizzato tra il 1620 e il 1680 in stile sardo-catalano. La facciata, molto sobria in apparenza, è ricchissimo di motivi ornamentali scolpiti da abili scalpellini; l'elemento più vistoso però è il bel rosone gotico, di pregevole fattura.

            La parrocchiale dedicata alla Beata Vergine del Buon Cammino...

 

 

I NOVENARI CAMPESTRI

 

        Un Novenario...

Un itinerario insolito conduce alla riscoperto dei pittoreschi santuari campestri realizzati tra il 1100 e il 1700, le cui origini si perdono nell'antichissima storia nuragica, visto che i novenari hanno avuto come "antenati"  i santuari nuragici. Il Barigadu presenta un'altissima concentrazione di novenari, alcuni dei quali sorti in prossimità dei Lago Omodeo; immersi in uno scenario incantevole, i Novenari sono riusciti a coniugare il sacro e il profano, l'esigenza di spiritualità con la socializzazione e l'aggregazione nei momenti centrali delle festività. Le chiesette, molto semplici, generalmente con facciata a capanna e a navata unica, si trovano immerse in zone di grande interesse ambientale. Accanto alla costruzione della chiesa campestre nascevano "sos muristenes", le caratteristiche dimore temporanee che venivano abitate solo nel periodo delle novene. Ancora oggi, nei nove giorni che precedono il giorno della festa diversi pellegrini, 'Sos novenontes", si recano al santuario, chi per devozione, chi per promessa o per grazia ricevuta oppure semplicemente per partecipare a dei momenti festosi e gioiosi, con balli e conti, come sono quelli che accompagnano la vita dei novenario.

 

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