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ALGIE FACCIALI
ATIPICHE
Sabato A.F., Serafini G. *, Maciocco A.
Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Cattedra
di Anestesia Generale e Speciale Odontostomatologica
*Scuola di Specializzazione in Anestesia e
Rianimazione (Dir. Prof. G. Leonardis)
INTRODUZIONE
“Atipico è tutto ciò che si differenzia dal
normale”. Questa è la definizione letterale di un termine che nel campo medico
è impiegato per classificare le patologie di difficile inquadramento
nosologico. Spesso viene usato impropriamente, specialmente quando viene
adoperato come “cestino dei rifiuti”, ovvero come contenitore dove inserire
tutte quelle patologie che si spiegano altrimenti. Le algie facciali atipiche o
dolori oro-facciali atipici sono una di queste patologie. Infatti, la loro eziologia,
patogenesi, classificazione e il trattamento non sono ancora ben definiti.
EZIOLOGIA E FISIOPATOLOGIA
Non c’è un’eziologia univoca identificata del Dolore
Facciale Atipico o Atypical Facial Pain (A.F.P). Infatti, spesso è definito
tale un dolore nel quale non riconosciamo né all’anamnesi, né obbiettivamente,
né con esami diagnostici, un particolare fattore in grado di causare sintomi
così particolari. Si tratta di una patologia che pur non avendo preferenze
razziali colpisce caratteristicamente i centri urbani e le vittime sono
soprattutto donne di età compresa tra i 30 e i 45 anni. Secondo Loeser40 può scaturire da
un’infezione dei seni paranasali, della mandibola o del cuoio capelluto.
Infatti, afferma la possibilità che un’infiammazione acuta o cronica possa
condurre ad irritazione del nervo e quindi dare origine al dolore, non è chiaro
quando tale processo induca ad una sindrome dolorosa che perduri più della fase
attiva del processo patologico stesso. Un piccolo numero di pazienti presenta
una neoformazione tumorale che invade, metastatizzando o sviluppandosi nel sito
stesso, la base del cranio. Ruelle67 presenta un caso di osteoma che, invadendo l’angolo
cerebello-pontino, comprimeva la struttura del nervo provocando
l’A.F.P.; Sollecito69
mostra un caso di A.F.P. provocato da uno schwannoma (neurinoma) intracraniale.
Queste neoformazioni, specialmente nella loro fase iniziale, sono spesso
difficili da evidenziare anche con esami appropriati (TC, RMN, T.S.E.P. etc.).
Alcuni neurochirurghi41
hanno espresso l’opinione che la compressione vascolare da parte delle arterie
cerebellare superiore, postero-inferiore, o antero-inferiore, sulla radice del
nervo trigeminale, che solitamente causa tic doloroso, a volte può causare
anche quadri di A.F.P. Ci sono pazienti che dimostrano una storia di chiaro
trauma81 che coinvolge le branche
del V n.c., dovuto a lacerazioni facciali o contusioni, in seguito alle quali
sviluppano, nell’arco di un tempo variabile, una sindrome di dolore atipico nel
territorio del nervo danneggiato. A volte sono descritti due tipi di dolori
atipici: uno monolaterale e l’altro bilaterale. A livello eziologico e patogenetico non presentano alcuna
differenza conosciuta, la varietà bilaterale, da come descritto, non si
presenta mai simultaneamente sui due emisomi facciali, sembrando quindi più un
tipo di dolore monolaterale che nell’arco degli anni può cambiare emisoma
colpito. Inoltre, questa varietà non ci sembra riscontrabile in modo
significativo, almeno in letteratura, tratteremo quindi in modo più ampio solo
il dolore atipico monolaterale.
Alcuni Autori56-71 pensano che patologie catalogate come odontalgia
atipica (A.O.) e glossodinia , siano
solo varianti localizzate di un quadro più vasto che è il dolore
facciale atipico.
L’eziologia dell’odontalgia atipica è spesso
attribuita a danni locali neurologici o vascolari provocati durante procedure chirurgiche
orali. Una delle cause più accreditate è il dolore da deafferentazione, e vari
sono i traumi in grado di provocarlo. In letteratura sono descritte anche
pulpectomie, ma soprattutto interventi chirurgici: si tratta di una perdita
parziale o totale della percezione allo stimolo sensoriale in un sito specifico
dell’organismo, rispondente alla specifica area d’innervazione che ha ricevuto
il trauma. La normalizzazione del circuito neurale può avvenire circa tre mesi
dopo una deafferentazione parziale, anche se la “normalità” non è il giusto
termine, infatti, si ha una rigenerazione del tessuto neurale3-6 e maggiore è la rigenerazione
richiesta, maggiore è la possibilità che si crei un agglomerato di fibrille
neuronali, dalla cui pressione o stiramento deriva lo stimolo dolorifico. La
deafferentazione può creare sia un dolore localizzato (A.O.)71-56 che generalizzato (A.F.P.),76-6 anche se spesso queste cause
non sono confermate neppure all’anamnesi. Anche nel caso della glossodinia
molti pazienti associano l’inizio dei sintomi ad episodi di exodonzia o ad
altre terapie di chirurgia orale che possono aver creato delle lesioni, ma
anche in questi casi è difficile riuscire a comprovarne la veridicità, inoltre
molti autori pensano che sia una patologia ad origine totalmente psicogena.
Pazienti con sclerosi multipla (S.M.)18-59 possono manifestare ricorrenti episodi dolorosi
simili a quelli che caratterizzano il dolore facciale atipico, ma questa è
un’evenienza molto rara. Roberts e Person,59 in uno studio eseguito nel 1979 dopo aver
selezionato 21 pazienti affetti da A.F.P., hanno tentato di evidenziare
l’eziologia di questi dolori anche con metodologie chirurgiche, in quanto
notarono che spesso si presentavano in soggetti che erano stati sottoposti ad
un intervento di chirurgia orale, solitamente un’estrazione dentaria. I due
Autori per seguire questo tipo di sperimentazione, si sono avvalsi anche di
teorie e risultati già ottenuti da Ratner, da Harris e da Kinner.58 Infatti, anch’essi
attribuivano l’eziologia dell’A.F.P. a processi infiammatori instauratosi dopo
procedure chirurgiche orali e periorali.
Nella loro casistica, Roberts e Person, per
selezionare i pazienti si sono basati molto sull’anamnesi e specificano che,
effettuando i routinari esami radiografici, solitamente non si riesce ad
evidenziare alcun tipo di lesione, invece, effettuando diverse proiezioni su un
punto specifico individuabile attraverso la storia del paziente, è possibile
mettere in evidenza cavità ossee più o meno grandi correlate al dolore. In
alcuni casi le cavità sono eclatanti, in altri molto piccole e a volte neppure
correlate direttamente con l’area dolorante; la loro palpazione può provocare o
accentuare il sintomo del dolore ed esiste sempre una correlazione con un
intervento chirurgico.
Tutte le aree localizzate venivano sottoposte ad
interventi standard durante i quali si riscontravano spesso piccole fistole più
o meno irregolari che collegavano la cavità con il nervo mascellare o
mandibolare anche a distanza di due centimetri, oppure si collegavano con altre
piccole cavità a volte anche osteoporotiche o con i seni mascellari. Le fibre
nervose risultavano a volte visibilmente lesionate dai processi infiammatori e
l’analisi istologica dei residui cavitari metteva in evidenza la presenza di
ceppi batterici, tra i quali il più frequente era lo Stafilococco epidermidis, che avevano contaminato la cavità e probabilmente
attivato il processo infiammatorio.
E’ chiaro che nessuna di queste lesioni è
patognomonica per il dolore facciale atipico, ma secondo questi autori la loro
presenza in concomitanza con il dolore deve essere considerata sospetta e
quindi, dopo aver appurato la presenza di cavità, si deve poter ipotizzare la
possibilità di un’esplorazione diretta. Froom e coll.68 affermano che l’A.F.P. sia
in molti casi solo una forma di nevralgia pretrigeminale che in seguito
progredisce verso la forma di N.T.tipica e che, quindi, le ipotesi eziologiche
possano essere le stesse. Zakrzewska,80 nel 1991, seguendo un gruppo di 465 pazienti
colpiti da N.T. che erano stati sottoposti a interventi chirurgici, ha
riscontrato che 1/3 di questi che aveva subito crioterapia e termolisi e una
piccola percentuale di quelli che avevano subito decompressione vascolare,
avevano sviluppato A.F.P. Ne ha dedotto quindi che in parte la sua l’eziologia
debba essere correlata a lesioni del nervo, microtraumi spesso impercettibili
ma che alterano la trasmissione nervosa.
Pur risultando dalla nostra casistica e dalla
letteratura in generale che questa patologia è in se stessa una forma
abbastanza rara, recentemente Shankland68 ha affermato che, nella sua esperienza di
specialista del dolore facciale, in 14 anni ha diagnosticato centinaia di casi
di A.F.P. e pochissimi casi (20) di
N.T.T. o tic doloroso.
In questa casistica egli ha riscontrato spesso
sintomi di A.F.P. in seguito a procedure chirurgiche che avevano richiesto un
lembo a tutto spessore nell’area del nervo mentale: è quindi una probabile sua
lesione a volte invisibile che fa scaturire la sintomatologia.
Tra le tante teorie sostenute come causa principale
dell’A.F.P. per decenni i fattori emotivi sono stati ritenuti i principali. Nel
1932, Wilson,71 riporta sette casi
denominandoli di dolore facciale atipico, nei quali avvertiva che i disturbi
emotivi e le variazioni del comportamento erano sproporzionati rispetto ai
sintomi. Sfortunatamente egli non adoperava metodi obiettivi per delineare i
valori psicologici.
Engel28 nel 1951 descriveva gli A.F.P. come sintomi da
conversione isterica e focalizzò il fatto che i disturbi emotivi fossero la
causa e non il risultato del dolore.
Altri Autori, in seguito, confermarono che questi disturbi
erano totalmente psicogeni in origine e si notò a riprova, fin dal 1962, una
risposta favorevole agli antidepressivi. Lascells seguendo uno studio
controllato, descrive positivamente il trattamento con fenitoina contro
placebo. Secondo Radford56
questi risultati sono di dubbia validità a causa della scelta dei metodi
statistici e per la mancanza di metodi obiettivi per la descrizione del
problema. Lo stesso Radford fu il primo ad utilizzare test obiettivi per
descrivere il comportamento psicologico di 32 pazienti affetti da A.F.P.. Egli
si basò sull’utilizzo del Minnesota Multiphasic Personality Inventory Test
(MMPI), e confrontò i suoi risultati con quelli ottenuti osservando 5000
pazienti depressi in degenza alla Mayo Clinic (USA). Ne concluse che non aveva
notato nessun profilo tipico anomalo comparabile con quello del gruppo di
controllo, ma solo delle piccole differenze che si distaccavano dalla
normalità, cosa che non poteva giustificare una diagnosi certa di dolore
psicosomatico. Gayford, 27
nel 1970, pur riconoscendo la grossa confusione che regnava sia sulla diagnosi
di dolore atipico che sulla terapia, volle sottolineare l’importanza della
componente psicologica nell’eziologia di queste patologie. Egli basandosi sulla
sua esperienza personale riconobbe cinque tipi di condizioni psicologiche in
grado di provocare A.F.P., e ne suffragò ognuna con dei casi clinici. Riteniamo
utile descrivere in modo generico questi stati emotivi, perché possono aiutare
molto lo specialista a capire l’eziologia della patologia e ad indirizzarlo
verso una giusta diagnosi:
La depressione
endogena - Il dolore facciale è spesso riconosciuto
come caratteristica dominante in un paziente depresso. Altri sintomi che
accompagnano la depressione sono: l’insonnia, la perdita d’interesse per il
cibo, per il sesso e nei confronti della vita. Il paziente è molto autocritico
e può rimproverarsi, il che conduce spesso a delusioni paranoiche e ad idee
suicide.
La depressione
da ansia -
nella depressione, dove le caratteristiche classiche sono sostituite da
stanchezza, irritabilità e letargia, il dolore facciale atipico è un’evenienza
abbastanza comune.
Lo stato di
ansia - Coloro che ne soffrono sono spesso consci di
una tensione nervosa che cresce. In questi pazienti il dolore peggiora a causa
di preoccupazioni o stress e tende a colpire con maggior frequenza soggetti
giovani.
Molti pazienti ansiosi che somatizzano il loro stato
psicologico con dolori che colpiscono solitamente organi o sedi anatomiche
specifiche, come, ad esempio, la debolezza alle ginocchia, crampi allo stomaco,
ecc, il dolore facciale atipico è una delle possibili sfaccettature
sintomatiche di questi pazienti.
La nevrosi
ossessiva -
Si tratta di pazienti che riescono a distorcere talmente i loro sintomi, anche
quelli della patologia più semplice come ad esempio un dolore dentale, tanto da
non permetterne un immediato riconoscimento. Lo stato di depressione ansiosa è
spesso associato a condizioni ossessive che sono la base della fobia del
cancro, che ossessiona continuamente il paziente che ha persino paura di
domandare al medico se ne soffre realmente, ma indirettamente richiede spesso
analisi e RX per mettere in evidenza l’eventuale esistenza della patologia. La
depressione ansiosa e l’ossessione sono spesso associati ad A.F.P., e si è notato che più ossessivo è il dolore,
peggiore è la prognosi, in quanto è molto difficile trattare clinicamente
l’ossessione.
La conversione
isterica - Per
riconoscere questi pazienti è determinante ascoltare minuziosamente l’esposizione
dell’anamnesi. I sintomi sono descritti in modo drammatico, con costante uso di
superlativi quando si riferiscono al dolore. Spesso è convocata una persona
cara dal paziente per suffragare la sua tesi e il suo stato di dolore. I
trattamenti farmacologici in questi pazienti hanno poco successo, migliore
risulta invece la terapia psicologia specialmente se è di gruppo. Uno studio di
Harris,71 del 1978, riscontrava nel
66% dei pazienti affetti da O.A. una depressione marcata, ma nel restante 34%
non si notava alcuna anomalia psicologica. Risultati simili sono stati
raggiunti da Remick nel 1983 e non solo per quanto riguarda l’O.A., ma anche
per l’A.F.P. che, anche secondo questi autori, corrispondono allo stesso tipo
di patologia solo con diverse estensioni anatomiche. Radford,56 nel 1992, ha selezionato,
grazie ad una diagnosi effettuata per
esclusione, 19 pazienti
con O.A. e
altri con emicrania per tentare di mettere in
evidenza possibili alterazioni psicologiche
presenti nei soggetti affetti
da dolore cronico. Egli studiandoli grazie al MMPI test, ne dedusse che non vi
erano prove sufficienti per supportare l’ipotesi che la depressione fosse la
causa primaria dell’odontalgia, ma sicuramente il persistere del dolore cronico
poteva portare ad evidenziare uno stato di depressione più o meno grave.
Quest’affermazione, suffragata da altri prima di lui, è basata anche sul fatto
che gli antidepressivi triciclici e la psicoterapia sono in grado di portare
dei grossi miglioramenti e, a volte, alla totale recrudescenza dei sintomi
dolorosi.
Recentemente, Derbyshire20 utilizzando la tomografia
ad emissione positronica (P.E.T.), ha cercato di stabilire se nei pazienti con
A.F.P.ci fossero delle particolari aree celebrali che durante l’attacco di
dolore subissero un aumento o una diminuzione di flusso sanguigno. Egli ha
scelto due gruppi di persone, il primo affetto da A.F.P., l’altro come gruppo
di controllo, e ne ha studiato l’irrorazione celebrale durante uno stimolo
doloroso provocato. Ne è risultato che nei pazienti con A.F.P. l’area celebrale
del cingolo anteriore (area 44 di Brodmann) registrasse un aumento del flusso
celebrale e l’area prefrontale (area 10 di Brodmann) una diminuzione del flusso
stesso.
L’Autore afferma che queste differenze di flusso
possono essere collegate ad un blocco dell’inibizione nei meccanismi scatenanti
il dolore a livello celebrale. Inoltre, queste variazioni sono presenti anche
nei soggetti affetti da patologie psichiche, e ciò si collega al fatto che
anche i pazienti con A.F.P. soffrono spesso di patologie psichiche.
Derbyshire ha voluto quindi dimostrare che processi come l’ansietà e la depressione possono portare, più o meno indirettamente, a disfunzioni organiche, quali ad esempio le variazioni di flusso ematico cerebrale da lui stesso riscontrate, alle quali può essere legato il fenomeno dolorifico. Purtroppo queste alterazioni del flusso, almeno per ora, non possono essere utilizzate per le diagnosi, perché non risultano essere patognomoniche di una singola patologia. Vista la notevole varietà d’ipotesi eziologiche più o meno comprovate da esperienze cliniche riguardanti il dolore oro-facciale atipico, voliamo elencarne una serie riassuntiva per meglio focalizzarle (Tab. 1). La mancata comprensione delle cause reali del dolore cronico, si rifletteranno sicuramente sul mancato trattamento.
PROBABILE EZIOLOGIA DEL DOLORE ORO-FACCIALE ATIPICO.
à à Trombosi carotidee o
aneurismi intracavernosi à à Compressione vascolare à à Estrazioni dentarie o interventi
chirurgici anomali à à Lesioni dentali focali
trascurate à à Sinusiti à à Masse tumorali à à Sclerosi multipla à à Lesioni spinali cervicali
o traumi di altro genere à à Fattori psicogeni à à Traumi |
SINTOMI E CLASSIFICAZIONE
Il dolore facciale atipico, pur dando luogo in
alcuni casi a diagnosi differenziali difficili per la complessità dei suoi
sintomi e la somiglianza con altri tipi di dolore facciale, come ad esempio
alcune emicranie, cefalee a grappolo, dolori da deafferentazione, anestesia dolorosa
o nevralgie del glossofaringeo, non ha alcun segno patognomonico in comune con
il tic doloroso, almeno con il più classico (Tab.
2), patologia con la quale invece troppo spesso viene confuso ed
etichettato. L’A.F.P. si presenta come continuo, ma può variare spesso la sua
intensità nell’arco del tempo, raramente il paziente può godere di intervalli
prolungati in totale assenza di dolore, più spesso durante le fasi meno gravi
lamenta un semplice fastidio nella zona interessata. E’ solitamente descritto
come bruciante, da indolenzimento, e a volte, come sensazione di crampi
facciali, ma mai come shock elettrico (tipico invece del tic doloroso). La distribuzione del dolore è solitamente inclusa nell’area di innervazione del territorio trigeminale
con maggior frequenza nella porzione infraorbitaria, ma può estendersi nella
parte omolaterale del collo e al cuoio capelluto (somigliando in alcuni casi ad
emicranie e cefalee).
Tab. 2
CARATTERISTICHE SALIENTI DELLA N.T. E DELL’A.F.P.
INDICI CONSIDERATI |
NEVRALGIA
TIPICA |
DOL. FACC.
ATIPICO |
Frequenza |
Intermittente |
Costante: può fluttuare |
Intervalli
in assenza di dolore |
Sempre presenti |
Inesistenti |
Descrizione |
Tipo shock elettrico, lancinante |
Bruciante, con indolenzimento |
Localizzazione |
Unilaterale solitamente trigeminale, raramente colpisce l’intermedio, il
glossofaringeo o il vago |
Cervicale superiore o trigeminale |
Variazioni
sensoriali |
Raramente iperestesia |
Spesso iperestesia |
Fattori
precipitanti |
Qualsiasi stimolazione, anche non nociva |
Raramente provocato |
Sintomi
inerenti al S.N.A. |
Nessuno |
Nessuno/ raramente presenti |
Dolorabilità
locale |
Dopo l’attacco doloroso |
Spesso costante |
Età media
colpita |
50 anni circa |
30 anni circa |
Sesso |
50% femminile |
75% femminile |
I pazienti spesso presentano un’iperestesia del lato
colpito, più raramente una disestesia o una parestesia. I dolori non sono
provocati da stimoli esterni, ma questi possono intensificarli. In alcuni casi
anche i muscoli della masticazione sono dolenti, in special modo nei pazienti
con concomitante sindrome algico disfunzionale dell’A.T.M..
Non vengono solitamente rilevati sintomi che possano
far pensare ad un coinvolgimento del sistema nervoso autonomo,6-41 come lacrimazione
estemporanea, sudorazione ecc.. Solo Bell6 ha riscontrato pazienti che presentavano sintomi di ipersudorazione,
arrossamento, rinorrea e pallore, che egli stesso afferma possono far pensare,
però, a varianti dell’emicrania.
Loeser40-41 riconosce due varianti di dolore oro facciale
atipico, una monolaterale, già considerata, l’altra bilaterale, che non
differisce per quanto riguarda i sintomi già descritti se non per l’estensione
dell’area colpita.
Tra i sintomi dell’A.F.P. possono essere inclusi,
secondo vari Autori,56-71 anche quelli dell’odontalgia atipica che sono molto simili a quelli di
un’infezione dentale periapicale o periodontale. Si tratta, quindi, di un
dolore localizzato nell’area di uno o più denti del lato colpito, descritto
come acuto, lancinante, intenso e spesso esacerbato da variazioni di temperatura
e da stimolazioni meccaniche.
Anche la sindrome della lingua che brucia
(glossodinia) è spesso compresa tra i dolori atipici. Si presenta come una
sensazione di bruciore solitamente limitata alla lingua, ma può irradiarsi
intraoralmente in altri siti (mucose del labbro, palato duro, cavità
alveolari). E’ frequente una disestesia, sono riportate sensazioni di sapore
amaro, sgradevole, e i sintomi descritti tendono ad aumentare durante il giorno
raggiungendo un picco verso sera, per poi affievolirsi durante la notte.
In alcuni casi l’A.F.P. si presenta come un dolore
dentale del quale, quindi, si occupa spesso un’odontoiatra, che traendo magari
conclusioni affrettate che si basano sui soli sintomi riferiti dal paziente,
effettua un’avulsione o un’alveolectomia. Casi simili sono tutt’oggi riscontrati e sono correlati a una
misconoscenza della causa reale del dolore che affligge il paziente.
Consigliamo, pertanto, di evidenziare sempre il fattore scatenante, e se questo
non viene trovato, occorre continuare
a cercarlo, e certamente bisogna evitare di attuare una terapia, talvolta
richiesta dal paziente, non supportata da prove diagnostiche tangibili.
Il dolore dentale, mascellare o mandibolare, fa sì
che i pazienti portatori di protesi spesso non possano inserirla in bocca. A
eliminare l’eziologia puramente dentale è il fatto che alcuni di loro sono
totalmente edentuli e le ricerche radiografiche non danno evidenza di fattori
scatenanti, ciononostante il sintomo principale è il dolore dentale ed è possibile
porre delle diagnosi differenziali solo nei confronti del dolore da
deafferentazione o di un’anestesia dolorosa, sempre che il dolore stesso sia
scaturito nell’arco di un tempo variabile che va dai tre ai sei mesi dopo un
intervento chirurgico.
Radford56 riporta un caso dove una casalinga descrive un
dolore mascellare irradiato dall’orbita che durava da tre anni, presentatosi in
seguito ad una levigatura radicolare. Fu indirizzata da un neurochirurgo che
fece una neurectomia del nervo
infraorbitario, ma nonostante
l’anestesia provocata, il dolore persisteva. Fu diagnosticato dolore facciale
atipico dovuto a depressione da ansia, quindi
trattata con antidepressivi triciclici, ottenendo ottimi risultati.
Gayford27 descrive casi clinici molto eclatanti di A.F.P.
Questi pazienti presentano tutti sintomi di patologie psicogene, si presentano
spesso dal medico in uno stato di stress e turbamento, con dolori costanti
nelle aree trigeminali che compromettono gran parte della loro esistenza. Alcuni
riferiscono di esser colpiti da dolori costanti più o meno gravi da periodi che
arrivano fino a 12 anni, lamentano di aver raggiunto il “limite di
sopportazione umana”, di non poter dormire la notte, di piangere continuamente
alla minima provocazione e di aver tentato a volte il suicidio.
Il dolore psicogeno è caratterizzato da fasi alterne
di lieve sollievo e dolore più persistente, direttamente correlate con gli
stati emotivi dell’individuo stesso, ne sono prova casi di pazienti che,
riusciti ad eliminare il dolore con una cura a base di antidepressivi, dopo
averla interrotta sono ricaduti nel circolo vizioso del dolore a causa di un
periodo o di una situazione della loro vita particolarmente stressante.
Molto particolare è il dolore legato a nevrosi ossessiva,
dove il paziente è in grado di riferire qualsiasi sintomo che possa essere
lontanamente collegato con la sua
patologia, cerca di essere rassicurato
ed è importante farlo, ma spesso il medico non riesce a risolvere in
modo definitivo la situazione. A volte si riesce ad ottenere solamente una
riduzione del sintomo o lo spostamento dello stesso in un’altra regione
anatomica.
Questi pazienti spesso adottano dei “riti” che
riescono ad alleviare il dolore e che consistono nell’effettuare le azioni più
bizzarre, ad esempio colpirsi la mucosa buccale per tre volte di seguito sullo
stesso punto con un particolare oggetto può risultare un’azione che provoca
sollievo dal dolore per un periodo di tempo variabile. Altri posizionando, invece, un farmaco (che
spesso non ha nulla a che vedere con la terapia per il dolore) o un’erba sul
sito doloroso sono in grado di alleviare i sintomi.
A volte il paziente è molto vago durante la
descrizione del dolore, pur adoperando aggettivi dirompenti per far capire al
medico la gravità del proprio sintomo, ma quando gli vengono poste delle
domande specifiche e importanti per lo specialista, che deve riuscire a
differenziare il tipo di dolore, diventa ugualmente vago nella risposta e
spesso cambia argomento confessando magari un nuovo sintomo che possa
supportare la gravità dello stato doloroso.
Roistacher,60 nel 1991, ha raccolto dai suoi pazienti affetti da
A.F.P. una serie di risposte psicologiche che vengono assunte nelle loro vite
sociali definendole “giochi del dolore”:
· Gioco del dolore di base - Il paziente implora il medico di aiutarlo, ma segretamente pensa
che nessuno possa far niente per lui.
· Il tiranno di casa - Usa come arma coercitiva il dolore per controllare e manipolare
il comportamento di coloro che lo circondano.
· Il professionale - Vuole sfruttare il dolore usufruendo dei possibili benefici di
disabilità, come ad esempio il
pagamento di un’assicurazione.
· Il somatizzatore - Non ammetterà mai che le proprie condizioni abbiano potuto far
deteriorare la propria vita e quella delle persone che gli sono vicino.
Queste condizioni psicologiche sono effettivamente
riscontrabili nella pratica clinica, e solo gli specialisti che li hanno
trattati conoscono le difficoltà che
pazienti così particolari possono
rappresentare per se stessi e per il medico stesso.
Classificazione: l’inquadramento
tassonomico di questa patologia
sarà un problema reale fino a che non si riusciranno ad ottenere chiarimenti
circa la sua reale eziologia. Pur essendo contemplato in varie classificazioni
mondiali, la sua collocazione non è mai chiara, come non è chiara neppure la
sua denominazione. E’, infatti, descritto dagli autori con vari termini come:
dolore facciale atipico, dolore somatoforme, dolore facciale idiopatico,
nevralgia atipica o odontalgia atipica, anche se quello più conosciuto ed
accettato è quello da noi adoperato, cioè, dolore facciale atipico o “atypical
facial pain” per gli anglosassoni.
La classificazione I.A.S.P.,35 sulla quale abbiamo basato
la descrizione dei dolori cronici oro facciali, descrive due possibilità di
inquadramento per l’A.F.P. La prima è l’odontalgia atipica (Classe IV:5),
definita come una forma localizzata di dolore facciale atipico e quindi
probabilmente ad esso sovrapponibile come termine nosologico; la seconda è il
dolore di origine psicologica isterico od ipocondriaco (Classe VI:2), a
specificare la possibile eziologia psicologica della patologia.
La classificazione I.H.S.36 inserisce questo dolore
nella Classe 12.8 comprendente i dolori
facciali che non soddisfano i criteri dei gruppi precedenti, ed è chiaro che
anche questa collocazione non può soddisfare i bisogni di uno specialista che
si occupa di algie facciali in quanto troppo dispersiva.
L’American Psychiatric Association,1 nella sua D.M.S. IV, cataloga questa algia facciale
quale tipo di disturbo somatoforme se
il dolore è relazionato a un trauma fisico, oppure facendo riferimento a
disturbi di conversione o di
somatizzazione, quando c’è la presenza di sintomi organici in assenza di
disturbi fisici, sottolineando anch’essa la grossa componente di origine
psicologica che è possibile riscontrare nel’A.F.P..
Come si sarà potuto notare questa patologia varia
spesso denominazione a seconda dell’indirizzo specialistico del clinico che
esamina il paziente, questo dimostra chiaramente che pur essendo da tutti
riconosciuta come forma di dolore cronico oro-facciale, il suo inquadramento
non sarà definitivo fino a quando ci saranno solo ipotesi circa i fattori
patogenetici responsabili.
DIAGNOSI
Da quanto si rileva in letteratura, c’è
effettivamente una grossa confusione sul termine atipico. Secondo alcuni non
sembra aver altro valore se non quello di differenziare questi tipi di dolori
da quelli trigeminali. In base a ciò, nella definizione di A.F.P. potrebbero
essere inclusi diversi dolori, poiché i suoi sintomi sono così difficilmente
valutabili clinicamente e così soggettivi da rendere effettivamente difficile
la diagnosi. Inoltre, sfortunatamente, non tutti i pazienti descrivono una
sintomatologia così chiara da non poter far nascere dubbi diagnostici: alcuni
riferiscono in anamnesi un trauma delle strutture nervose, altri risultano
essere pazienti completamente “sani”.
Possono esserci o meno deficit sensitivi, spesso c’è
una correlazione con problemi psicologici e comportamentali, difficile dire se
presenti o meno all’insorgere del dolore.
Il sintomo è sicuramente meno violento di quello che
si presenta nel tic trigeminale puro ed è cronico, continuo, costringendo
spesso il paziente ad abusare di farmaci (cosa che contribuisce ancora di più a
rendere difficile la diagnosi reale).
Ci sono pazienti6 che descrivono sintomi sovrapposti tra tic doloroso e A.F.P., altri che
presentano caratteristiche in comune con l’emicrania o con la cefalea a
grappolo, o infine, casi di sovrapposizione tra A.F.P. e sindrome algico
disfunzionale A.T.M.22.
Il dolore è solitamente unilaterale, più
frequentemente localizzato nelle zone di innervazione della 2° e 3° branca
trigeminale e irradiato in zona cervicale. Ci sono casi in cui il dolore è
riferito ad un dente: questa forma, definita odontalgia atipica, può
rappresentare un grosso problema diagnostico per l’odontoiatra. In alcuni casi
si è giunti all’estrazione del dente in causa e classicamente il dolore si è
trasferito all’elemento dentale limitrofo. Si sono descritti casi di dolore ad
un dente “fantasma”, cioè già estratto, e altri diffusi a tutto il cavo orale.
Bonica6 indica la nevralgia del ganglio sfenopalatino, o
sindrome di Sluder, e la nevralgia del ganglio naso-ciliare, o sindrome di
Charlin, come le forme più comuni di dolore facciale atipico.
Non si può sottovalutare il fatto che alcuni A.F.P.
insorgono dopo trattamenti chirurgici effettuati sul nervo trigeminale, come ad
esempio la terapia chirurgica di tic dolorosi, per questo è importante
accertarsi di come si presentava il sintomo anche molto tempo prima della
nostra visita, ci potrà indicare, infatti, la possibile evoluzione della
patologia.
Vista la difficoltà che s’incontra nel diagnosticare
un A.F.P., quando il paziente ne presenta i sintomi, il medico deve
intraprendere un’accurata ricerca allo scopo di trovare una possibile lesione
quale causa trattabile.
Da diagnosi e ricerche molto accurate possono
risultare in realtà anche combinazioni di due o più di queste sindromi50. Da qui l’importanza di
approfondire la diagnosi durante più sedute eseguite da diversi specialisti,
che possono quindi essere in grado di evidenziare il problema sotto differenti
punti di vista.
Secondo Shankland68 un importante criterio diagnostico è rappresentato
dalla reazione all’iniezione di anestetico.
Lo studioso consiglia, dopo aver identificato la branca nervosa,
un’anestesia locale dell’area colpita eseguita possibilmente in modo
atraumatico con un ago 30G (ago a sezione piccola) e con anestetico locale,
preferibilmente mepivacaina al 3%. Se il dolore facciale è totalmente alleviato
dall’azione dell’anestetico e gli accertamenti diagnostici sono risultati
negativi, allora si può diagnosticare A.F.P. Se il problema è di un’altra
branca o magari di una nevralgia trigeminale tipica, allora l’efficacia
dell’iniezione anestetica sarebbe bassa nel migliore dei casi, non permettendo
una totale remissione del dolore.
Tuttavia, le informazioni letterarie sull’argomento
sono discordanti. Harris,71 un fautore dell’eziologia
psicosomatica, nel 1975 aveva già attuato terapie di blocco anestetico per
meglio identificare il tipo di dolore e riportava, appunto ,che l’O.A. non
rispondeva al blocco nervoso.
Main,42 dopo aver differenziato 34 pazienti puramente
neurologici, ha effettuato tra questi un ulteriore diagnosi differenziale
riscontrandone 7 affetti da N.T., 2 con cefalea a grappolo e 24 con A.F.P..
Egli aveva basato la sua diagnosi in particolar modo
sull’anamnesi, sulla descrizione del dolore e sull’azione dei farmaci. Infatti,
la cefalea a grappolo viene esacerbata dall’alcool e calmata dall’ergotamina,
la N.T. presenta invece il caratteristico tic doloroso, il dolore è più acuto e
spesso risponde positivamente alla carbamazepina, invece l’A.F.P. presenta un
dolore continuo, senza remissioni totali, senza tic o punti grilletto anche se
la palpazione può esacerbare lievemente il sintomo e spesso il paziente dimostra alterazioni psicologiche
di rilevanza più o meno grave, rispondendo quindi meglio alla terapia con
antidepressivi triciclici. Anche l’elettrodiagnosi ha tentato di dare un
contributo al riconoscimento dell’A.F.P., utilizzando i T.S.E.P. (potenziali
evocati trigeminali). Stohr e Petuch74, oltre a confermarne
l’utilità nella diagnosi della N.T., riscontrarono degli aumenti di latenza
anche nel 41% dei tracciati di pazienti affetti da A.F.P..
Bennet e Jannetta4 fecero degli studi su questo tipo di dolore, rilevando nei tracciati T.S.E.P. un aumento
di latenza del segnale (minore di quello della N.T.), e una variazione delle
ampiezze positive e negative non
significative a livello statistico.
Particolarmente interessanti sono i risultati
ottenuti nel 1991 da Bremerich7 e coll., che riscontrarono nei pazienti con A.F.P.
dei nuovi possibili parametri di valutazione:
Þ Aumento
di latenza e ampiezza minore di quello della N.T., ma con uguale frequenza
sulla 2° e 3° branca del lato affetto.
Þ Ampiezza
del segnale anomala nel lato controlaterale a quello affetto nei pazienti con
A.F.P. nel 35% dei casi.
Þ Latenza
del segnale anomala nel lato controlaterale a quello affetto nei pazienti con
N.T. nel 35% dei casi.
Tutti questi risultati ottenuti eseguendo gli studi con T.S.E.P. pur non essendo uniformi sono molto importanti, perché innanzi tutto permettono di supporre la possibilità diagnostica di un’A.F.P., ed inoltre ci offrono delle possibili ipotesi sulle quali poter basare la ricerca.
Oltre ad effettuare una diagnosi differenziale con
le forme di cefalea a grappolo e con le nevralgie trigeminali, altre diagnosi
differenziali possono essere fatte nei confronti di nevralgie craniali come:
- la nevralgia del n. glossofaringeo, che si
differenzia soprattutto per l’irradiazione del dolore alla faringe, all’orecchio
e alla regione angolare della mandibola e perché presenta spesso delle zone
grilletto intraorali;
- la nevralgia del nervo laringeo superiore (o
vagale) la cui sintomatologia è spesso parossistica, simile al tic doloroso,
irradiata però alla cartilaginee tiroidea, al torace e internamente all’angolo
della mandibola.
- la nevralgia del nervo occipitale, che vista la
localizzazione del dolore, entra in diagnosi differenziale più con un’emicrania
a grappolo, anche se a volte l’irradiazione a livello cervicale crea dei dubbi;
- la nevralgia del ganglio ginecolato (VII n.c.) o
sindrome di Ramsay Hunt, che s’irradia all’orecchio interno e alla parete
posteriore della faringe, ma
solitamente segue spesso un’infezione da H. Zoster e a volte si associa a
paralisi del facciale o di Bell.
Duntman,22 nel 1995, ha riportato alcuni casi di dolore che,
pur presentando i sintomi classici dell’A.F.P., si sono dimostrati causati da
sindrome disfunzionale dell’A.T.M. Per riuscire a differenziare questa
patologia è importante effettuare una buona visita, poiché anche se è possibile
riscontrare dolori ingannevoli quali quelli all’orecchio, all’angolo
mandibolare e nell’area temporale, i dubbi possono essere chiariti se il
paziente presenta limitazione dell’apertura mandibolare, parafunzioni
(bruxismo, serramento), faccette di usura occlusali, presenza di rumori
articolari e sintomi spesso bilaterali, tensione dei muscoli masticatori, tutti
segni la cui presenza ci autorizza a effettuare una risonanza magnetica per
accertarci della condizione delle A.T.M..
Più complesso può diventare il caso se i sintomi
disfunzionali A.T.M. si confondono con un A.F.P.33, ma anche in questo caso
effettuare una terapia occlusale primaria ci permetterà di chiarire il
problema.
Lesioni di tipo infiammatorio quali: sinusiti,
dolori gengivali, dentali o ossei, possono essere esclusi, in parte perché
presentano spesso i caratteri classici dell’infiammazione enunciati da Celso,13 quali tumor, rubor, calor, dolor e functio laesa, ultima caratteristica
aggiunta più tardi da Galeno; in parte perché tendono ad evolvere solitamente
nell’arco di tre o quattro mesi, quindi riconoscibili e infine perché
rispondono alle terapie antibiotiche e farmacologiche.
Ultimo tipo di diagnosi differenziale deve essere
posta nei confronti di neuropatie traumatiche, nelle quali però solitamente non manca un reperto anatomico che
c’indica la strada da seguire.
Non c’è dubbio sul fatto che per riconoscere una
patologia così particolare sia importante vedere più volte il paziente e,
ancora più fondamentale, saperlo ascoltare riuscendo a capire quando “eccede”
nel descrivere i propri sintomi o quando essi sono reali. Infatti, dato che per
ora non abbiamo un mezzo certo che ci possa indirizzare verso un’esatta
diagnosi, dobbiamo in gran parte affidarci a una buona anamnesi e
all’esperienza personale.
Dopo aver consultato più articoli sull’argomento,
abbiamo elencato nella Tab. 3, una serie di criteri clinici accettati e
utilizzati dalla maggior parte degli autori per porre una diagnosi di A.F.P..
Tab.
3
CRITERI CONSIGLIATI PER ESEGUIRE UNA DIAGNOSI DI A.F.P.
1 |
Anamnesi. |
2 |
Si presenta più spesso in donne di giovane età
compresa tra i 30 e i 45 anni. |
3 |
Esame extraorale, con palpazione miofasciale delle
A.T.M., dei muscoli masticatori e della colonna cervicale; se dolenti
ipotizzare una possibile concomitanza con la sindrome algico disfunzionale
A.T.M. o la diagnosi differenziale, continuando l’esame extraorale con le
prove richieste da tale patologia. |
4 |
Esame intraorale, particolarmente importante nei
casi dove s’ipotizza O.A., con ispezione, palpazione, percussione, test di
vitalità pulpari e transilluminazione. |
5 |
Presenza di dolore cronico localizzato nelle aree
d’innervazione del n. trigemino, solitamente sulla 2° e 3° branca con
irradiazione cervicale. |
6 |
Possibile iperestesia alla palpazione del sito
colpito. |
7 |
Dolore continuo o quasi nell’area colpita, che
sembra originarsi dal profondo delle ossa o dai tessuti molli e che in alcuni
pazienti può aumentare d’intensità sotto stimolazione (freddo, caldo, vento,
deglutizione, fonazione, masticazione, lavarsi il viso, radersi ecc.), pur
non essendoci un particolare punto grilletto come nelle N.T. in grado di
evocare un dolore parossistico; solitamente anzi non ci sono particolari
fattori scatenanti in grado di evocare il sintomo. |
8 |
Durata del dolore maggiore di tre o quattro mesi
(termine scelto per scartare qualsiasi infezione infiammatoria che può non
essere immediatamente visibile. |
9 |
Escludere in base alla sintomatologia e a ricerche
appropriate dolori che presentano punti grilletto come i tic trigeminali, e
altre nevralgie maggiori quali quelle del n. facciale, n. glossofaringeo e n.
vago. |
10 |
Escludere dolore vascolare di tipo emicranico, da
cefalea, da carotidodinia e da arterite temporale. |
11 |
Escludere tumori della testa e del collo, in
particolare quelli che insorgono nell’angolo ponto-cerebellare e a livello
oro-faringeo con ricerche appropriate. |
12 |
Escludere la presenza di altre patologie generali
quali S.M., o locali quali H. zoster. |
13 |
Blocco anestetico diagnostico dell’area colpita
(anche se le informazioni a riguardo sono equivoche). |
14 |
Elettrodiagnosi con potenziali evocati
trigeminali, del glossofaringeo e facciali a seconda dell’area colpita. |
15 |
Test psicologici, che frequentemente dimostrano
alterazioni più o meno gravi della personalità. |
Sicuramente questa lunga serie di criteri
diagnostici non può e non deve essere sviluppata dal singolo medico, ma deve
essere esplicata con un criterio multidisciplinare che include quindi un’équipe
di specialisti quali: un neurologo, uno psichiatra, un’anestesista,
un’otorinolaringoiatra, un radiologo e un’odontoiatra, il cui consulto finale
sarà sicuramente in grado di trarre una diagnosi idonea.
TERAPIA
L’A.F.P. è un dolore difficile da gestire in quanto
la letteratura è piena di schemi di trattamento che mancano di un’efficacia
dimostrata inequivocabilmente da più autori.
Poiché una piccola percentuale di pazienti avrà
delle lesioni strutturali trattabili, il primo passo è sempre rivolto alla
ricerca di un’ipotetica patologia e anche se questa solitamente non da alcun
risultato positivo, è molto utile per rassicurare il paziente affetto da dolore
cronico sull’eventuale esistenza di patologie maligne. E’ usuale, infatti, che
qualsiasi paziente sofferente di una patologia dolorosa cronica non
individuabile, entri nell’ordine d’idee di essere affetto da una patologia
tumorale maligna di cui i medici non vogliono svelare l’esistenza. Se il dolore
è solo sintomatico, o almeno così risulta dall’evidenza delle indagini
effettuate, il primo trattamento è solitamente farmacologico. Con questo tipo
di trattamento i risultati non sono solitamente eccezionali, pur aiutando il
paziente a sopportare il dolore (sono molti i farmaci che vengono consigliati
dai vari autori in base alle proprie esperienze). Loeser40 consiglia uno standard di
75 mg. di Amitriptilina serale e 1 mg. di Fluorfenazina al giorno, dose alla
quale alcuni pazienti rispondono con buoni risultati; secondo altri autori i
pazienti rispondono a medicamenti anticonvulsivanti che vengono adoperati anche
nella terapia del tic doloroso. Per meglio inquadrare le varie classi di
farmaci utilizzate o ipotizzate nella terapia dell’A.F.P. ne daremo una breve
descrizione:
Carbamazepina: (Tegretol) è un farmaco
antiepilettico utilizzato fin dagli anni Sessanta nella terapia delle N.T. per
le quali a tuttora è il più efficace, la sua azione pare sia ottimale anche nel
trattamento dell’A.F.P. e nei disturbi maniaco depressivi. Questo farmaco
(similmente alla Fenitoina) inibisce le scariche nervose ad alta frequenza
agendo come antagonista sui recettori eccitatori. E’ disponibile in compresse
da 200 e 400 mg., la somministrazione inizia solitamente con 200 mg. al giorno
(a volte divisi in due dosi), fino ad arrivare alla dose massima di 1200 mg.
giornalieri se ben tollerato. Chiaramente, se si hanno dei buoni effetti a dosi
più basse non c’è alcuno scopo di raggiungere il massimo della terapia.
Solitamente, durante la prima settimana, durante la quale si arriva
a somministrare circa 600 mg. al giorno suddivisi in dosi da 200 mg. ogni otto
ore, per raggiungere una adeguata concentrazione a stato stazionario (Css), se non c’è un adeguato
sollievo dal dolore il dosaggio viene aumentato di 200 mg. a settimana,
processo ripetuto in sequenza fino a raggiungere i 1200 mg giornalieri. Dosi
maggiori non si sono dimostrate più efficaci e inoltre aggravano il rischio
d’effetti collaterali. Sono stati riferiti, infatti, disturbi gastrici e nausea,
nel 5-10% dei pazienti si riscontra un aumento degli enzimi epatici GOT e GTP,
durante il periodo iniziale della terapia il 10% dei pazienti mostra una
leggera leucopenia, che si risolve solitamente nei mesi successivi. Alcuni
pazienti hanno sviluppato effetti collaterali a carico del S.N.C. quali
sonnolenza, vertigini, atassia e affaticamento della visione. A causa della
gravità degli effetti che possono essere riscontrati a livello del sistema
ematopoietico, si raccomanda di eseguire routinariamente, ogni 3 o 6 mesi al
massimo, esami generali che possono indicarci se il paziente riesce a
sopportare in modo ottimale le dosi somministrate. La strategia di questo
farmaco è quella
di incrementare la somministrazione fino a che non c’è un
sollievo dal dolore, oppure un sintomo di tossicità, quindi bloccare o ridurre
la dose. Il successo senza effetti inaccettabili si ottiene in circa il 50% dei
pazienti. Risulta utile la somministrazione concomitante di gammavinilGABA
(Vigabatrin), sostanza in grado di potenziare l’azione delle carbamazepine e
ridurre gli effetti collaterali perché permette di ridurre la dose.
Fenitoina: (Dilantin) è un altro
farmaco antiepilettico, fa parte delle Idantoine, è somministrato in dosi da 50
mg. al giorno fino ad un massimo di 600, ottiene dei risultati positivi nel 25
% dei pazienti che hanno sviluppato tic doloroso; riguardo il dolore facciale
atipico non ci sono sperimentazioni positive a parte quella di Shakland68.
Dosi superiori a 600 mg. al giorno portano a gravi
effetti collaterali, quali aritmie cardiache, ipotensione e depressione del
S.N.C., tutto ciò fa sì che la carbamazepina sia preferita come farmaco
d’elezione.
Baclofen: (Lioresal) un inibitore del
GABA (acido gamma-amino-butirrico) è un miorilassante usato solitamente nella
terapia dell’epilessia. Fromm6 lo ha sperimentato sui tic
dolorosi e Shaklan sul dolore atipico con buoni risultati, gli effetti
collaterali più comuni sono nausea, vomito, confusione mentale e debolezza
muscolare.
Fenotiazine: sono una classe di farmaci
antipsicotici e vengono spesso consigliati viste le implicazioni del paziente
in patologie mentali.
Sono molte le fenotiazine in commercio (Talofen,
Stemetil, Torecan, ecc.), la dose generica consigliata è di circa 1 mg. al
giorno.
Anche con questi farmaci una certa attenzione deve
essere data agli effetti collaterali, che comprendono distonia acuta (spasmi
muscolari spesso facciali), acatisia (irrequietezza motoria), parkinsonismo
(bradicinesie, rigidità e tremore). Questi effetti vengono trattati con
successo con antiparkinsoniani. Raramente può notarsi una agranulocitosi, è in
ogni modo importante che l’assunzione sia effettuata sotto stretto controllo
neurologico o psichiatrico.
Amitriptilina:
(Adepril,
Laroxyl ecc.) è un antidepressivo
triciclico, che come altri della sua
specie come la Fluoxetina cloridrato (Prozac), viene usato per le implicazioni
somatoformi di questi pazienti. Se ne consiglia un dosaggio che si aggira
intorno ai 75 mg. al giorno, ma che non supera comunque i 125 mg., in quanto a
200 mg. è raccomandata l’ospedalizzazione. Ad alte dosi, infatti, sono molti
gli effetti collaterali che
può provocare, sia a carico del
S.N.C. sia sul cardiovascolare. Sono stati riferiti sintomi come sonnolenza, sensazione
di testa vuota, diminuzione della pressione arteriosa (direttamente
proporzionale alla dose), effetti anticolinergici (secchezza delle fauci e
offuscamento della visione), la deambulazione può diventare barcollante e il
soggetto può sentirsi affaticato e impacciato; tutti questi effetti vengono
percepiti dal paziente come spiacevoli e causano disforia. Anche Gayford27 afferma che dosi di 25 mg.
al giorno di amitriptilina non soltanto aiutano l’umore del paziente, ma
alleviano anche il tipo di dolore dove la terapia analgesica ha fallito, in
alcuni casi consiglia di coadiuvare la terapia con 10 mg. al giorno di
clordiazepossido. Sono un gruppo di farmaci relativamente sicuri e se ne
raccomanda l’uso prima di adoperarne altri più pericolosi, è inoltre possibile
riscontrarne l’efficacia già nell’arco di una o due settimane.
Clordiazepossido:
si tratta
di una benzodiazepina con effetti ottimali come ansiolitico, sedativo-ipnotico
e miorilassante. La loro azione pare sia dovuta al potenziamento dell’inibizione
neuronale mediata dal GABA; il loro uso è diffuso tra psichiatri, anestesisti e
neurologi.
L’associazione
tra antidepressivo e ansiolitico è secondo Gayford la terapia di
elezione dove si sono riscontrati A.F.P. associati a stati depressivi o ansiosi,
dove non si riscontrano eventuali cause organiche e la classica terapia
farmacologia antidolorifica non ha avuto gli effetti desiderati.
Eli consiglia di mantenere questa terapia fino a che
i sintomi non sono eliminati, prestando attenzione chiaramente a non
raggiungere dosi tossiche che potrebbero peggiorare la situazione anche sotto
il profilo psicologico, quindi riprenderla nel momento in cui dovessero
ripresentarsi.
Shankland68 consiglia basandosi sulla sua
casistica il trattamento conservativo dell’A.F.P., indicando uno standard
terapeutico:
· Iniezione
locale di corticosteroidi, preferibilmente Celestone (Betametasone fosfato
sodico).
· Dose
di 4 mg. al giorno sempre di corticosteroide quale il Depo-medrol
(Metilprednisolone acetato).
· Dosi
di Baclofen variabili in base alle esigenze del paziente
Se il Baclofen non ha l’effetto di torpore
desiderato, somministrare Fenitoina o una combinazione tra i due farmaci.
Dopo aver effettuato la prima parte della terapia,
consiglia di rivedere il paziente ogni 15 giorni per sei mesi, annotando i
progressi o le variazioni del sintomo e agendo di conseguenza.
Robert e Person59 raccomandano, dopo aver appurato con opportuni
metodi radiografici la presenza di cavità più o meno grandi correlate ad una
storia pregressa di chirurgia orale, un intervento chirurgico esplorativo.
Essi hanno eseguito questa terapia su 21 pazienti
cui era stato diagnosticato A.F.P. L’intervento era eseguito in anestesia
locale, l’esposizione poteva essere intra o extraorale, quest’ultima è in
alcune situazioni da preferire perché secondo gli autori permette un accesso
meno traumatico alla cavità ossea ed elimina la possibilità di contaminazione
della flora batterica orale.
Le cavità esposte venivano curettate, attentamente
irrigate con soluzione fisiologica e una soluzione antibiotica (Cloromicina),
quindi suturate.
I risultati erano soddisfacenti: i pazienti
riportavano dopo un certo periodo di tempo, solitamente non superiore a una
settimana, una recrudescenza dal sintomo doloroso, che a volte si ripresentava
però con nuovi schemi, in questi casi veniva effettuato un nuovo intervento che
spesso portava alla luce cavità ancora nascoste. Dopo questo secondo intervento
il sintomo era stato eliminato per lunghi periodi di tempo che variavano da uno
a nove anni.
Non sono state riportate complicanze gravi, a parte
un’anestesia di durata variabile dal lato interessato, anzi in alcuni casi dove
insieme al dolore di A.F.P. si presentava emicrania che coinvolgeva le aree
vertebrali, frontali, temporali o occipitali, anche i sintomi di quest’ultima
tendevano a diminuire o a scomparire totalmente.
Anche l’elettrostimolazione può essere utilizzata
per lenire il dolore cronico facciale. L’elettrostimolazione transcutanea, o
T.E.N.S., non ha riscontrato però
molto successo nella terapia del dolore facciale atipico a causa di problemi
anatomici. Quindi, Steude70
ha tentato di utilizzare la stimolazione percutanea, che raggiungendo
direttamente il nervo con un elettrodo, è in grado dopo una stimolazione di 24-48
ore di dare sollievo dal dolore per un periodo variabile da due a sei
settimane.
Quando i trattamenti descritti falliscono, alcuni
specialisti consigliano di intervenire con la terapia chirurgica direttamente
sul nervo trigemino68,
anche se in letteratura la maggior parte delle procedure chirurgiche per A.F.P.
non hanno dato buoni risultati3-6.
Questo probabilmente accade in quanto non c’è
un’eziologia comprovata come accade per la nevralgia trigeminale sulla quale
terapie chirurgiche di decompressione microvascolare danno spesso un grosso
successo.
Pur essendo descritti alcuni rapporti positivi su
interventi chirurgici quali la tractotomia trigeminale e altre lesioni ablative
celebrali6, la maggior parte di questo
tipo di interventi, come la neurectomia periferica, la decompressione
microvascolare del ganglio di Gasser, la neurotomia retrogasseriana
suboccipitale o subtemporale, non sono risultati molto utili nella terapia
dell’A.F.P., anzi questo tipo di chirurgia invasiva spesso danneggia ulteriormente
il nervo trigemino, conducendo il paziente ad un aumento del disturbo e ad una
sensazione di torpore prima inesistenti.
Meyerson6 suggerisce che impianti di microstimolatori nel
ganglio di Gasser o nel talamo offrono
buone possibilità di successo.
Il blocco antalgico locale può coinvolgere il
ganglio di Gasser o le branche periferiche e consiste nell’infiltrazione in
queste strutture di alcool o di
anestetico locale; il loro valore terapeutico è oggi discutibile in quanto, pur
portando alla scomparsa del dolore, determinano una recidiva nel 90 % dei casi
dopo circa un anno, migliore invece è il loro uso sotto il profilo diagnostico68-71, oppure per permettere al
paziente di sperimentare l’anestesia che si produce nell’emifaccia in
previsione di un intervento chirurgico.
Le uniche terapie chirurgiche che hanno riscosso un
certo successo sono quelle meno invasive come la gangliolisi, parliamo di
termolisi percutanea Gasseriana con radiofrequenza e di gangliolisi
retrogasseriana mediante iniezione di glicerolo.
La termolisi con radiofrequenza è consigliata da
Shankland68 e altri6-18-40 per riuscire a denervare
selettivamente le fibre Ad e C dei nervi sensoriali.
Viene effettuata inserendo un ago attraverso il collo che passa nel forame
ovale e arrivato alla radice del ganglio funziona da elettrodo. La posizione
dell’ago è confermata radiologicamente, quindi è emanata la scarica di onde a
radiofrequenza (circa 250000 Hz.) che producendo calore determinano una lesione
gangliare.
Il calore si diffonde in modo costante, quindi la
lesione è ben circoscrivibile. Inoltre, dato che le fibre nervose dolorifiche
sono le meno mielinizzate, quindi le
meno resistenti al calore ,è possibile effettuare una lesione davvero
selettiva.
L’anestetico usato è molto leggero, il paziente
rimane parzialmente sveglio durante l’intervento che non è traumatico e
solitamente il giorno dopo viene dimesso dal centro specialistico. La mortalità
dell’intervento è quasi nulla, è efficace nel 90 % dei casi producendo una
perdita sensoriale ottimale, la recidiva è proporzionale all’intensità della
termolesione, così come lo è l’eventuale ipoestesia corneale nel 10-15 % dei
casi, è possibile notare occasionalmente debolezza dei muscoli masseteri e
raramente l’anestesia dolorosa, secondo la maggior parte degli Autori il dolore
può ripresentarsi mediamente da uno a cinque anni dopo l’intervento.
Shankland pur ritenendo questa procedura efficace,
non la ritiene ottimale, perché, a suo parere, c’è la possibilità di mettere in
pericolo anche le fibre motorie. Inoltre, pur avendo il successo pieno durante
l’intervento chirurgico, si può sperare
di andare a ridurre o ad eliminare per un periodo di tempo che va dai nove ai
sedici mesi il dolore, poi bisogna intervenire nuovamente con la stessa o con
altre terapie. Non è della stessa
opinione Dalessio8, infatti egli asserisce
che la radiofrequenza è la procedura operativa più accettata ed ha il
vantaggio della sicurezza e semplicità. La gangliolisi effettuata mediante
l’iniezione di glicerolo puro è stata introdotta nel 198140 e consiste nell’iniezione
di tale alcool nella cisterna trigeminale. La tecnica operativa è simile a
quella utilizzata per la radiofrequenza, la funzione del glicerolo pare sia
quella di agire specificatamente sulle fibre dolorifiche o su quelle alterate
(demielinizzate).
Questa tecnica determina una scomparsa del dolore
con modeste alterazioni della sensibilità nell’80 % dei casi almeno per un
anno, nel 60 % per un massimo di cinque anni (percentuale di successo simile
alla termolisi con radiofrequenza), il tasso di complicanze è minore dello 0,5
%.
La gangliolisi pur essendo la tecnica più usata in
principio nella terapia delle N.T., è una delle poche tecniche chirurgiche
utilizzate anche nella terapia dell’A.F.P., in particolare su quei pazienti che
non rispondono in modo ottimale a nessun altro trattamento.
Una
variante di queste tecniche55 è l’inserimento grazie a un
catetere sonda di un palloncino a
livello della compressione vascolare del nervo, l’immissione di aria nel
piccolo palloncino crea un’ischemia transitoria che lede le fibre del fascio nervoso. Quest’ultimo metodo non è
molto utilizzato probabilmente per la sua minore selettività nei confronti di
quelli prima menzionati.
Ziccardi e coll.81 pur consigliando di trattare l’A.F.P. con
decompressione vascolare e gangliolisi, riaffermano l’utilità della neurectomia
periferica come alternativa nei pazienti refrattari alle altre terapie. E’
indubbio che l’approccio terapeutico a questi pazienti deve essere multidisciplinare,
quindi vicino alla terapia farmacologica o chirurgica, non dovrà mai mancare
quella psicologica.
Lebovits38 suggerisce che i centri per la cura del dolore
devono includere trattamenti anche per
il dolore psicosomatico e che
migliore si è rilevato la psicoterapia di gruppo, che aiuta a il
paziente sia a mantenere relazioni psicosociali che interpersonali, sia ad
anticipare, quindi ad evitare quelle
situazioni emotive avverse che sono
spesso associate ad un peggioramento della sintomatologia.
Quindi, come
già specificato, non uno, ma
una serie di
specialisti devono poter trattare il paziente multidisciplinariamente,
cioè sviluppare il massimo di
interazione e di comunicazione nella squadra . Inoltre, questo tipo d’approccio
implica l’emergere di diverse prospettive per la cura del dolore cronico,
perciò il gruppo dovrebbe comprendere specialisti che hanno una comune visione
del problema; una tale organizzazione potrà permettere di integrare le
informazioni di uno stesso paziente, formulando così un piano di trattamento
globale.
Bonica6 raccomanda di scegliere un responsabile per ogni
caso specifico, un membro della squadra in grado di coordinare il trattamento
di un particolare paziente scelto mettendo in correlazione i sintomi del paziente
e le branche specialistiche
dell’équipe. Consiglia, inoltre, che ogni membro dello staff si attenga
e accetti la regola delle “cinque C”: Comunicazione, Collaborazione,
Coordinazione, Cooperazione, Cortesia. Regole che se rispettate permetteranno
di ottenere dei risultati terapeutici altrimenti inaspettati.
BIBLIOGRAFIA
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“Diagnostic and statistical manual of mental disorders” 1994, 4th ed.
2.
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3.
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