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IL DOLORE NELL’ ATLETA

DIAGNOSTICA DIFFERENZIALE CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLE TENDINOPATIE INSERZIONALI

 

G. SERAFINI - C. TRANQUILLI§ - A.F. SABATO*

 

Università degli Studi di Roma "Tor Vergata"

Scuola di Specializzazione in Anestesia e Rianimazione (Dir. Prof. G. Leonardis)

*Cattedra di Anestesia Generale e Speciale Odontostomatologica

§Istituto di Scienza dello Sport - C.O.N.I.(Roma) -Dipartimento di Medicina dello Sport (Dir. Prof. G. Caldarone)

 

Sommario

1. Premessa

2. Metodologia algologica

3. Diagnostica differenziale

3.1. Meccanismo patogenetico

3.2. Struttura anatomica/funzionale

3.2.1. Tendinopatie della cuffia dei rotatori della spalla

3.2.2. Sindrome del tibiale anteriore e posteriore

3.2.3. Tendinopatie dei mm. epicondiloidei ed epitrocleari (gomito del tennista e del giocatore di

          golf o del lanciatore)

3.2.3.1. epicondilite  laterale (Gomito del tennista)

3.2.3.2. epicondilite mediale (Gomito del lanciatore, del giocatore di golf)

3.2.4. Tendinopatia degli adduttori dell’anca (pubalgia - patologia pubo-sinfisaria)

3.2.5. Tendinopatia rotulea

4. Conclusioni

5. Bibliografia

Indice Figure

Figura 1. Rapporto tra attività sportiva e comportamento da dolore

Indice Tabelle

Tabella I. Classificazione patogenetica del dolore muscolo-scheletrico.

Tabella II. Classificazione anatomo-funzionale del dolore muscolo-scheletrico.

Tabella III. Caratteristiche cliniche del dolore meccanico-degenerativo.

Tabella IV. Caratteristiche cliniche del dolore infiammatorio.

Tabella V. Caratteristiche cliniche comuni del dolore neuropatico.

Tabella VI. Caratteristiche cliniche del dolore neuropatico da compressione.

Tabella VII. Stadiazione clinica del dolore dipendente dal simpatico.

Tabella VIII. Caratteristiche cliniche del dolore psicogeno.

Tabella IX. Caratteristiche cliniche del dolore articolare.

Tabella X. Caratteristiche cliniche del dolore capsulare.

Tabella XI. Caratteristiche cliniche del dolore legamentoso.

Tabella XII. Caratteristiche cliniche del dolore osseo.

Tabella XIII. Caratteristiche cliniche del dolore borsitico.

Tabella XIV. Caratteristiche cliniche del dolore muscolare da trauma.

 

 

riassunto

Malgrado l’incompleta conoscenza del dolore dal punto di vista fisiopatologico e clinico, e nonostante l’influenza di molti fattori individuali che con esso interferiscono, il sintomo “dolore” rimane pur tuttavia un elemento cardine, talora il solo, nell’evidenziare una patologia nel soggetto che pratica attività sportiva.

Nell’atleta generalmente domina il dolore muscolo-scheletrico, quindi un dolore somatico profondo che ha origine nelle strutture miofasciali, tendinee, capsulari, legamentose, osteoperiostee, articolari.

In particolare, per la necessità di valutare i tempi e i modi di ripresa agonistica, e la migliore strategia terapeutica, occorre che la differenziazione diagnostica sia puntuale rispetto al meccanismo patogenetico operante e alla struttura antomica/funzionale interessata.

Il presente lavoro fa riferimento esclusivo alla patologia inserzionale tendinea, a cui è dedicato un approfondimento diagnostico dei quadri clinici delle sedi più interessate: le inserzioni del sovraspinoso e del sottospinoso nella cuffia dei rotatori della spalla, dei tendini del tibiale anteriore e posteriore, le origini muscolo-tendinee dell’estensore e del flessore comune del polso (gomito del tennista e del giocatore di golf o del lanciatore), i tendini d’inserzione prossimale dei mm. adduttori dell’anca e il tendine rotuleo in corrispondenza della sua origine a livello del polo inferiore della rotula.

parole chiave: tendinopatia inserzionale, diagnosi differenziale, dolore muscolo-scheletrico nell’atleta, medicina sportiva.

summary

Pain experience in sport is a pivotal, sometimes the only one, element to make a pathology evident, notwithstanding the incomplete physiopathologic and clinical knowledge of pain and in spite of influence over it of many individual factors.

Generally, in the athlete prevails musculoskeletal pain, then a deep somatic pain arising from myofascial, tendinous, capsular, ligamentous, osteoperiosteal, articular structures. In particular, a differential diagnosis pathogenically and anatomically/functionally accurate is needed to value time and way to the agonistic recommencement and the best therapeutic strategy.

The attention of this paper is exclusively paid to  the insertional tendinopathy, and a more in-depth diagnostic approach will be reported about patterns of the most interested sites: the insertions of supraspinatus and infraspinatus muscles in rotator cuff, of tibialis anterior and posterior tendons, the musculotendinous origins of extensors and flexors of wrist and pronators of the forearm (tennis and golfer’s elbow), the proximal insertions of hip adductors and  the patella tendon in correspondence of its origin at the basis patellae level.

key words: -Differential diagnosis; Insertional-tendinopathy; Athletic-; Muscle,-Skeletal-pain; Sports- Medicine.


1.               Premessa

Malgrado l’incompleta conoscenza del dolore dal punto di vista fisiopatologico e clinico, e nonostante l’influenza di molti fattori individuali che con esso interferiscono, il sintomo “dolore” rimane pur tuttavia un elemento cardine, talora il solo, nell’evidenziare una patologia nel soggetto che pratica attività sportiva.

Prima ancora di addentrarci nello specifico clinico-semeiologico, occorre sottolineare che nella valutazione delle manifestazioni algiche nel soggetto sportivo è indispensabile tener presente che sia la soglia del dolore che la soglia di tolleranza del dolore sono più alte, e che il campo di sensibilità al dolore (pain sensitivity range - con cui si intende la differenza tra soglia del dolore e soglia di tolleranza del dolore) di chi esercita programmi di movimento e di sport è significativamente più ampio che nei soggetti normali.

Nella Fig.1 è indicata la correlazione fra accentuazione e attenuazione del comportamento da dolore in 25 sofferenti cronici, per lo più con dolori di schiena organici o non. Dai dati si rileva che sottoponendosi ad un numero crescente di esercizi le reazioni al dolore diminuiscono. Benché non lo si possa desumere dall’illustrazione, l’intensificarsi delle esercitazioni ha preceduto la caduta del dolore.

Si è diffusamente enfatizzato che il dolore è un’esperienza multidimensionale e, secondo il modello sviluppato da Melzack e Casey, si articola in 3 dimensioni: sensoriale-discriminativa, motivazionale-affettiva e cognitivo-valutativa. Questo evento, cioè, determina, nel soggetto in cui si verifica, un’esperienza complessa e diversificata che include:

- identificazione dello stimolo sensoriale in termini di localizzazione e di proprietà fisiche (sistema sensoriale-discriminativo);

- attivazione dei riflessi autonomici sopraspinali (ventilazione, circolazione, funzioni neuroendocrine), tonalità affettiva sgradevole e spinta motivazionale dell’organismo a reagire (sistema motivazionale-affettivo);

- elaborazione della stimolazione dolorosa (nocicezione) in termini di memorizzazione, comparazione con esperienze passate, apprendimento, capacità di astrazione (interpretazione e significato), attenzione e vigilanza, capacità di giudizio, intellettive, culturali, capacità di verbalizzazione (sistema cognitivo-valutativo).

In quest’ottica l’azione inibitoria sul dolore esercitata da programmi di attività fisica dipende probabilmente da un’azione su:

1. componente sensoriale mediante:

               Øchiusura del “cancello spinale” per stimolazione diretta delle fibre nervose

                  afferenti dalle placche neuromuscolari

               Øazione analgesica indotta da stress (Stress-induced analgesia), sia mediante

                  meccanismi oppioidi (aumento della produzione di oppioidi endogeni, quale

                  ad es. Endorfina, anche se, a dire il vero, taluni autori affidano ad essi un

                  ruolo minore nell’analgesia da attività fisica), sia mediante meccanismi non

                  oppioidi (neuromediatori), sia, infine, mediante l’aumento d’increzione di

                  alcuni ormoni tra cui l’ACTH.

2. componente cognitiva attraverso una riduzione percettiva dell’intensità dello

   stimolo mediante:

               Øazione distraente data dall’attenzione verso un obiettivo e dalla motivazione

                  per il conseguimento dello stesso

               Øriduzione del comportamento di cautela e del rafforzamento negativo della

                  percezione dell’intensità dello stimolo algico ad esso collegato

               Øaumento del campo di azione sociale e del potenziamento positivo del

                  comportamento ad esso associato

Nell’azione cognitiva inibitoria gli atleti sono favoriti dalla prevalenza, tra di essi, della tipologia A, presente in misura maggiore che non nella popolazione normale. Il tipo A è definibile come un individuo iperattivo, competitivo, particolarmente efficiente, con una netta tendenza ad autoresponsabilizzarsi, dotato di maggior “controllo interno” e di maggiore autostima (l’assenza di tali caratteristiche definiscono il tipo B).

2.               Metodologia algologica

La valutazione del fenomeno dolore, nella sua globalità, richiede un approccio che abbia come metodologia generale la pianificazione di un procedimento che consenta di gestire il paziente algico programmando uno sviluppo a 4 fasi:

[1]   Analisi clinica (anamnesi, es. obiettivo, tests diagnostici),

[2]   Identificazione diagnostica (anche nella sua espressione differenziale),

[3]   Soluzione terapeutica (e sue implementazioni),

[4]   Revisione valutativa dell’iter diagnostico-terapeutico,

avendo come obiettivo fondamentale quello di fornire al paziente la migliore soluzione analgesica possibile, in accordo con un buon giudizio clinico e psicodinamico.

Tutto questo tenendo presente che molto spesso, però, l’orientamento diagnostico, in ambito sportivo, deve essere posto con estrema rapidità, in condizioni ambientali di grande disagio ed avendo frequentemente il dolore quale unico elemento di giudizio per valutare l’entità del danno e di conseguenza la possibilità di far proseguire l’atleta nella prestazione agonistica senza rischio per la sua integrità fisica.

Comunque, la raccolta anamnestica deve avvenire dalla viva voce del soggetto, sollecitando, con opportune domande, la descrizione, più accurata possibile, di alcuni aspetti del sintomo.

Fondamentale è la capacità del soggetto di localizzare, con più o meno precisione, la sede del dolore (circoscritto, diffuso;  superficiale, profondo - maggiore è la capacità di discriminazione spaziale più la struttura interessata è superficiale) e la sua distribuzione ( se ha una diffusione metamerica-dermatomerica, scleromerica, miomerica- o no; se c’è un dolore irradiato, proiettato, riferito).

Devono essere, inoltre, indagate:

a.    la qualità (ad es.:puntorio, urente, gravativo, costrittivo, tensivo, lacerante, indefinibile, ecc.);

b.    l’intensità (mediante scale verbali, da lieve a insopportabile, o strumenti analogici-VAS-, da 0 a 10);

c.    la modalità d’insorgenza (improvvisa, rapida, graduale);

d.    l’andamento nel tempo (continuo, subcontinuo, ondulante, accessionale).

Naturalmente la conoscenza degli aspetti biomeccanici del gesto sportivo forniscono un notevole aiuto per la formulazione della diagnosi. Accanto all’anamnesi algologica occorre quindi un’accurata anamnesi sportiva. Risulta, infatti, particolarmente utile conoscere le tecniche di allenamento con i relativi carichi di lavoro cui è sottoposto l’atleta nel corso della sua attività, non dimenticando, tuttavia, che in molti casi la sintomatologia dolorosa è conseguenza di un’azione traumatica acuta.

A questa fase di orientamento generale, seguirà la meticolosa ricerca di segni obiettivi: lesioni di continuità, evidenze flogistiche, segni di attività neurovegetativa (vasodisfunzione locale, sudorazione, attività pilomotoria ecc.), deformità, tumefazioni, aree di allodinia (comparsa di dolore in seguito a stimoli innocui), di iperalgesia (risposta esagerata ad uno stimolo doloroso), iperpatia (sindrome dolorosa nella quale dopo uno stimolo, specie se ripetuto -sommazione spaziale o temporale-, c'è una reazione dolorosa abnorme, spesso a carattere esplosivo, insieme ad un innalzamento della soglia dolorifica; possono essere presenti altri sintomi quali: difettosa identificazione e localizzazione dello stimolo, latenza di risposta, irradiazione e permanenza del dolore anche dopo che lo stimolo è cessato -dolore residuo).

Utile, anche a questo scopo, l’esecuzione di tests clinico-funzionali quali la mobilizzazione passiva, attiva e contro resistenza dei segmenti corporei interessati (fondamentali, talvolta, per individuare dolori ad insorgenza elettiva, che orientano decisamente la diagnosi, specie nel dolore muscolo-scheletrico), e di tests neurologici.

D’aiuto è anche l’individuazione dell’ eventuale presenza dei cosiddetti fattori intrinseci ed estrinseci. Nei fattori intrinseci vengono compresi i difetti di assialità (da cui, ad es., derivano variazioni dalla norma delle risultanti dei vettori di forza applicati sul tendine), le dismetrie degli arti (soprattutto inferiori), gli squilibri muscolari tra agonisti e antagonisti, e, infine, la debolezza di un gruppo muscolare. Ad esempio, nello specifico del nostro riferimento, l’eccessiva pronazione del piede e la presenza di un accentuato cavismo dell’arco plantare possono essere alla base di una tendinopatia achillea o del tibiale posteriore; così come le dismetrie degli arti inferiori sono in grado di provocare tendinopatie per differenze superiori ai 15 mm (eccessiva pronazione di compenso del piede e della caviglia dell’arto più lungo). Anche un’eccessiva debolezza muscolare può favorire l’insorgenza di una tendinopatia in un atleta, ad es., al quale si somministra un rapido incremento dei carichi di lavoro, senza attendere la comparsa dei fisiologici meccanismi di adattamento dell’unità muscolo-tendinea.

I fattori estrinseci comprendono, accanto agli errori di allenamento, le anomale risposte elastiche dei conglomerati plastici usati nella pavimentazione di piste, pedane e campi, le condizioni ambientali (clima eccessivamente umido o freddo), un’attrezzatura sportiva non idonea (una racchetta con accordatura troppo tesa, una bicicletta con sellino basso, calzature sprovviste di supporto plantare idoneo, ecc.).

L’identificazione diagnostica trae, infine, notevole giovamento dall’uso di metodiche strumentali non invasive quali la teletermografia, l’ecografia, gli esami radiografici, l’elettromiografia, la RMN.

3.               Diagnostica differenziale

Nell’atleta generalmente domina il dolore muscolo-scheletrico, quindi un dolore somatico profondo che ha origine nelle strutture miofasciali, tendinee, capsulari, legamentose, osteoperiostee, articolari.

In generale, tale dolore è percepito con meno precisione rispetto al dolore cutaneo. A differenza di questo, infatti, che permane sempre circoscritto, caratteristica del dolore muscolo-scheletrico è la diffusione che può assumere la distribuzione metamerica, con tendenza alla superficializzazione (iperalgesia cutanea e sottocutanea). Viene descritto come crampiforme, tensivo, costrittivo, urente, oppressivo, terebrante, la cui intensità può variare in un ampio range, da lieve a insopportabile; non è raro il rapporto di proporzionalità inversa con il grado della lesione (vale a dire che talvolta, specie nelle lesioni capsulo-legamentose, più è grave il quadro patologico, più l’intensità è lieve). La modalità d’insorgenza è dipendente dal meccanismo patogenetico prevalente potendo essere improvvisa nell’azione traumatica, o graduale nel meccanismo microtraumatico; l’andamento nel tempo varia a seconda della causa, e può essere continuo, subcontinuo o incidente (in rapporto, cioè, a manovre, posture o movimenti specifici o, più raramente, aspecifici). Gli stimoli addizionali, portati sulle strutture interessate, in particolare le digitopressioni, le palpazioni, le contrazioni attive o contro resistenza, incrementano la sintomatologia dolorosa. In questo tipo di dolore generalmente non si riscontrano reazione emozionali o neurovegetative che vadano oltre quanto può essere comprensibile corredo di un dolore, specie se molto intenso; fanno eccezione le sindromi iperpatiche che si possono riscontrare in alcune sindrome miofasciali acute da punti triggers, la cui presenza, sebbene di sofferenza per il paziente, dà almeno il vantaggio di un notevole aiuto diagnostico.

Già da questo rapido excursus, si mette in evidenza che le caratteristiche generali del sintomo, che risultano comuni a tutte le strutture interessate, e la stretta connessione delle stesse in talune aree ( ad es.: colonna vertebrale, grandi articolazioni), rendono talora molto ardua la diagnosi differenziale.

In particolare, per la necessità di valutare i tempi e i modi di ripresa agonistica, e la migliore strategia terapeutica, occorre che la differenziazione diagnostica sia puntuale rispetto al meccanismo patogenetico operante (Tab.I), e alla struttura antomica/funzionale interessata (Tab.II).

3.1.          Meccanismo patogenetico

Riguardo al primo, ci soffermiamo qui su quelli che sono i meccanismi senza dubbio più frequenti (incidendo per il 30/50% nei confronti di tutte le lesioni da sport) nella genesi di dolore muscolo-scheletrico nello sportivo, il dolore da trauma, cioè, e da microtrauma, rimandando alle Tabb.III-VIII per una visione sintetica, forse anche un po' accademica, ma certamente, riteniamo, molto utile, delle caratteristiche peculiari comuni degli altri meccanismi patogenetici.

Nel dolore da trauma solitamente c’è un rapporto chiaro di causalità evento-patologia. Qualunque sia il tessuto interessato viene descritto:

1.    un dolore immediato, strettamente connesso al momento lesivo,

2.    un dolore ricorrente (o ritardato), che insorge in successione al precedente, che può durare minuti, ore o giorni in rapporto all’entità e all’evoluzione dei fenomeni reattivi conseguenti. Attenzione a distinguere questo dolore ritardato dal dolore tardivo, che può insorgere non durante l’esecuzione di una attività fisica, ma molte ore dopo la cessazione della stessa, e che è in rapporto con l’esecuzione di un esercizio dinamico eccentrico, ovvero di una contrazione delle fibrocellule in corso di allungamento del muscolo (lavoro negativo).

Il danneggiamento traumatico di una struttura somatica profonda può non limitarsi a provocare un dolore loco-regionale (il più delle volte a distribuzione metamerica), ma pone il soggetto a rischio di reazioni algodistrofiche, con l’attivazione, cioè, o la partecipazione patogenetica, meglio, di vie riflesse simpatiche (Tab.VII) . Come, ad esempio, nella traumatologia del ginocchio, in cui, se il processo patologico tende a cronicizzare, si possono evidenziare aree di iperalgesia al III inferiore di coscia, accompagnate da edema duro e ipotrofia muscolare, prevalentemente in sede mediale; o come nella frattura meniscale, evento peraltro frequente in alcune discipline, in cui può essere evidente una ipotrofia muscolare, di solito a carico del vasto mediale, che non viene modificata dagli esercizi di riabilitazione prima che il menisco leso venga rimosso.

A differenza del trauma, nell’azione microtraumatica, che peraltro è quella che maggiormente incide nella genesi delle lesioni tendinee, a prevalere non è il singolo episodio ma il sovraccarico funzionale cui viene sottoposto l’apparato locomotore dell’atleta nel corso della sua attività. Per sovraccarico si intende la ripetizione del gesto sportivo o di atti motori specifici per tempi eccessivamente lunghi, o con intensità tale da determinare un’azione meccanico-traumatica sulle strutture interessate.

La sintomatologia soggettiva comune a tutte le lesioni da sovraccarico, e alle tendinopatie in particolare, è rappresentata da un dolore che si manifesta nel corso delle sollecitazioni funzionali o, in genere, durante quelle attività che ripetono il gesto sportivo “incriminato”. Dal punto di vista anamnestico la conoscenza degli aspetti biomeccanici dell’attività sportiva indagata e l’individuazione dell’azione patologicamente sinergica dei già visti fattori intrinseci ed estrinseci, che inevitabilmente amplificano ed esaltano l’azione politraumatica delle sollecitazioni funzionali, forniscono un notevole aiuto alla formulazione della diagnosi.

Da un punto di vista obiettivo il dolore viene risvegliato dalla pressione e dalla palpazione esercitata in corrispondenza della formazione tendinea interessata, o nel corso di manovre funzionali, quale, ad esempio, la contrazione del muscolo contro resistenza, o l’allungamento passivo.

3.2.          Struttura anatomica/funzionale

Faremo, come è nel nostro assunto, riferimento esclusivo alla patologia inserzionale tendinea, riconoscendo, d’altra parte come indispensabile, per chi intende occuparsi di medicina sportiva in generale, e di algologia nello sport in particolare, la conoscenza, ai fini diagnostici, della tipologia clinico-semeiologica con cui tendono ad esprimersi i quadri clinici a seconda del diverso interessamento strutturale (Tabb.IX-XIV).

In generale, il dolore tendineo è il tipico dolore da sovraccarico funzionale che solitamente si presenta con le seguenti caratteristiche:

·      è un dolore localizzato, meno frequentemente loco-regionale, a carattere continuo o incidente, che tende ad attenuarsi col riposo;

·      è un dolore che presenta irradiazione sia spontanea che dopo stimolo;

·      è esacerbato dalla pressione sul tendine, e dai movimenti contro resistenza;

·      provoca una limitazione funzionale più o meno intensa del segmento interessato;

·      può accompagnarsi a tumefazioni sottocutanee più o meno accentuate;

·      nelle forme acute, a maggiore espressività clinica, si associa la contrattura dei muscoli coinvolti, con l’assunzione di atteggiamenti antalgici.

Dolore rapidamente ingravescente, tanto da obbligare l’atleta ad interrompere l’attività, edema ed infiammazione sono le tipiche espressioni di una peritendinite. Alla palpazione il tendine risulta estremamente e diffusamente dolente ed in alcuni casi è anche possibile avvertire un lieve crepitio facendo eseguire movimenti di flesso-estensione.

Nelle tenosinoviti che, in ambito sportivo, sono costituite prevalentemente dalle forme ipertrofiche-essudative, rispetto a quelle stenosanti, appannaggio più dell’età avanzata e non in stretto rapporto con l’attività sportiva, gli aspetti clinici sono caratterizzati dalla tumefazione locale, visibile nettamente nelle localizzazioni superficiali, dal dolore evocabile con manovre di contrazione muscolare attiva contro resistenza e, nelle forme fibrinose, da un crepitio locale che ricorda il calpestio della neve fresca.

Nelle tendinosi la sintomatologia soggettiva è piuttosto modesta, al pari della palpazione che rivela un tendine ispessito, che consente di individuare le irregolarità marginali sotto forma di noduli ed ispessimenti circoscritti, e che risveglia in genere un modesto dolore.

Nelle peritendiniti e tenosinoviti associate a tendinosi la sintomatologia dolorosa è tipicamente caratterizzata dall’alternanza di fasi di acuzie (provocate dalla flogosi tendinea) ad altre di netta riduzione della sintomatologia soggettiva (quando l’infiammazione scompare, mentre permangono le alterazioni degenerative). Obiettivamente il tendine risulta aumentato di calibro, talvolta irregolarmente, per la presenza di piccoli noduli nel suo contesto, e notevolmente dolente quando è presente una situazione di flogosi acuta.

Nelle tendinopatie inserzionali, infine, il dolore è nettamente esacerbato dalla contrazione isometrica del muscolo affetto e si associa a marcata dolorabilità nel punto d’inserzione.

Le sedi più interessate dalla patologia inserzionale, e a cui dedicheremo dei richiami, sono le inserzioni del sovraspinoso e del sottospinoso nella cuffia dei rotatori della spalla, dei tendini tibiali anteriore e posteriore, le origini muscolo-tendinee dell’estensore e del flessore comune del polso (gomito del tennista e del giocatore di golf o del lanciatore), i tendini d’inserzione prossimale dei mm. adduttori dell’anca e il tendine rotuleo in corrispondenza della sua origine a livello del polo inferiore della rotula.

3.2.1.Tendinopatie della cuffia dei rotatori della spalla

La lesione inserzionale della cuffia dei rotatori (tendini del sottoscapolare, del capo lungo del bicipite, del sottospinoso, del sovraspinoso e del piccolo rotondo), e, più in generale, la patologia di spalla colpisce prevalentemente quegli atleti la cui disciplina sportiva implica l’uso intenso o ripetitivo dell’arto superiore, in particolare, nel nostro caso, quelle in cui il “lancio” rappresenta il gesto tecnico caratteristico: lancio del giavellotto, baseball, nuoto, canottaggio, sollevamento pesi, ginnastica, lotta, tennis.

La patologia inserzionale della cuffia dei rotatori va inquadrata all’interno della sindrome da impingement o del conflitto anteriore, che sostituisce in gran parte quella che viene ancora conosciuta come periartrite scapolo-omerale,  di cui va a costituire il quadro clinico prevalentemente del II stadio.

La lesione sottoscapolare può essere provocata dall’abduzione e dalla rotazione esterna forzate o ripetitive. La lesione al sottospinoso e al piccolo rotondo può essere provocata da adduzione e rotazione interna forzate o ripetitive. Il sovraspinoso viene leso con l’adduzione forzata o con l’abduzione contro resistenza, come può verificarsi sollevando o abbassando pesi con le braccia parzialmente flesse e abdotte.

Il dolore incidente che ne consegue è il risultato di usura muscolotendinea o impingement dei tendini compressi tra l’estremità omerale e l’arco coracoacromiale. Il fatto che l’impingement si produca non implica necessariamente che lo spazio che contiene le strutture sia insufficiente. Piuttosto, la maggior parte dei casi di sindrome da impingement sono semplicemente il risultato di insufficienza dei muscoli stabilizzatori della spalla, che sposta l’estremità omerale quando il braccio si muove. Come nel caso delle altre sindromi da usura, una volta presente, il dolore può essere la causa di ulteriore deterioramento della funzione del muscolo.

Tipicamente colpisce gli atleti meno giovani (25-40 anni) e si manifesta con un dolore intenso e persistente alla spalla. Il dolore può non essere ben localizzato alla cuffia dei rotatori, ma piuttosto riferito all’area laterale del braccio (inserzione del deltoide). Come nel caso di altre sindromi da sovraccarico funzionale si assiste soventemente ad una progressione dei sintomi. Dapprima il dolore si manifesta in forma minima dopo l’attività. In seguito si manifesterà durante l’attività atletica, fino a divenire persistente e violento, presente anche durante le normali attività quotidiane. Nel modo caratteristico, comunque, il dolore è collegato all’attività (incidente), recede con il riposo, viene elicitato in maniera elettiva  nel movimento di abduzione e nell’elevazione dell’omero, presenta frequentemente delle esacerbazioni notturne, che impediscono di dormire sul lato leso. All’esame obiettivo si rileva, nella fase di stato, una notevole limitazione funzionale articolare della spalla per riflesso antalgico, soprattutto dell’abduzione (specie oltre i 45°), dell’intra ed extrarotazione, che forzate risvegliano il dolore: talora la rigidità articolare è assoluta. Si rileva dolore alla pressione sulla regione subacromiale posteriore, e delle aree di iperalgesia sull’unità muscolo-tendinea compromessa. Con lo spasmo del trapezio, il cingolo scapolare si potrà presentare sollevato in modo anormale; più frequentemente sarà depresso e abbassato (caduto). Potranno essere presenti segni di instabilità gleno-omerale: limitazione della motilità, modelli anormali di movimento gleno-omerale, dolore e crepitamento con il movimento, atrofia e debolezza muscolare.

L’esame obiettivo dovrà ricercare anche i segni del conflitto (test di Neer- elevazione passiva del braccio del paziente, in rotazione interna, mentre con una mano si impedisce l’elevazione del moncone della spalla-, e di Hawkins- abbassamento passivo dell’avambraccio, mentre il braccio è tenuto elevato a 90° e il gomito flesso a 90°) e approfondire lo studio dei tendini della cuffia (manovra di Jobbe, per il sovraspinoso - movimento di abduzione contro resistenza con arto sup. abdotto a 90°, anteposto di 30° e intraruotato di 90° -, e di Patte, per il sottospinoso- movimento di rotazione esterna contro resistenza, eseguita in maniera comparativa); fondamentale, per autorizzare la diagnosi della sindrome del conflitto, è che la motilità passiva (da ricercare sempre a paziente supino) sia normale. Se esiste una limitazione dei movimenti passivi, non si deve parlare di conflitto ma piuttosto di capsulite retrattile o di “spalla congelata”. L’iter diagnostico può essere completato da un esame radiografico, ecografico e dall’ausilio dell’artrotomografia computerizzata e della RMN. La diagnosi differenziale, nello sportivo, va posta principalmente con una sindrome dolorosa miofasciale da punti triggers a carico di uno dei gruppi muscolari che può dare dolore riferito alla spalla ( sternocleidomastoideo, scaleno anteriore, trapezio, deltoide, gran pettorale); con la sindrome dello sbocco (outlet) toracico dovuta alla compressione del fascio neurovascolare brachiale; con dolori di origine cervicale; con artropatie della glenomerale; con dolori irradiantesi dal gomito (ad es.: epicondilite) o dalle estremità (ad es.: sindrome del tunnel carpale). L’esecuzione di tests neurologici, di un accurato esame muscolare ed elettromiografico, accanto alle precedenti indicazioni, può dirimere il dubbio nella maggioranza dei quadri. Qui vorremmo solo aggiungere qualche considerazione in più riguardo il rilievo dei punti triggers. Abbiamo già osservato che all’esame obiettivo, in queste patologie, è frequente il riscontro di aree mialgiche circoscritte, dette tender points, che vanno ben distinti dai punti triggers.

E a questo proposito, ci sembra utile, rammentare brevemente le caratteristiche fondamentali differenziali tra i 2 tipi di spot mialgici:

 

 

 

PUNTO TRIGGER

PUNTO TENDER

Indurimento tessutale (bande tese - taut band) intramuscolare

Presente

Assente

Risposta locale di contrazione delle fibre muscolari (local twitch response)

Presente

Assente

Dolore riferito in un’area bersaglio (target zone)

Presente

Assente

 

Vanno, infine, prese in considerazione, in ambito differenziale, alcune patologie post-traumatiche, causa di dolore cronico alla spalla.

Comune a tutte, anamnesticamente, un trauma acuto pregresso o ripetitivo:

*sublussazione gleno-omerale recidivante

Frutto di una insufficienza degli stabilizzatori dinamici o statici dell’articolazione è caratterizzata da dolore incidente associato a instabilità (percepita come un suono secco o uno spostamento): il dolore sarà avvertito nei movimenti di abduzione e rotazione esterna, come la fase alta del lancio o del servizio, nell’instabilità anteriore; nei movimenti di adduzione e rotazione interna, come la fase finale del lancio o del servizio, nell’instabilità posteriore. Un sintomo collaterale caratteristico risulta la sensazione del braccio “morto”, sintomo che, però,  può manifestarsi anche nelle lesioni della colonna cervicale o del plesso brachiale o con la sindrome dello sbocco toracico. Non sempre è obiettivamente dimostrabile una sublussazione, più comuni i segni di una instabilità anteriore (depressione e abbassamento del cingolo scapolare, rotazione esterna sovente limitata, abduzione accompagnata da una motilità scapolotoracica maggiore del solito, sostituzione dell’attività del m. pettorale con l’abbassamento anormale del cingolo scapolare durante la flessione e l’abduzione, atrofia e fascicolazione del deltoide anteriore, da sole o insieme); o i segni di una instabilità posteriore (rotazione interna limitata, flessione orizzontale accompagnata da un movimento scapolotoracico accentuato, atrofia e debolezza dei rotatori esterni, iperestesia sulla grande tuberosità, e segni positivi di impingement). Inoltre, a causa dell’usura compensatoria, si manifesta iperalgesia sui muscoli interscapolari della parte lesa. D’aiuto nella diagnosi differenziale, l’esame radiografico, con proiezioni ascellari standard e di West Point della spalla.

 

 

*Malattia degenerativa dell’articolazione acromioclavicolare

Complicazione di una qualsiasi distorsione acuta acromioclavicolare, può verificarsi anche senza una precisa lesione acuta precedente. In questi casi la causa presunta è il trauma ripetitivo dell’articolazione. Il sintomo principale è il dolore incidente ben localizzato, causato non solo dai movimenti legati all’attività sportiva, ma anche caratteristicamente dalla flessione orizzontale della spalla (chinando il corpo in avanti). Obiettivamente si potrà rilevare iperalgesia sull’articolazione. Potrà anche essere presente la deformità conseguente ad una lesione acuta pregressa, dolore e crepitio con il movimento, specie con la flessione orizzontale. Di solito i test del conflitto saranno negativi, ma non è raro che a questa patologia si associ una sindrome da impingement, ponendo seri problemi di diagnosi differenziale che può avvalersi di un esame radiografico, o, meglio, di una RMN. Di  valido aiuto può risultare il criterio ex adiuvantibus dato dall’infiltrazione dell’articolazione con 1-2 ml di anestetico locale, cui far seguire la ripetizione dell’esame obiettivo, che in caso di positività metterà in evidenza la scomparsa del dolore.

 

 

*Esostosi traumatica dell’omero (nodulo del placcatore)

Risultato di trauma diretto ripetitivo, come può verificarsi nei placcaggi del football americano, da cui “il nodulo del placcatore”, trae origine da una nuova formazione ossea sulla faccia dell’omero, nella zona d’inserzione del deltoide, o dell’origine del brachiale. Può presentarsi come massa dolorosa: se è compromesso il deltoide saranno presenti dolore e invalidità nell’abduzione della spalla; se è interessato il brachiale, dolore e invalidità nella flessione attiva del gomito, e l’estensione del gomito sarà limitata. Dirimente l’esame radiografico.

 

 

3.2.2.Sindrome del tibiale anteriore e posteriore

Queste condizioni morbose possono essere inserite nell’ambito delle cosiddette shin splints, le sindromi, cioè, compartimentali attenuate.

La sindrome del compartimento vera e propria, da cui le prime vanno differenziate, è una condizione in cui tutti i tessuti all’interno di un compartimento osteofasciale (nell’arto inferiore possiamo individuare quattro compartimenti osteofasciali: anteriore, laterale o peroneale, superficiale e posteriore profondo) sono compromessi da un aumento della pressione all’interno di quel compartimento, che esita in una compressione a carico delle strutture nervose e vascolari. In pratica, sono delle patologie a patogenesi vascolare ischemizzante dovute, per lo più,  a traumi osteo-articolari o dei tessuti molli della gamba che, in un distretto poco espansibile come il compartimento, provocano direttamente o indirettamente (tramite versamenti) una dislocazione arteriosa con compressione occlusiva ab estrinseco.

Questo è vero soprattutto per le forme acute, che rappresentano un’emergenza, seppure poco comune in ambito sportivo, e che comunque esulano dalla nostra trattazione.

Le forme croniche, più frequenti, hanno una sintomatologia più sfumata e colpiscono maggiormente giovani atleti, tipicamente dopo alcuni anni di attività. I disturbi compaiono frequentemente quando viene incrementata l’intensità o la frequenza degli allenamenti, manifestandosi principalmente negli atleti dediti alla corsa (prevalentemente come sindrome compartimentale anteriore), e nei ciclisti e giocatori di calcio (come sindrome compartimentale posteriore).

La sindrome del tibiale  anteriore e posteriore, in cui la sofferenza da sforzo è a carico prevalentemente dei muscoli tibiali anteriori e posteriori, delle loro giunzioni muscolo-tendinee ed osteo-tendinee, soprattutto in soggetti superallenati o male ed affrettatamente allenati, sono tipiche lesioni da durata, primariamente associate alle attività della corsa e del salto: si va quindi dal corridore dell’atletica leggera al ginnasta, dalla danza al pattinaggio, al giocatore di football americano o di calcio, al ciclista, ecc.

È questo l’ambito in cui può assumere importanza la valutazione dei fattori intrinseci ed estrinseci (vedi Cap. 2). Infatti le anomalie biomeccaniche, come l’iperpronazione del piede, vengono osservate spesso, anche se ancora non è stata dimostrata una loro importanza prevedibile. Così, per esempio, trattando un corridore affetto da una sindrome del tibiale posteriore e un’eccessiva pronazione del piede, potremmo prescrivere un dispositivo ortopedico correttivo, ma certamente non suggeriremmo che tutti i corridori che presentano una pronazione debbano utilizzare tale dispositivo per prevenire tale condizione.

La diagnosi differenziale comprende diverse patologie, alcune anch’esse lesioni da durata quali la sindrome tibiale mediale da stress (in cui più che il tibiale sembra essere interessato il soleo), la periostite, le fratture tibiali o peroneali da stress, e soprattutto la frattura trasversa da stress della corticale anteriore della diafisi al III medio della tibia, che non solo è particolarmente lenta a consolidarsi, ma presenta anche un’elevata incidenza verso la frattura e la lussazione esposte; altre che si inseriscono nel quadro clinico della claudicatio intermittens quali la sindrome da compressione dell’arteria poplitea in giovani atleti, o altre patologie vascolari dell’arto inferiore. Non va, infine, dimenticata l’esclusione di una possibile discopatia L5 -S1 , anche in forma concomitante.

In tutte le lesioni da durata il primo sintomo è il dolore. Dapprima presente dopo l’attività, successivamente si manifesta gradualmente durante l’allenamento e, infine, lo precede precludendo l’attività. In molti casi, nel momento in cui l’atleta si presenta per il trattamento, i sintomi saranno presenti durante le normali occupazioni quotidiane.

La sede del dolore è importante. Quando viene riferito in corrispondenza dell’ inserzione prossimale e del ventre muscolare del m. Tibiale anteriore è indicativo di una sindrome del tibiale anteriore. Il dolore in sede mediale al terzo distale della gamba può indicare una sindrome tibiale posteriore oppure una frattura tibiale da stress. La presenza di dolore nella regione anterolaterale della gamba ci orienta verso una sindrome compartimentale anteriore, mentre un dolore nella porzione laterale distale può essere rappresentativo di una frattura da stress della fibula. Un dolore che si localizza al di sopra della superficie anteriore della tibia nella parte media della porzione mediale della gamba indica, invece, una frattura trasversa da stress della corticale tibiale.

Le caratteristiche temporali con le quali si manifesta il dolore sono particolarmente importanti. Quando è presente all’inizio dell’allenamento ma scompare proseguendo l’attività, per ripresentarsi solo al termine dell’attività fisica suggerisce una sindrome tibiale. Una sintomatologia algica che si verifica sempre nello stesso momento o solo dopo la copertura dello stesso percorso, suggerisce una sindrome compartimentale cronica, o comunque una patologia vascolare.

Anche la qualità del dolore può fornirci orientamento diagnostico. Un dolore crampiforme associato a debolezza dell’arto inferiore durante lo sforzo è solitamente a patogenesi vascolare; un dolore incidente a “scossa elettrica” o lancinante o folgorante è più facilmente espressione di un conflitto disco-radicolare.

Alle fratture da stress può essere associata una tumefazione localizzata (presente talvolta anche nelle sindromi tibiali). Una tumefazione diffusa, spesso descritta come una sensazione di tensione, nella regione anterolaterale della gamba, suggerisce una sindrome compartimentale, così come succede in presenza di aree limitate, ben localizzate di tumefazione a carico dei tessuti molli: le ernie fasciali.

Nelle sindromi compartimentali croniche vengono occasionalmente riferite parestesie, disestesie o iperestesie, manifestazioni queste che risultano più costanti nelle sindromi discali.

All’esame obiettivo, nella sindrome tibiale anteriore, si rileva dolore alla pressione in corrispondenza dell’inserzione prossimale e del ventre muscolare del tibiale anteriore, così come si evoca dolore nei movimenti di flessione dorsale e supinazione del piede, specie contro resistenza. Dolore incidente nella dorsiflessione del piede può manifestarsi anche nel caso di una sindrome compartimentale anteriore cronica.

Un’iperestesia lungo il terzo distale del bordo mediale della tibia, associato a dolore nei movimenti di flessione plantare, contro resistenza, del piede e di inversione, suggerisce una sindrome tibiale posteriore. In questa patologia è praticamente costante il rilievo di una succulenza periostale tibiale (la cosiddetta tibia “a salsicciotto” per le impronte che permangono dopo una digitopressione, che risulta sempre molto dolorosa, sul bordo tibiale distale, in sede mediale).

Un’iperalgesia della tibia o della fibula, circoscritta in una superficie di pochi centimetri quadri, è particolarmente suggestiva per una frattura da stress.

Un pronunciato cavismo del piede o una severa pronazione possono associarsi ad una sindrome tibiale.

Le ernie fasciali, tipiche per una sindrome compartimentale cronica, specie anteriore, vengono localizzate come piccole sporgenze nel muscolo, solitamente nella metà inferiore della gamba. Vengono notate solo dopo gli esercizi, come se fossero conseguenti alla tumefazione muscolare; quando l’atleta è a riposo hanno l’aspetto di piccole depressioni.

L’esame obiettivo, nel caso di un sospetto dolore neurogenico, va sempre completato con un esame neurologico.

Spesso le conferme diagnostiche possono venire, però, solo dopo un esame radiologico, o una scintigrafia ossea, indicata soprattutto nel sospetto di fratture da stress, o la misurazione delle pressioni compartimentali prima e dopo gli esercizi.

3.2.3.Tendinopatie dei mm. epicondiloidei ed epitrocleari (gomito del tennista e del giocatore di golf o del lanciatore)

Altre tipiche patologie da microtraumatismi ripetuti, le cui espressioni cliniche sono ben conosciute, ma che brevemente riassumiamo.

3.2.3.1.epicondilite  laterale (Gomito del tennista)

Peculiare patologia dell’inserzione prossimale dei mm. estensori del polso, che colpisce prevalentemente i giocatori di tennis. Circa il 50% di essi, con un picco di incidenza tra i 40 e i 50 anni, può aspettarsi di incorrere in tale patologia durante il corso della loro attività. In un terzo dei casi sarà così severa da interferire con la loro vita quotidiana. Il sintomo principale è un dolore spontaneo in sede epicondiloidea, con frequente irradiazione alla faccia dorsale dell’avambraccio e della mano sino al III e IV dito (non è rara un’irradiazione alla spalla), soprattutto dopo intensa e prolungata attività sportiva. Caratteristica, come in tutte le patologie da usura, è la progressione dei sintomi. Nella maggior parte dei casi, un’accurata anamnesi rivelerà qualche cambiamento - racchetta nuova, tecnica diversa, aumento di tempo dedicato al gioco, ecc.- antecedente all’insorgere dei sintomi. All’inizio l’atleta avvertirà soltanto una sensazione di fatica e di spasmo ai muscoli dorsali dell’avambraccio, associati alla nuova attività. Quindi osserverà un indolenzimento al gomito laterale dopo aver giocato. In seguito proverà dolore intenso durante il gioco, soprattutto nel rovescio e nei colpi tecnicamente non corretti. Alla fine il dolore costante sarà tale da impedire il gioco, con una limitazione funzionale notevole non solo nello sport, ma anche nello svolgimento delle attività della routine quotidiana.

Obiettivamente si rileverà un’esacerbazione del dolore alla pressione sull’epicondilo e sulle zone circostanti, così come nell’estensione contro resistenza del polso e del III e IV dito,  nella prono-supinazione dell’avambraccio e nell’allungamento passivo degli estensori del polso. Nei quadri di lunga data possono presentarsi atrofia e debolezza dei mm. estensori e limitazione della flessione passiva del polso.

Di norma non sono necessari né l’esame radiologico né altri tests diagnostici, che invece sono assolutamente da consigliare laddove ci sia il sospetto che il quadro clinico sia espressione di una sindrome da compressione laterale (vedi avanti), di una sindrome del tunnel carpale (Test di Tinel- la percussione del nervo mediano in corrispondenza del legamento del carpo provoca dolore e parestesie nel territorio di distribuzione del nervo-, di Phanel- l’iperestensione del polso per 1 minuto scatena la sintomatologia della compressione del n. mediano-, EMG), o di una patologia scapolo-omerale, o di una artrite od osteoartrosi del gomito.

3.2.3.2.epicondilite mediale (Gomito del lanciatore, del giocatore di golf)

Tendinopatia dei flesso-pronatori del polso nella loro inserzione epitrocleare, colpisce i giovani giocatori di baseball ma anche lanciatori di giavellotto, pallavolisti, golfisti, ginnasti, tennisti, lottatori e pesisti.

Il gomito, per le sue caratteristiche anatomiche e per il suo sistema capsulo-legamentoso, è stabile solo in estensione ed a 90° di flessione: tra 0° e 90°, quindi, è particolarmente esposto alle sollecitazioni traenti, valgizzanti (particolarmente) e varizzanti, proprie soprattutto degli sport suelencati.

Quello che impropriamente viene definito gomito del lanciatore o, meglio, sindromi da tensione mediale/compressione laterale, è un quadro clinico complesso alla cui formazione concorrono diverse patologie, tra cui la tendinopatia inserzionale dei flesso-pronatori, che da questa vanno differenziate, potendo però frequentemente presentarsi associate: lesioni muscolari di I II o III grado dei mm. epitrocleari, distorsione del legamento collaterale ulnare, frattura da strappamento o frammentazione dell’epitroclea, allargamento della linea apofisaria nell’immaturo scheletrico, nevrite ulnare (tutte dovute, insieme alla tendinopatia, al carico eccessivo della tensione mediale esitante in lesioni extrarticolari); osteocondrosi capitellare, deformità o fratture della testa radiale, formazione di corpo libero intrarticolare e malattia degenerativa dell’articolazione (alla cui base c’è il carico eccessivo della compressione laterale che produce lesioni intrarticolari).

Diciamo subito che escludiamo dalle nostre considerazioni le lesioni acute da tensione mediale/compressione laterale (lesioni muscolari, distorsione del legamento collaterale ulnare e fratture da tensione o da compressione) la cui acuzie traumatica già è differenziale nei confronti della tendinopatia, anche se ci sono da tener presente i possibili,  conseguenti problemi cronici.

In più, le sindromi da compressione laterale pongono problemi di diagnosi differenziale più con le epicondiliti laterali che mediali; vengono prese in considerazione in questo ambito solo per omogeneità di trattazione.

Non di rado, inoltre, i problemi del gomito del lanciatore appaiono come complicazione o conseguenza associata a problemi della spalla del lanciatore, che va sempre attentamente esaminata. L’atleta può ritrovarsi in un circolo vizioso in cui favorirà il gomito a spese della spalla, con il risultato di peggiorare entrambi.

Altra situazione che può rivelarsi prodromica, favorendo un’usura per compensazione dei flesso-pronatori del polso con conseguente tendinopatia inserzionale, è la tendinopatia inserzionale distale del tricipite (sovraccarico funzionale dell’estensore del gomito), relativamente frequente tra i ginnasti e i portieri di calcio, che radiograficamente dimostra una tipica esostosi ossea olecranica (sperone ulnare da trazione).

Vanno, infine, escluse come causa di dolore cronico al gomito, la sindrome da impingement posteriore, la miosite ossificante e la, già vista, esostosi traumatica dell’omero nella zona d’origine del brachiale.

Il sintomo più frequente della tendinopatia inserzionale è il dolore spontaneo al gomito mediale e all’avambraccio volare associato all’uso dei flessori del polso e dei muscoli rotondi pronatori.. Come nel caso dell’epicondilite laterale, l’insorgere e la progressione del sintomo sono caratteristici.

Nel caso di nevrite ulnare il dolore si proietta all’avambraccio ulnare, associato a iperalgesia e parestesie, soprattutto alle due dita ulnari.

La tendinopatia tricipitale, laddove costituisce il quadro principale e quando v’è una sintomatologia, dà luogo ad un dolore ben localizzato a livello dell’olecrano.

Il dolore che può o non essere ben localizzato lateralmente, è di solito il sintomo presente nelle sindromi da compressione laterale. Nel caso di modificazioni degenerative, e, in particolare, con la formazione di corpo libero intrarticolare, potrà manifestarsi crepitio, tumefazione e blocco articolare. Le limitazioni di motilità provocate da dolore, tumefazione o spasmo muscolare, che possono manifestarsi anche nelle tendinopatie (specie la contrattura dei muscoli epitrocleari e l’atteggiamento antalgico del gomito in semiflessione), devono essere distinte dal blocco articolare vero e proprio, provocato da attrito meccanico. Il blocco è repentino e inibisce in modo definitivo qualsiasi movimento. Quando questo accade, l’atleta tende a eseguire “movimenti tipici del violinista” fino allo sblocco, altrettanto repentino. L’atleta rivela anche di sentire movimenti all’interno dell’articolazione. Questi risultati clinici implicano la presenza di corpo libero intrarticolare osteocondrale.

All’esame obiettivo i rilievi principali di una tendinopatia sono il dolore alla pressione in corrispondenza dell’epitroclea e delle zone viciniori o sull’olecrano, e il dolore che si riacutizza con la flessione, specie contro resistenza, del polso o con la pronazione dell’avambraccio. Sottolineavamo prima del possibile atteggiamento antalgico del gomito in semiflessione. Altri possibili rilievi fisici comprendono tumefazione del tessuto molle mediale (attenzione a differenziarla da una borsite traumatica dell’olecrano, dove fanno storia i traumatismi diretti ripetuti e la posizione posteriore della formazione), una dolorabilità dei muscoli dell’avambraccio volare, il dolore all’allungamento passivo dei flessori del gomito e, se coesistente una tendinopatia tricipitale, una limitazione dolorosa dell’estensione del gomito.

In caso di nevrite ulnare il test di Tinel sarà positivo, mentre sarà inibita la discriminazione di due punti sulle superfici palmari del mignolo e della metà ulnare dell’anulare, segno più significativo della disfunzione sensoriale del nervo. La funzione motrice del nervo è prontamente valutata con l’abdu-adduzione contro resistenza delle dita; si può rilevare, a volte, una diminuita forza dei primi mm. interossei dorsali o abduttori del V dito.

Le sindromi da compressione laterale sono evidenziate dall’iperalgesia sulla linea articolare laterale e dalla provocazione del dolore sul gomito laterale mentre il gomito è flesso ed esteso con applicazione di stress in valgo. Altri possibili risultati includono flessione o deformità in valgo del gomito, versamento, crepitazione e dimostrazione di blocco articolare effettivo.

Nella sindrome da impingement posteriore ( dovuta allo stress ripetitivo in valgo del gomito con impingement-attrito- della faccia mediale dell’olecrano contro l’orlo mediale della fossa olecranica)  dolore e iperalgesia sono di solito ben localizzati posteriormente o posteromedialmente. L’estensione contro resistenza del gomito non è dolorosa, ma il raggio di estensione è di solito limitato e una repentina estensione passiva riprodurrà il dolore da impingement.

Viceversa, con la tendinopatia tricipitale, l’estensione contro resistenza risulta dolorosa a differenza dell’estensione passiva.

Anche nella miosite ossificante (temibile complicazione delle lesioni acute del gomito, che, insieme alla faccia anteriore della coscia, sono particolarmente soggette alla formazione eterotopica di ossa nei tessuti molli traumatizzati) può essere presente una eccessiva difficoltà nell’estensione del gomito, associata a dolore incidente. Solitamente, comunque, il sintomo più comune è un nodulo doloroso davanti l’arto.

Se i reperti clinici sono insufficienti per la diagnosi, specie differenziale, risulteranno utili gli esami radiografici, EMG, scintigrafia ossea, e artrotomografia computerizzata.

3.2.4.Tendinopatia degli adduttori dell’anca (pubalgia - patologia pubo-sinfisaria)

Il rilievo di una sintomatologia dolorosa, invalidante, pubo-sinfisaria in atleti di numerose discipline sportive, sempreché svolte con intensità e continuità, costituisce, oggi più che in passato, un evento frequente. La tendinopatia della zona d’inserzione pubica (branca orizzontale e montante del pube, angolo pubico e sinfisi pubica) degli adduttori d’anca (cui si possono associare alterazione osteo-tendinee analoghe a quelle descritte nel capitolo delle epicondiliti) è anch’essa una lesione da durata, in cui sforzi massimali e prolungati, o eccessive richieste funzionali in soggetti mal allenati o lungamente assenti dall’attività sportiva, causano sollecitazioni ripetute ed abnormi a livello del pube, da parte dei tendini d’inserzione prossimale dei mm. suddetti (cui possono partecipare in misura minore anche i retti addominali).

La patogenesi riconosce, quindi, nei microtraumi ripetitivi fattori idonei a compromettere inizialmente, dopo una fase di flogosi, le giunzioni osteo-tendinee e poi le strutture ossee del pube e quelle articolari sinfisarie. Il processo così descritto, tuttavia, potrebbe non presentarsi secondo l’ordine schematizzato, ma limitare la sua espressività clinica o ad una tendinopatia inserzionale ovvero ad una distrofia osteocondrale sinfisaria.

Il gioco del calcio, in assoluto, consente il maggior numero di osservazioni cliniche di questa patologia, constatazione che ne ha giustificato, nel passato, l’inquadramento quale “tecnopatia specifica” di questo sport.

L’esperienza degli ultimi tempi, al contrario, ha dimostrato come una maggiore incidenza percentuale e statistica sia riscontrabile in discipline a minor diffusione quali la scherma, l’equitazione, il rugby, la pallamano, alcune specialità dell’atletica leggera (velocisti, mezzofondo, fondo), oltreché la pallacanestro e il tennis.

La lesione muscolo-tendinea deve essere distinta da problemi riguardanti le ossa e le articolazioni, molto meno comuni ma ben più gravi, ad esempio patologie degenerative articolari, lussazione della testa del femore  e, specialmente nell’atleta, la frattura da sforzo del femore, una lesione veramente seria che richiede un trattamento urgente e adeguato.

Il sintomo principale di una tendinopatia inserzionale è costituito da un dolore spontaneo continuo o incidente, a volte vivo a volte sordo e gravativo associato ad una sensazione di tensione, in corrispondenza della parte mediale della piega inguinale; inizialmente occorre in seguito ad un allenamento, col tempo si verifica proprio durante l’attività, con un andamento che spesso lo vede diminuire durante la prestazione sportiva, per riacutizzarsi subito dopo o a distanza di qualche ora (dolore tardivo). Raramente si presenta con dolori retropubici associati a tenesmo vescicale.

Nel caso della tendinopatia, il sito del dolore sarà corrispondente, sebbene col tempo la superficie algica si possa espandere. In presenza di fratture femorali da sforzo, la zona dolorante sarà solitamente non corrispondente, manifestandosi, ad esempio, nella regione degli adduttori un giorno e sul gluteo il successivo. Le fratture da sforzo della branca ischio-pubica possono anche presentarsi con dolore all’inguine, alla natica o alla coscia.

Gli atleti, giustamente, tendono a preoccuparsi per i dolori articolari, ma forse la maggior parte di loro non è al corrente della vera allocazione dell’articolazione dell’anca. Spesso, tendono ad identificare la patologia articolare d’anca con la zona del grande trocantere. Un dolore da patologia degenerativa, invece, da artrite, da lussazione della testa femorale e simili, è quasi invariabilmente percepito nella distribuzione del nervo femorale e otturatore, lungo, cioè, la regione anteromediale della coscia, fino al ginocchio. Infatti, alcuni atleti affetti da patologia articolare si presenteranno con un dolore al ginocchio correlato all’attività. Al contrario un dolore laterale e posteriore dell’anca raramente è collegato ad una patologia articolare della stessa.

All’esame obiettivo la tendinopatia sarà evidenziabile con l’evocazione di dolore alla digitopressione in sede pubica; il dolore sarà, inoltre, riacutizzato, sempre in sede pubica ma con frequente irradiazione a tutta la regione inguinale ed alla faccia interna della coscia, dalla manovra di adduzione attiva dell’anca, specie contro resistenza, o dall’allungamento passivo dei muscoli coinvolti. Alla palpazione, infine, effettuata ad anca semiflessa ed abdotta, i tendini prossimali degli adduttori possono presentare una consistenza dura e fibrosa. A volte si riscontra una diminuzione della forza negli arti e contrattura degli adduttori.

Il dolore incidente, specialmente con la rotazione interna, la limitazione del movimento, l’andatura antalgica, sono segni aspecifici di patologia articolare dell’anca. Il crepitio è più indicativo di una patologia articolare degenerativa.

Una deambulazione antalgica con adduzione ed extrarotazione dell’anca, un segno di Trendelemburg positivo (debolezza degli adduttori) e una limitazione dell’intrarotazione e della flessione dell’anca, sono segni caratteristici di sublussazione della testa femorale. Questa condizione è classicamente, ma non invariabilmente, riscontrabile nei soggetti di sesso maschile, flaccidi, non atletici, in età prepubere; occasionalmente ne sono affetti gli atleti maschi magri, e le donne.

Nel caso delle fratture femorali da sforzo, all’esame obiettivo, non sono evidenziabili reperti tipici.

Risulterà d’aiuto, in questo come negli altri casi a quadro dubbio, uno studio radiografico o una scintigrafia ossea.

3.2.5.Tendinopatia rotulea

Tra le diverse forme cliniche, la tendinopatia rotulea è una delle più conosciute per incidenza e gravità dei sintomi, ed interessa l’apparato estensore del ginocchio di quegli atleti che, per la loro attività, eseguono, in modo intenso e ripetitivo, movimenti di corsa e salto, come ad esempio avviene nella pallavolo, nella pallacanestro e nel salto in alto.

Nella maggior parte dei casi il processo interessa il tendine rotuleo in corrispondenza della sua origine a livello del polo inferiore della rotula, mentre risultano più rare le localizzazioni in corrispondenza del ventre tendineo o dell’inserzione distale sull’apofisi tibiale anteriore (specie in atleti che non hanno ancora raggiunto la maturità scheletrica - patologia di Osgood-Schlatter).

Molto spesso i reperti anamnestici indicano che l’atleta ha intensificato di recente gli allenamenti, oppure ha cambiato le proprie calzature sportive; la lesione si evidenzia attraverso una sintomatologia dolorosa del ginocchio anteriore ad esordio in genere subdolo, che insorge in alcuni atteggiamenti base dello sport praticato (arti inferiori semiflessi, sia in posizione di attesa che di caricamento) e scompare dopo un periodo di riposo.

In alcuni casi il dolore può comparire dopo che il soggetto è rimasto a lungo seduto con il ginocchio flesso (segno del cinema), o dopo aver guidato, al punto da obbligarlo ad eseguire energici movimenti di flesso-estensione del ginocchio per farlo scomparire.

L’esame obiettivo si basa sulla palpazione minuziosa di tutto il tendine, con particolare attenzione per la sua origine, sull’apice rotuleo, nonché sull’eventuale presenza del dolore in corrispondenza dei margini rotulei mediale o laterale.

L’esame va eseguito comparativamente sulle due ginocchia ed, inoltre, i movimenti attivi o contrastati di estensione della gamba sulla coscia, a paziente supino, quindi senza carico, non provocano dolore, anche se può risultare evidente una limitazione a carico dei movimenti di flessione; mentre risulta doloroso, in sede rotulea o, più frequentemente, sulla zona anteriore della coscia (porzione del retto femorale del quadricipite), uno stretching passivo, sempre a paziente supino, del quadricipite con una leggera pressione del piede verso il gluteo.

La diagnosi differenziale va posta con la sindrome meniscale, nella quale il dolore viene evocato dalla pressione in corrispondenza delle rime meniscali, e con la disfunzione femoro-rotulea che, però, molto spesso, soprattutto in atleti che eseguono allenamenti molto intensi per carichi e durata, può coesistere con la tendinopatia.

Definita variamente (condropatia rotulea, sublussazione della rotula, ginocchio del corridore, ecc.) la disfunzione femoro-rotulea è, la maggior parte delle volte, il risultato di un coinvolgimento in una nuova attività sportiva, o il postumo di una lesione acuta del ginocchio, generalmente a seguito di un ritorno all’attività sportiva prima di un adeguato rinforzo del quadricipite, occorrendo più frequentemente nelle donne, a differenza della tendinopatia rotulea che presenta una maggiore incidenza negli uomini.

Nell’instabilità femoro-rotulea il dolore è generalmente al di sopra del retinacolo mediale, ma può essere laterale, retropatellare o diffuso. Senza tener conto della posizione, il dolore, a differenza della tendinopatia, è raramente ben localizzato: se gli si chiede di indicare la sede del dolore, l’atleta, solitamente, sfrega l’indice e il medio su e giù lungo il margine mediale della rotula.

La disfunzione femoro-rotulea, generalmente, peggiora salendo o scendendo, eseguendo manovre in posizione accovacciata o semiaccovacciata, o, come nella tendinopatia, dopo essere stati a lungo seduti. In questo caso, però, si lamentano spesso del fatto che il ginocchio interessato si blocca. Non si tratta certo di un vero blocco, ma piuttosto di una rigidità determinata dalla difficoltà di raddrizzare le ginocchia.

All’esame obiettivo, è quasi sempre evidente una ipotrofia del vasto mediale, che risulta anche ipotonico. Anche qui, come nella tendinopatia, può evidenziarsi una limitazione dei movimenti di flessione: in più possiamo avere episodi di cedimento articolare e versamento.

C’è da osservare, infine, che un aumento dell’angolo Q (angolo formato dall’intersezione della linea del femore con quella del tendine rotuleo) e una rotula alta possono anche essere predisponenti per una disfunzione femoro-rotulea.

L’esame ecografico risulta molto affidabile, in quanto i reperti, nel caso di una tendinopatia rotulea, sono di facile individuazione ed interpretazione. Nei casi più impegnativi si può ricorrere alla TC o alla RMN.

4.               Conclusioni

Lo sportivo può manifestare dolore in un numero molto elevato di condizioni, proprio in conseguenza dell’attività praticata.

Riteniamo indispensabile la rigorosa attuazione di una metodologia (Cap.2) che ha nel rilievo anamnestico-semeiologico il primo fondamentale passo verso l’orientamento diagnostico, che, molto spesso, in ambito sportivo, deve essere posto con estrema rapidità, in condizioni ambientali di grande disagio ed avendo frequentemente il dolore quale unico elemento di giudizio per valutare l’entità del danno, e di conseguenza la possibilità di far proseguire l’atleta nella prestazione agonistica senza rischio per la sua integrità fisica.

Lo studio della sintomatologia dolorosa è ulteriormente complicato dall’interferenza di numerosi fattori individuali quali l’atteggiamento psicologico, la personalità, i modelli etnici e culturali. Tali fattori svolgono, infatti, un ruolo variabile nella modalità con la quale è vissuta l’esperienza dolorosa.

La rassegna che abbiamo presentato sulle principali patologie da sovraccarico funzionale, che più frequentemente vanno a prediligere le inserzioni osteo-tendinee, è stata un’occasione in più per sottolineare che, nell’ambito della patologia cronica dell’atleta, nessuna pianificazione terapeutica efficace può essere messa in atto senza la capacità metodologica di differenziare le diverse espressioni cliniche, avendo, per lo più, come elemento cardine, talora il solo, un sintomo - il dolore - per tutte le stagioni, a cui si aggiunge la ancora incompleta conoscenza che di esso si ha dal punto di vista fisiopatologico.

Esso deve essere, quindi, costantemente, pazientemente, puntigliosamente, analizzato e approfondito ai fini diagnostici.

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Figura 1. Rapporto tra attività sportiva e comportamento da dolore.


Tabella I. Classificazione patogenetica del dolore muscolo-scheletrico.



Tabella II. Classificazione anatomo-funzionale del dolore muscolo-scheletrico.


Tabella III. Caratteristiche cliniche del dolore meccanico-degenerativo.


Tabella IV. Caratteristiche cliniche del dolore infiammatorio.


Tabella V. Caratteristiche cliniche comuni del dolore neuropatico.


Tabella VI. Caratteristiche cliniche del dolore neuropatico da compressione.


Tabella VII. Stadiazione clinica del dolore dipendente dal simpatico.


Tabella VIII. Caratteristiche cliniche del dolore psicogeno.


Tabella IX. Caratteristiche cliniche del dolore articolare.


Tabella X. Caratteristiche cliniche del dolore capsulare.


Tabella XI. Caratteristiche cliniche del dolore legamentoso.


Tabella XII. Caratteristiche cliniche del dolore osseo.


Tabella XIII. Caratteristiche cliniche del dolore borsitico.


Tabella XIV. Caratteristiche cliniche del dolore muscolare da trauma.

 

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