Per le feste di fine millennio anche quest’anno mi sono
lasciato ammaliare dal fascino discreto delle nostre antiche usanze che sanno
di ritorno a su connottu.A Orgosolo e
in altri paesi dell’interno, per fine anno si ripetono ancora le festose
scorribande di bambini che vanno di casa in casa per chiedere sa Candelaria. Si tratta di una strenna,
in origine era una fetta di pane bianco, a forma di ventaglio, che nella parte
a punta recava una crocetta. Evidente l’intento di sacralizzarne il significato
ben augurante. Oggi a Sa Candelaria
si da’ un po’ di tutto, soldi in special modo, ed è forse per questo che i
bambini continuano a chiederla con l’intento evidente di racimolare qualcosa da
spendere in più appaganti divertimenti. Ai tempi del bisogno la questua delle
fette di pane (perché pane si chiedeva e pane si elargiva) iniziava di mattina
presto e chi arrivava tardi, come sentenza l’antico adagio, male alloggiava. A
Orgosolo c’ero già stato altre volte ed è per questo che, per l’occasione, ho
preferito indirizzare la mia attenzione verso i paesi del Goceano, dove si
chiede su Candelarzu. Cambiano i doni
offerti, ma non cambia il significato. A Benetutti l’Amministrazione Comunale
si è data un gran da fare per tessere la trama di una sapiente regia. L’usanza,
visto che i bambini non mancano, doveva riconquistare i fasti di una volta
.Restava pertanto da fare opera di convincimento presso le famiglie del paese
in modo che le porte venissero spalancate quando le timide manine vi avessero
bussato. A giudicare dai frutti fotografici che ho raccolto è evidente che la
politica del passaparola, unitamente a quella del “rimbocchiamoci le mani”, è
stata efficace quanto basta. Nell’uscio delle case contenitori variegati, colmi
di ogni grassia ‘e Deus, facevano
bella mostra nell’attesa della banda scanzonata dei piccoli e grandicelli che
sarebbero dovuti passare per chiedere su
Candelarzu. Nella porta del Municipio vari cestini assai capienti
contenevano sas Rughittas di pane
che, per la salvaguardia dell’igiene, erano state raccolte in sacchettini di
cellofan trasparenti. A distribuire c’era anche il Sindaco in persona, e
questo, a mio avviso , è stato molto bello. Ma la piacevole sorpresa non è
venuta soltanto dalla disponibilità del primo cittadino. In questi cestini c’era
ben altro, ed è su quello che mi sono avventato famelico, non solo per fare
fotografie ma anche per chiedere informazioni. Il pianificatore incaricato per
l’occasione dal Comune, oltre a sas
Rughittas, ha voluto dimostrare il suo attaccamento alla tradizione
preparando anche altri pani, caduti ormai in disuso. Fino a non molti anni fa
ai maschietti per su Candelarzu venivano
dati dei ninnoli di pane a forma di bastoncino: s’accheddu. La sorpresa è stata grande perché in quei bastoncini mi
è sembrato di riconoscere il tirso, il bastone propiziatorio delle maschere di
Ottana e Samugheo: rotondeggiante in punta e coperto di fronde lungo il manico.
Osservare l’immagine per credere! Poi ho intravisto due focacce, una stilizzata
e l’altra più leggibile. La prima, ovale, con degli strani intagli lungo il
bordo ( personalmente credo di individuarci sas
ficcas ), recante affiancati dodici fori e dodici anellini che dovrebbero
ricordare i dodici mesi dell’anno. E’ il pane de su cabidu’e s’annu, Il pane dell’inizio dell’anno. I dodici
anellini dovrebbero ricordare il simbolo di dodici soli, tanti quanti sono i
mesi. Anche in questo caso sento di avanzare una mia personalissima
interpretazione. I dodici fori che affiancano gli altrettanti anellini sembrano
più lune che soli. Lune piene e lune spente. E allora perché non pensare che
anticamente potessero essere tredici e non dodici, come le lune di un anno?
Comunque sia quel pane, il giorno dell’Epifania, Sa Pasca ‘e sos tres res, veniva spezzato sul capo del bambino più
piccolo dal patriarca dal patriarca della famiglia. Il gesto mi è stato
ripetuto, segno che l’usanza sopravvive nel ricordo dei più anziani. Ed è
proprio l’estrema naturalezza con la quale il gesto ancora presente è stato
ripetuto che non mi convince circa l’appannamento di memoria che ha a che fare
con le parole che venivano recitate nel fare il segno della croce e nello spezzare
il pane. In ogni caso, su cabidu ‘e s’annu,
una volta spezzato, veniva equamente distribuito perché tutti potessero
beneficare di questa solenne benedizione. Quante cose abbiamo smarrito! Qual è
quel padre che oggi inizia l’anno benedicendo la prole con un pane simbolico
che rappresenta la grazia e l’augurio? L’altra ispianada era sa pertusitta.
Un pane rotondo con dei disegni che rimandano all’economia agro pastorale: un
uomo armato di pungolo, un giogo di buoi, il recinto degli animali, il grano
dei campi, e via dicendo. SA pertusitta veniva
preparata nelle case dei massai e dei pastori e, sempre il giorno dell’Epifania,
veniva spezzata sul capo di un vitello, dapprima passandovela sopra e ripetendo
per tre volte il segno della croce. Anche questa azione mi è stata gentilmente
riprodotta da un attempato pastore locale. Evidente la mia incredulità nonché la
gioia incontenibile nel documentare quanto i miei occhi stentavano a credere.
Anche in questo caso il pane, una volta spezzato, veniva distribuito ai
componenti della famiglia, ma anche per questo atto, purtroppo, le parole dell’orazione
sono rimaste un mistero. Credo che l’usanza, ormai dimessa, meriti maggiore
attenzione ed è per questo che concludo i miei appunti di viaggio con la
speranza che qualcuno possa tornare sull’argomento, non solo per dare
soddisfazione alla mia curiosità, ma soprattutto per dare vanto alla comunità
di Benetutti che, anche se a livello di memoria passiva, è riuscita a
conservare una tradizione assai remota, e il tutto all’alba di un nuovo
millennio.