BENETUTTI E SU CANDELARZU

DI FINE MILLENIO

Di Franco Stefano Ruiu

 

Per le feste di fine millennio anche quest’anno mi sono lasciato ammaliare dal fascino discreto delle nostre antiche usanze che sanno di ritorno a su connottu.A Orgosolo e in altri paesi dell’interno, per fine anno si ripetono ancora le festose scorribande di bambini che vanno di casa in casa per chiedere sa Candelaria. Si tratta di una strenna, in origine era una fetta di pane bianco, a forma di ventaglio, che nella parte a punta recava una crocetta. Evidente l’intento di sacralizzarne il significato ben augurante. Oggi a Sa Candelaria si da’ un po’ di tutto, soldi in special modo, ed è forse per questo che i bambini continuano a chiederla con l’intento evidente di racimolare qualcosa da spendere in più appaganti divertimenti. Ai tempi del bisogno la questua delle fette di pane (perché pane si chiedeva e pane si elargiva) iniziava di mattina presto e chi arrivava tardi, come sentenza l’antico adagio, male alloggiava. A Orgosolo c’ero già stato altre volte ed è per questo che, per l’occasione, ho preferito indirizzare la mia attenzione verso i paesi del Goceano, dove si chiede su Candelarzu. Cambiano i doni offerti, ma non cambia il significato. A Benetutti l’Amministrazione Comunale si è data un gran da fare per tessere la trama di una sapiente regia. L’usanza, visto che i bambini non mancano, doveva riconquistare i fasti di una volta .Restava pertanto da fare opera di convincimento presso le famiglie del paese in modo che le porte venissero spalancate quando le timide manine vi avessero bussato. A giudicare dai frutti fotografici che ho raccolto è evidente che la politica del passaparola, unitamente a quella del “rimbocchiamoci le mani”, è stata efficace quanto basta. Nell’uscio delle case contenitori variegati, colmi di ogni grassia ‘e Deus, facevano bella mostra nell’attesa della banda scanzonata dei piccoli e grandicelli che sarebbero dovuti passare per chiedere su Candelarzu. Nella porta del Municipio vari cestini assai capienti contenevano sas Rughittas di pane che, per la salvaguardia dell’igiene, erano state raccolte in sacchettini di cellofan trasparenti. A distribuire c’era anche il Sindaco in persona, e questo, a mio avviso , è stato molto bello. Ma la piacevole sorpresa non è venuta soltanto dalla disponibilità del primo cittadino. In questi cestini c’era ben altro, ed è su quello che mi sono avventato famelico, non solo per fare fotografie ma anche per chiedere informazioni. Il pianificatore incaricato per l’occasione dal Comune, oltre a sas Rughittas, ha voluto dimostrare il suo attaccamento alla tradizione preparando anche altri pani, caduti ormai in disuso. Fino a non molti anni fa ai maschietti per su Candelarzu venivano dati dei ninnoli di pane a forma di bastoncino: s’accheddu. La sorpresa è stata grande perché in quei bastoncini mi è sembrato di riconoscere il tirso, il bastone propiziatorio delle maschere di Ottana e Samugheo: rotondeggiante in punta e coperto di fronde lungo il manico. Osservare l’immagine per credere! Poi ho intravisto due focacce, una stilizzata e l’altra più leggibile. La prima, ovale, con degli strani intagli lungo il bordo ( personalmente credo di individuarci sas ficcas ), recante affiancati dodici fori e dodici anellini che dovrebbero ricordare i dodici mesi dell’anno. E’ il pane de su cabidu’e s’annu, Il pane dell’inizio dell’anno. I dodici anellini dovrebbero ricordare il simbolo di dodici soli, tanti quanti sono i mesi. Anche in questo caso sento di avanzare una mia personalissima interpretazione. I dodici fori che affiancano gli altrettanti anellini sembrano più lune che soli. Lune piene e lune spente. E allora perché non pensare che anticamente potessero essere tredici e non dodici, come le lune di un anno? Comunque sia quel pane, il giorno dell’Epifania, Sa Pasca ‘e sos tres res, veniva spezzato sul capo del bambino più piccolo dal patriarca dal patriarca della famiglia. Il gesto mi è stato ripetuto, segno che l’usanza sopravvive nel ricordo dei più anziani. Ed è proprio l’estrema naturalezza con la quale il gesto ancora presente è stato ripetuto che non mi convince circa l’appannamento di memoria che ha a che fare con le parole che venivano recitate nel fare il segno della croce e nello spezzare il pane. In ogni caso, su cabidu ‘e s’annu, una volta spezzato, veniva equamente distribuito perché tutti potessero beneficare di questa solenne benedizione. Quante cose abbiamo smarrito! Qual è quel padre che oggi inizia l’anno benedicendo la prole con un pane simbolico che rappresenta la grazia e l’augurio? L’altra ispianada era sa pertusitta. Un pane rotondo con dei disegni che rimandano all’economia agro pastorale: un uomo armato di pungolo, un giogo di buoi, il recinto degli animali, il grano dei campi, e via dicendo. SA pertusitta veniva preparata nelle case dei massai e dei pastori e, sempre il giorno dell’Epifania, veniva spezzata sul capo di un vitello, dapprima passandovela sopra e ripetendo per tre volte il segno della croce. Anche questa azione mi è stata gentilmente riprodotta da un attempato pastore locale. Evidente la mia incredulità nonché la gioia incontenibile nel documentare quanto i miei occhi stentavano a credere. Anche in questo caso il pane, una volta spezzato, veniva distribuito ai componenti della famiglia, ma anche per questo atto, purtroppo, le parole dell’orazione sono rimaste un mistero. Credo che l’usanza, ormai dimessa, meriti maggiore attenzione ed è per questo che concludo i miei appunti di viaggio con la speranza che qualcuno possa tornare sull’argomento, non solo per dare soddisfazione alla mia curiosità, ma soprattutto per dare vanto alla comunità di Benetutti che, anche se a livello di memoria passiva, è riuscita a conservare una tradizione assai remota, e il tutto all’alba di un nuovo millennio.  





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