Shigeaki Sugeta , giapponese doc, parla perfettamente il
sardo e addirittura lo insegna all’Università di Waseda (Tokyo).Qualche mese fa
ha ritirato presso l’Ateneo di Cagliari il Premio “La Marmora “, giunto alla XVIII
Edizione, ed ha stupito tutti quando, intervistato da una televisione locale,
si è rivolto ai sardi nella loro antica lingua. Non è certo un fatto consueto sentire
un distinto signore dagli occhi a mandorla usare la nostra lingua. Sugeta ha detto
di essere innamorato della Sardegna da
oltre vent’anni; nel 1994 ha pubblicato il primo dizionario Sardo-Giapponese,
di cui sta per uscire la seconda edizione, intitolato “Sas 1500 paragulas
fundamentales de sa limba sarda” e sta elaborando una grammatica della lingua
sarda. E’ arrivato al sardo, lui che è un glottologo di fama internazionale,
inseguendo le lingue romanze, ossia le lingue derivate dal latino, dette,
perciò, anche neolatine. Sono considerate tali, come è noto, il portoghese, lo
spagnolo (o castigliano), il catalano, il provenzale, il francese, il ladino,
(o retoromanzo), il romeno, il sardo, appunto e il dalmatico, ormai estinto e
soppiantato dalle lingue slave.Il professore giapponese sostiene che il sardo è
senz’altro una fase odierna della lingua latina e la sua conoscenza
contribuisce a comprendere meglio le altre lingue romanze. Infatti la lingua
sarda è quella che è rimasta più fedele al latino parlato: la corrispondenza
può essere colta in molti fenomeni fonetici, lessicali, sintattici, e
morfologici. Ciò, d’altra parte, è il risultato dell’intera romanizzazione cui
è stata sottoposta la Sardegna. Ben sette secoli, dal 238 a.C. al V sec. D.C.
Nessun’altra civiltà, come quella romana, si è affermata così a lungo nell’Isola
, incidendo profondamente sulla sua fisionomia sociale , civile e culturale. E
tale influsso non si è chiuso con la caduta dell’Impero Romano di Occidente
(476 d.C.), ma è continuato con la diffusione del monachesimo occidentale. Con
la fine dell’Impero Romano, per l’intero Medioevo e per buona parte dell’era
moderna, l’Isola e piombata in un isolamento quasi completo che, pur tra i
molteplici effetti negativi, ha, tuttavia avuto il merito di aver consentito
alla lingua neo sarda di svolgersi lentamente e, soprattutto, in modo per così
dire auctotono, ossia senza importanti turbamenti da parte di altre lingue. L’isolamento
a riguardato maggiormente il Nuorese, l’Ogliastra e la Nurra, isole nell’Isola,
ed è proprio in queste zone che si è andato cristallizzando un neo sardo
rimasto molto vicino al latino. Perciò è dal latino che sono derivate le varianti
del campidanese , logudorese e gallurese ed è in queste che Sugeta ha trovato
un prezioso tesoro, la fonte più importante e insostituibile dei suoi studi. Ma
purtroppo a questo straordinario e meraviglioso interesse per la lingua sarda,
coltivato lontano dall’Isola, fa riscontro, ormai da tempo, un forte calo di
tensione qui da noi. Molti, proprio in Sardegna, considerano il sardo una
lingua superata, relegata a qualche battuta fiorita o comunque a motti di
spirito. I giovani, in particolare, lo conoscono poco o niente, anche perché,
sostengono alcuni, esiste poca letteratura :Grazia Deledda e Sebastiano Satta,
ad esempio, hanno scritto in lingua italiana.
Recenti statistiche hanno dimostrato che, purtroppo, il
sardo sta cedendo su tutta la linea : tendono a parlarlo coloro che
appartengono alle classi più basse e con un livello d’istruzione non elevato.
Il suo uso, riscontrabile in qualche misura nelle generazioni di una certa età,
decresce di molto in quelle più giovani. Fatto curioso poi , è che le donne
sono meno inclini degli uomini ad esprimersi in sardo. Gli stessi genitori si
rivolgono ai figli solo in italiano credendo in tal modo di rendere più facile
il loro inserimento nella società. E’ comunque nei centri più piccoli che
sopravvivono ancora i valori della cultura sarda tradizionale, ivi compresa la
lingua, mentre nella città, in cui predomina la cultura industriale, questo
inestimabile patrimonio va sempre più scomparendo a vantaggio di apporti
culturali esterni. Il declino della lingua sarda è conseguente alla profonda
trasformazione di tutta l’organizzazione sociale ed economica della comunità
sarda: in particolare sono stati determinanti sia il passaggio da un’economia
di tipo agro-pastorale e di sussistenza a una di tipo industriale che ha modernizzato
e tecnicizzato la società sarda, sia la concentrazione della popolazione nei
così detti Poli Urbani e l’abbandono delle campagne che sono le aree in cui più
facilmente si mantengono le lingue minoritarie. Cause del declino della lingua
sarda sono state, inoltre, da trent’anni a questa parte , l’emigrazione di
molti sardi in Continente e negli altri Paesi europei, e pur con gli aspetti
per altri versi positivi, la scuola dell’obbligo , l’accesso alle scuole
superiori e all’università di un numero
sempre più elevato di giovani , il turismo di massa e la rivoluzione
tecnologica che ha portato la televisione, la radio, il telefono ed ora il
computer nelle case di tutti i sardi. Michelangelo Pira, che a questi
cambiamenti guardava con particolare attenzione, a visto nella televisione…la
seconda madre dei bambini sardi, oltre a quelle naturale. La tanto attesa legge
della Regione sarda (la n. 26 del 1997 ) che riguarda non solo la lingua, ma l’interno
patrimonio culturale isolano, nonostante i suoi limiti e alcune ambiguità,
consente alla lingua sarda di riappropriarsi della sua dignità potendo essere
studiata nelle scuole e usata negli uffici pubblici. Occorre essere coscienti,
però, che si tratta solo dell’inizio di un lungo cammino. Una legge, infatti,
non può risolvere tutti i problemi. In particolare se la dinamica linguistica è
strettamente connessa all’organizzazione dell’economia e della struttura della
società, la vera questione da affrontare non è tanto, come qualcuno vorrebbe,
quella dell’unificazione dell’ortografia fra le varianti della lingua sarda,
quanto piuttosto il superamento da parte di noi stessi sardi di quel diffuso
senso di vergogna manifestato negli ultimi decenni verso la nostra lingua, che
ci a portato a tacciare di ignoranza e di arretratezza chi osasse parlarla. La
scuola e l’Università potranno fare molto in questa direzione, soprattutto se
riusciranno a far emergere la straordinaria ricchezza che in essa è racchiusa e
i valori fondati della nostra identità di cui è principale veicolo Ora anche lo
Stato, nello scorso mese di dicembre, si è dato una legge (la n. 492 del 1999)
di tutela delle minoranze linguistiche storiche. Tra esse anche il sardo. L’orizzonte,
finalmente, sembrerebbe farsi più roseo. Molto dipenderà da noi, dalla voglia
di riscoprire le nostre radici. Dall’estero ci arrivano segnali formidabili e
incoraggianti: oltre che in Giappone, la lingua sarda viene studiata anche in
diverse Università degli Stati Uniti e in quelle di Monaco e Stoccarda dove il
glottologo Heinz Jurgen wolf ha formato una scuola di filologi romanzi che si
sono specializzati proprio nella nostra lingua. E non è senza significato
quanto si può ammirare a Gerusalemme nella chiesa carmelitana del Pater Noster,
eretta sul monte degli ulivi, sopra la grotta dove, secondo la tradizione,
Cristo insegnò il Padre Nostro ai suoi. Discepoli. Nell’attiguo chiostro la
preghiera è riportata su maioliche in 62 lingue, tra cui il sardo “Babbu nostru chi ses in Chelu …”