L’UNIVERSO STELLATO


Di Marco Puddu

Da sempre l’uomo con la fantasia ha dipinto nel cielo i suoi sogni evocando figure familiari che ricordano la vita di tutti i giorni e che forse lo proteggono inconsciamente da paure ancestrali.

Ancor oggi nel nostro mondo agropastorale c’è chi è incurante di orologi e calendari e si affida serenamente ai segni che il cielo e la terra ci offrono così generosamente. Il signor Giovanni Fadda (80aa.) di Oliena è custode geloso di quanto appreso nella sua infanzia e descrive in maniera poetica il cielo dei vecchi pastori, quando sos isteddos avevano ancora un pratico significato e il loro fluire nel cielo serviva a scandire il ritmo della vita :”Salendo per l’altura de sos Vacheddos all’inizio si possono osservare sos tres Vacheddos poi si vede su Vurdone , su Pinnettu e su Vachile “:quello che più ci è caro viene così proiettato nel cielo, nel luogo dove risiede la divinità, dove lo spazio è incontaminato, quasi a voler esorcizzare le miserie della nostra quotidianità.

Non meraviglia il fatto che i greci pur vivendo in povere abitazioni innalzassero alle loro divinità templi meravigliosi e nel cielo, nel luogo più alto, avessero trasferito il loro Olimpo.Orione, il superbo cacciatore, prende così vita dall’appariscente costellazione di cui tre stelle perfettamente allineate ne disegnano la cosiddetta Cintura di Orione o Cintura dei Tre Re : In Barbagia vengono infatti chiamate sos Tres Res ( i re magi ) perché chiaramente visibili nel periodo di Natale, ma anche sos Vacheddos,i vitelli e, a Oliena, sa rughe de s’Olio( è qui evidente la traslitterazione di sa rughe de s’Orio), sa rughe de s’olimu ,su Massaiu ‘e su ohu o anche su Massaiu che ha preso o che trascina uno sciame di stelle ;sempre Orione , in Gallura , diventa sa rughe de Santa Lughina  (si festeggia il 13 dicembre ) ,nel Meilogu  sa rughe de Santu Sistu e altrove sa Bandera ,sos Istentales, sos Istradales o is Istendalis.Come ben comprensibile ognuno vede in questa singolare costellazione quanto di più caro possa immaginare .Così nel 1627 Giulio Sciller , nella sua opera di “cristianizzazione “ del cielo , trasformò Orione in San Giuseppe , anche se con tale nome non ebbe fortuna. Orione è situata accanto alla Via Lattea e quindi non è stato difficile per pastori e contadini, nelle buie notti illuni , immaginare su Massaiu che, secondo una leggenda , ruba della paglia con un sacco bucato e la perde per il cielo, disegnandovi la nota e singolare sriscia fitta di astri e stelle minori, da cui i nomi su Hamminu de sa pagia e su Hordu de sa pagia con cui si indica in alcune località della Sardegna la Via Lattea. Proseguendo su un ipotetica linea che passando per le tre stelle si volga a oriente si arriva a s’Isteddu Mannu ,detta anche s’Isteddu de Attarzu perché appare come acciaio lucido: è questa la famosa Sirio che già i romani chiamavano rubra canicula e gli egiziani Sothis.potrebbe sorprendere il fatto che autorevoli autori quali Seneca, Orazio e lo stesso Tolomeo descrivessero Sirio rubra, rossa, mentre l’attuale Sirio splende bianchissima, quasi azzurrina.In realtà Sirio non è una stella singola ma doppia: Sirio A, bianca e splendente e Sirio B, piccolissima ed estremamente densa da risultare , secondo studi recenti, una nana bianca. In altre parole, senza addentrarci in disquisizioni troppo specialistiche, nell’evoluzione delle stelle si passa dallo stadio di stella semplice a quello di stella gigante rossa e quindi alla nana bianca e all’epoca degli autori latini e all’inizio dell’era volgare splendeva nel cielo l’allora rossa Sirio B che copriva la compagna Sirio A : infatti le due stelle orbitano attorno a un unico baricentro e, alternandosi, si coprono a vicenda alla nostra osservazione.

Mi preme puntualizzare che il nome S’Isteddu Mannu è dato propriamente a Sirio in quanto è la stella più luminosa del firmamento e solo Venere, Marte e Giove possono reggerne il confronto e anzi, spesso, pastori e contadini attribuiscono loro lo stesso nome di S’Isteddu Mannu.Altri nomi usati per indicare corpi celest molto luminosi sono:s’isteddu ‘e Mesanotte, S’Isteddu de s’Impodille e s’Istella Gustadorja.Quest’ultime due indicano naturalmente Venere: S’Isteddu de S’Impoddile perché si può osservarlo all’alba e s’Iistella Gustadorja perché quando appariva si dava da mangiare al bestiame; per quanto riguarda s’Isteddu ‘e Mesanotte si intendono ovviamente diversi corpi celesti che nei periodi dell’anno albergano più o meno allo zenit: a volte il pianeta Giove e la stessa Venere, opure una delle stelle splendenti come Sirio (s’Isteddu de Attarzu) o Capella, la più splendente della Auriga (su Vachile ) verso cui erano orientati i templi celtici delle terre sassoni e, in Grecia, i templi dedicati a Efesto, come quello di Karnak sa Tebe in Egitto.

Riprendiamo adesso la descrizione iniziale del signor Fadda :”…poi si vede su Vurdone, su Pinnettu e su Vachile “ : non distanti da Orione sono le Pleiadi che pastori e contadini sardi chiamano su Vurdone, su Burdone, su’Trone, su Cudroni o Purdoni, il grappolo d’uva, rievocando intuitivamente il mito che vuole Dionisio nutrito dalle Pleiadi o dalle loro sorelle, le Iadi, entrambe faccenti parte della costellazione del Toro, la cui stella più luminosa è la rossa Aldebaran, dall’arabo Al dabaran, la successiva:in sardo viene indicata infatti col nome di su Truvadore,colui che sta dietro, perché sorge dopo le Pleiadi.Su Vurdone inizia a vedersi nella seconda metà di Agosto, dopo il tramonto, quando nelle vigne sono maturi i primi grappoli d’uva. Le Pleiadi sono forse tra le stelle più conosciute pur apparendo a occhio nudo un piccolo gruppo raccolto di sette stellee la loro considerazione nell’ambiente agropastorale è tanta se calamita più di tanti altri astri la nostra fantasia: il primo Giugno a Oliena si osservava su Vurdone e se al centro di esso si trovava una piccol a stellina significava una buona annata; se la stellina era posizionata all’esterno era certa una annata cattiva. Altri anziani riferiscono che tale osservazione si dovesse fare il 24 Giugno, il giorno di Santu Juvanne : in tale giorno i pastori osservavano inoltre come si dispone il bestiame: “ si sa roba si corcata isparta ahede annada vona, si est astrinta ahede annada mala “( se le pecore giacciono distanti l’una dall’altra sarà una buona annata, se giacciono molto vicine sarà un’annata cattiva ).Gli omicidi e i furti venivano eseguiti con su Vurdone intrau, cioè tramontato, quasi si temesse di compiere un’azione iniqua sotto i loro e si aspettava che non ci fossero scomodi testimonida cui il detto di Pleiadi pietose.Certo il mito, come ci ricorda Robert Graves nei suoi “Miti Greci”, ha molte versioni delle storie a noi care e così le Pleiadi trascorrevano il loro tempo versando lacrime, vuoi perché piangessero la scomparsa di un’ottava sorella (presumibilmente la stellina che vaticinava con la sua presenza la buona o cattiva annata del detto precedente e che io, onestamente, non ho mai notato), vuoi perche fossero in relazione con le piogge ( i greci seminavano a novembre al tramontare delle Pleiadi e mietevano il grano o iniziavano i viaggi per mare a maggio, con la loro levata eliaca, cioè quando sorgevano contemporaneamente al Sole), vuoi perché fossero partecipi della tristezza umana .Lo spicchio di cielo fin qui descritto è senz’altro il più luminoso del nostro emisfero celeste: su Vachile ne occupa una gran parte    ed è facilmente riconoscibile con un grande cerchio che rappresenta il recinto per il bestiame: è questa la costellazione del Cocchiere o dell’Auriga la cui stella più luminosa è la dorata Capella. Sempre a Oliena viene chiamato su vachile anche l’alone che circonda spesso la Luna :si su vachile est ruju benit bentu si est ruju e birde tando est abba” : questo particolare, apparentemente insignificante, veniva utilizzato così per fare la previsione del tempo. Per sa Arhe, la falce, e per su Pinnettu s’intende la costellazione del Toro di cui fanno parte le Pleiadi (deriva dal greco plèin, navigare ).Nel nostro cielo non potevano ovviamente mancare né la falce, strumento necessario per mietere il grano, né tanto meno su pinnettu: la tipica costruzione delle nostre contrade, sacro rifugio di viandanti che possono trovarvi ristoro e protezione sotto le intemperie o sotto il solleone estivo. Si costumava infatti che, chi di passaggio e ne avesse bisogno, potesse servirsi delle bevande e del cibo in esso custodito e quivi lasciasse andandosene via , quanto di proprio gli fosse avanzato. Questo era comprensibile soprattutto nelle zone interne montagnose e meno abitate da cui era difficile raggiungere i centri abitati. La costellazione senz’altro più conosciuta è l’Orsa Maggiore, non tanto perché le sue stelle sono tra le più luminose o perché disegnano l’inconfondibile contorno di un carro o di un orsa , quanto perché semplicemente è visibile durante tutti i mesi dell’anno e a qualsiasi ora della notte: ben lo sanno i pastori che dicono “sos Sette Frades intrana e essini in su matessi lohu.: non fahene nesciunu movimentu “In questa frase è implicita la conoscenza del concetto della zona circumpolare, di quello spazio del cielo che si sottrae all’apparente sorgere e tramontare delle stelle: è così semplice individuare s’Istella Polare: è sufficiente prolungare di cinque volte la distanza tra Dubhe (la stella alfa ) e Merak (la beta de sos Sette Frades) partendo da quest’ultima (vedi fig.A). La più celebre di queste sette stelle dell’Orsa Maggiore è senz’altro la stella Mizar che è affiancata da una piccola stella i pastori sardi dicono scherzosamente che questa sia una capretta rubata da uno dei Sette Frades; presso gli antichi persiani questa coppia di stelle costituiva invece un test di acuità visiva per gli aspiranti alla Guardia del Palazzo del Sultano: distinguerle era necessario per poter essere assunti. Sos Sette Frades venivano chiamati dai romani Septem Triones, i sette buoi, da cui deriva la parola “settentrione”. In conclusione il cielo dei pastori e contadini non è altro che lo specchio fedele della nostra vita quotidiana e dei ricordi della lontana infanzia, quando nei vicoli dei nostri paesi non era ancora installata l’illuminazione elettrica che, contribuendo ad aumentare l’inquinamento luminoso, ci impedisce di sognare guardando mesti verso le sempre più opache e lontane stelle di Orione. Non a caso anche il Valery, nel suo “Viaggio in Sardegna”, così scriveva: “I Pastori sardi, come gli antichi pastori d’Oriente, si piccano d’astronomia: le loro osservazioni meteorologiche , tradizionali , sono di solito sorprendentemente esatte; in loro l’esperienza sostituisce la scienza”.



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