GIOIOSA IONICA: Storia, Tradizioni popolari, Arti, Mestieri, Cucina, Costume, Chiese, Ruderi e Festa patronale di una graziosa cittadina della Magna Grecia.  (Tiziano Rossi)

 

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            BENVENUTI  A  GIOIOGA  JONICA  -  RC  -          

 

    Ridente cittadina situata nel cuore della Calabria, a 110 m. dal livello del mare, a metà distanza tra Reggio Calabria e Catanzaro.

    A un'ora dall'aeroporto di Lamezia Terme.
    Conta circa 7.000 abitanti, comunemente chiamati gejusani.

    Il paese affonda le sue radici nella lontanissima civiltà della Magna Grecia. 

    C.A.P:  89042   -   Prefisso telefonico:  0964.

 

 

TRA  STORIA  E  LEGGENDA

     Dal nostro mare, lo Jonio, giungendo da oriente, vennero i Greci verso il sesto secolo  a. C. e fondarono prosperose colonie sulle coste della Sicilia e della Calabria, mescolandosi alle popolazioni locali dei Siculi, dei Bruzi e degli Italioti.
    Portavano con sé l'arte, la cultura, la grandezza dell'Ellade, e le fertili ma incolte e barbare regioni fiorirono di una grande civiltà: era la Magna Grecia, che ad un tratto si trovò ad essere più grande, più ricca e potente della patria d'origine.

     Ma, nel 210 a.C. le colonie greche caddero sotto i Romani e divennero a tutti gli effetti province di quel grande impero che allora dominava il mondo.

     Sulla costa jonica, tra le città greche di Caulonia e Locri, di cui restano imponenti rovine non ancora del tutto riportate alla luce, sorse Mystia nella valle del torrente Torbido, che in quel tempo era in parte navigabile e offriva un sicuro porto interno per le piccole navi dei commercianti greci, fenici e africani.
     Ed ecco che all'antica civiltà greca si sovrappose quella romana.

     Restano di quell'epoca imponenti testimonianze tra cui il  Teatro, ancora oggi utilizzato per importantissime manifestazioni culturali e il "Naniglio" che sorge in una zona anticamente chiamata "Li Bagni".
     Nel 986 d.C. l'antica Mystia fu distrutta dalle selvagge orde saracene che, come un turbine, si abbatterono sulle coste depredandole e saccheggiandole con continue scorrerie. I pochissimi superstiti fuggirono verso l'interno e, a circa un miglio dalla vecchia città, su uno sperone roccioso inaccessibile - e che perciò meglio si prestata alla difesa - fondarono Mocta Geoliosa.

 

   Furono costruite torri di avvistamento e difesa che dal mare, ad appena un miglio di distanza una dall'altra (e non sei, come risulta per le altre torri sulla costa calabra), salendo verso Gioiosa, permettevano di segnalare per tempo l'arrivo del temuto nemico.
     Diceva un verso di un antico canto:


               
      "Allarmi! Allarmi! Li campani sònanu,
                       li turchi so' arrivati alla marina".

 

     

     Sul nome di Gioiosa gli storici non si trovarono mai d'accordo, ma l'etimologia più probabile della parola pare sia quella che deriva dal greco "Ghe = terra", "Eliose = solatia".  Dunque "Geliosa" o "Geoliosa" = "terra solatia", "città del sole".
     Ma la gente del posto tramanda di padre in figlio l' antica leggenda di una ragazza bellissima che, andando di notte al primo appuntamento con un pastore del luogo che da anni la corteggiava, cadde dalla rupe e si sfracellò.
            
La fanciulla si chiamava Giojosa ed il nome rimase alla località dove ora sorge la città di GIOIOSA JONICA.

 

 

 

     Per chi arriva dalla Marina, lungo la vecchia statale che collega, attraverso il passo della Limina, la costa jonica con la costa tirrenica, è un susseguirsi di coltivazioni, dove, al verde cupo degli agrumeti, si alterna il verde argenteo degli ulivi.

 

     L'attuale cittadina, lambita dal torrente Torbido, si allarga a ventaglio tra ridenti colline punteggiate da vecchie case coloniche, verdeggianti distese di agrumeti e antiche ville di signorotti locali, che ancor oggi ostentano la loro superbia tra secolari vigneti e moderne superstrade.

     Lasciando la statale e proseguendo verso il centro, cinto da una cornice di ulivi come da un grande abbraccio paterno, il paese ci viene incontro, pigro e sonnolento, a raccontarci della sua vita tra storia e leggenda.

 

 

     L'ulivo, albero sacro agli dei, simbolo universale di pace che sfida i secoli e che forse gli antichi greci iniziarono a coltivare in queste terre, è presente ovunque nelle nostre campagne, curato con amore e competenza dai contadini del luogo.

     Pane e olio, pane e olive, hanno sfamato e nutrito, assieme a qualche verdura, intere generazioni di gioiosani.

 

     Se hai un po' di tempo, vorrei accompagnarti per le vie del paese a scoprire la magia della "mia" vecchia Gioiosa. Di quella Gioiosa che il pittore e scrittore Edward Lear
nel suo "Diario di un viaggio a piedi"  (18-19 agosto 1847), così definì:   

                                      
"Noi non abbiamo città al nostro paese            
                                         così bellamente situate come Gioiosa"
.
  

 

     Entrando in paese, la prima a venirci incontro è la chiesa sussidiaria sacramentale del Rosario, affidata, nel 1593, ai padri Francescani Minori e, dal 1962, sede del beneficio parrocchiale di S. Nicola di Bari.


     Di notevole interesse artistico è la statua lignea, spagnoleggiante, della Madonna del Rosario, vestita con abiti di seta trapuntati d'oro, su cui scendono a cascata i lunghissimi boccoli che le incorniciano il volto di bambola.

 

     Salendo dal corso principale incontriamo il palazzo municipale, ricavato da un ex convento dei frati Minori Osservanti detti anche "Padri Zoccolanti", fondato nel 1500.

     

     Proseguendo la salita che conduce al vecchio borgo, a cento metri dall'imbocco di via Cavour (interamente pavimentato in pietra vulcanica), imponente e maestosa, ci appare la facciata della blasonata chiesa dell'Addolorata.

 

     Lasciandoci trasportare dal fascino travolgente che trasuda dalle vecchie mura del paese, imbocchiamo la salita che conduce al rione San Rocco per imbatterci nella mole gigantesca di alcune case gentilizie.

 

     Al termine dell'erta ci viene incontro il sontuoso palazzo  degli Amaduri dentro il quale è gelosamente custodito un prezioso dipinto del Mattia Preti, raffigurante la suggestiva scena della Regina Tomiri mentre affonda la testa di Ciro in un otre.

     Osserviamo estasiati l'imponente facciata del blasonato palazzo che nel lontano 1847, per una notte, ospitò i famosi Cinque Martiri di Gerace e, senza accorgerci, ci si ritrova avvolti dal magico alone di religiosità che si sprigiona dalla "casa" più amata dai gioiosani: la chiesa di San Rocco, protettore del paese.
Percorrendo la "Menza Via" (Via Belcastro) e costeggiando il palazzo baronale dei Macrì, che sembra cedere sotto l'incalzare degli anni, giungiamo all'antico borgo medioevale, sui cui domina la massiccia mole del castello.

ruderi.htm

     Il promontorio roccioso su cui si erge il maniero, assieme ad una manciata di case abbandonate, anticamente era protetto da mura inespugnabili e chiuso da due porte: 

 - la prima, "Porta Barletta" o "Porta Spina" (oggi scomparsa), che con una scalinata si riversa nel cuore del paese e muore alle spalle della fontana Ferdinando I di Borbone.
- l'altra, la "Porta Falsa", scendendo al torrente Gallizzi, risale verso la "Chjusa".

 

     E poi su, verso l'antico borgo, abbarbicato alla rupe, tra scalinate e stradine silenziose su cui si affacciano antichi portali.
     Vicoli strettissimi dove ancora pulsa, nascosta dietro persiane chiuse, la vita di sempre, con gli odori, le voci, il lavoro silenzioso della gente, del popolo.

 

     Qui le strade hanno una storia, le case, le finestre, i balconi fioriti raccontano la vita del popolo, le gioie e le sofferenze, il lavoro e la miseria, la vita e la morte; raccontano di quando la vita era fatta di piccole cose, ma di cose vere, quando la storia di uno era la storia di tutti, quando il tempo era scandito dal sole e dagli astri.
     

I vicoli silenziosi e deserti, le luci e le ombre, le scalinate e gli archi creano sensazioni sempre nuove e palpitanti.

 

     Camminando per le viuzze non è strano incontrare qualche donna, incanutita e segnata dal tempo, che ci propone uno scorcio di vita passata; allorquando, nei rari momenti di pausa, sedute sull'uscio di casa, si raccontavano gioie, dolori, miserie, sogni e speranze.

 

     Ma lasciamo ai sogni del passato le antiche glorie del paese e saliamo sul piazzale della Chiesa Matrice

     Da qui lo sguardo domina i tetti delle case, addossate una all'altra come un gregge di pecore; case che nascono dalla pietra e con essa spesso si confondono per la stessa struttura e colore.

 

     Abbandonando la Matrice e scendendo lungo la rocciosa scalinata di "Barletta", ci vengono incontro altri scorci suggestivi, creati dalla poesia della pietra, portali bugnati di case gentilizie e poi ancora vicoli, case, silenzi.
     La scalinata termina alle spalle delle Fontane di Ferdinando I di Borbone, che ancora oggi, come cita l'epigrafe latina posta sul frontale, forniscono al paese le acque sorgive dei monti prospicienti.

 

     La monumentale fontana fa da sfondo al sontuoso palco di ghisa, in stile liberty, sito al centro di Piazza Plebiscito, dove, ancor oggi, nei giorni di festa, si ascoltano concerti di bande locali e nazionali.

    Ma per i giovani di un tempo la fontana era anche luogo di incontro sentimentale con la propria amata. 

    E non ci si deve stupire se il corteggiamento spesso avveniva tra ripetuti viaggi della ragazza per riempire la brocca (cortàra).

     Occhiate di intesa, ammiccamenti e ambasciate. Il tutto in una cornice di gelosie, litigi, segreti, desideri, amori che iniziavano o che finivano e che il più delle volte conducevano all'altare.

 

Ci siamo nuovamente tuffati nel centro del paese.


    
Dall'altro lato della piazza, si erge la chiesa di  Santa Caterina, anticamente patrona di Motta Gioiosa. La chiesa, costruita nel '500 ed eletta parrocchia nel 1613, crollò in seguito al terremoto del 5 febbraio 1783 e venne ricostruita per interessamento del parroco Giuseppe Maria Pellicano.

 

     Il nostro girovagare per la vecchia Gioiosa termina in Piazza Vittorio Veneto, attuale cuore della ridente cittadina. Sin dagli inizi del secolo la piazza ha rappresentato e, ancor oggi, rappresenta il centro nevralgico per gli incontri, gli scambi, i commerci e le tradizionali passeggiate dei giovani del luogo. 

     Ma il nostro viaggio non termina qui. Se mi concedi ancora qualche minuto, nelle pagine che seguono vorrei accompagnarti lungo il romantico racconto di un paese che ha visto nascere e morire le speranze della gente del popolo. 

     Ti racconterò della Gioiosa che ha dato i natali a poeti, scrittori, scultori, patrioti, pittori, artisti. A uomini illustri come  gli Amaduri, i Rodinò, i Pellicano, Barletta, Scarfò, Ajossa, Zarzaca, Agostini, Badolato, Colucci,  Sorbara, Linares, Lucà, Macrì, Incorpora, Murizzi, Rispoli, Commisso, Forcelli, Carnì, Mantegna, Mazzone, Mesiti, Labate, Jerace, Barlaro, Hyeraci, Oppedisano, Attacchi, Panetta, Logozzo, Palermo, Argirò, Agostino, Zamparelli, Spina, Teotino, Papandrea e tantissimi altri nostri benemeriti che, certamente, Gioiosa non potrà mai dimenticare.

 

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