PERSONAGGI  ILLUSTRI

 

 

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MASSIMO  RODINO'

 

 

Figlio di Benedetto e di Elisabetta Maria Scarfò, Massimo Rodinò nacque il 7 luglio del 1893.

 

Crebbe e si formò in una famiglia numerosa, della quale ci piace ricordare Benedetta, Amedeo, Alessandro e Francesco Maria.

 

 Terminati gli studi superiori, lasciò la famiglia per trasferirsi a Sulmona, dove lavorò come Cancelliere presso la locale Pretura.

Qui conobbe Angiola Citarelli che prese in moglie e divenne la fedele compagna della sua vita. Dopo alcuni anni di lavoro in Abruzzo, Massimo si fece trasferire presso la Pretura di Gioiosa, dove continuò a espletare le mansioni di cancelliere, fino all'età della pensione. 

Narratore arguto ed estroso. Oratore ricercato ed incisivo. 

Piccolo di statura, ma grande di pensiero. Garbato poeta ed impareggiabile commediografo, ancor oggi i gioiosani lo ricordano non solo per le sacre rappresentazioni che egli puntualmente allestiva, per i riti della Settimana Santa, ma per avere scritto e rappresentato l'originalissima farsa Sangu 'i porcu

Fu amico di Errante, Pastonchi, Prancois Mauriac, Herry Bardoeaux. 

Tra le sue opere edite, in lingua, ricordiamo: Senza sonno; Servizio per dodici; Vino e fumo; La Madonna del lago; Cento e un sonetto; Il grano fra le spine; Gioiosa come un racconto (scritto in collaborazione con Gaudio Incorpora); Dietro il Signore.

Vibrava in lui la rivolta, la ribellione che fa grandi, assieme a una sottile vena di malinconia.

Morì il 27 giugno 1981.

 

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GIUSEPPE  MARIA  PELLICANO

 

IL VESCOVO

 

Ebbe i natali nella nostra terra. Amava le lettere, le belle arti e raccoglieva libri, manoscritti, monete antiche ed altre rarità che spesso, con molta generosità, regalava agli amici. 

 

Ordinato sacerdote a soli 23 anni, fu subito eletto economo della chiesa di San Nicola di Bari. 

Poi divenne economo curato della parrocchia di S. Caterina. Arcidiacono del Capitolo e, infine, Arciprete della Matrice nel 1805.

Non appena ricoprì la prima carica ecclesiastica si mise subito all'opera, cercando di ristrutturare la chiesa di Santa Caterina che, a causa del terremoto del 1783, aveva subito gravissimi danni ed era rimasta chiusa per ben 19 anni. 

Presentato al Re delle Due Sicilie, fu nominato vescovo di Gerace il 30 settembre 1818, ma la nomina fu confermata dalla Santa Sede il 21 dicembre dello stesso anno, tre giorni dopo essersi laureato in S. Teologia a Napoli. 

Tra le tantissime opere che Giuseppe M. Pellicano mise a punto durante il suo vescovato, sono da ricordare: a) la riedificazione (fatta a proprie spese) della Cattedrale di Gerace, devastata dal terremoto del 1783;  b) donazione alla Cattedrale di un magnifico ostensorio in oro e argento, tempestato di smeraldi e di rubini, che è uno dei più belli della Calabria; c) costruzione di un artistico pulpito in marmo.

Morto improvvisamente, per un attacco apoplettico, il 18 giugno del 1833, verso le ore 17, dopo aver recitato Vespro in compagnia di un canonico, venne seppellito nella Cattedrale di Gerace, dove riposa dentro la cappella del Santissimo.

 

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GIUSEPPE  MARIA  PELLICANO

 

LO SCRITTORE

 

Poeta e scrittore dotato di fervidissima fantasia e strabiliante inventiva, Giuseppe Maria Pellicano nacque nella nostra cittadina, il 23 febbraio del 1876. 

Oltre ai famosi versi dedicati alla bella "Marianneja", lo troviamo alle prese con romanzi, novelle e opere teatrali, tra cui: Mirra, Pastorale, Il mare e La follia di Adamo, Il sogno di Gesù, Le favole, La montagna, Verso Dio, Guida spirituale, I canti della Jonica, Caìno, Il pellegrino, Catarineja, L'arte di amare, ecc.. Tra queste, "Il mare" è, senza ombra di dubbio, l'opera più bella e più completa di tutta la sua produzione letteraria.

Dopo avere invano tentato di ottenere i dovuti riconoscimenti letterari, si rinchiuse in un guscio di solitudine dentro cui visse interi anni d'angoscia.

"Peppe Pellicano fu un maledetto." scrisse il poeta Massimo Rodinò "Crebbe come un cavallo senza freno.

Poveruomo, nella carne e nello spirito, inquieto, perpetuamente perseguitato dalla sorte, che gli sorrise solo il tempo di sentire che poteva aver sorte migliore.

 La verità che ne risulta, in definitiva, è che egli non ebbe tempo".

 Morì 28 gennaio del 1935, all'età di 59 anni.

 

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CLELIA  PELLICANO

 

 

Clelia Romano Avezzana, figlia del barone Giandomenico e donna Pierina Avezzana,  era nata a Napoli nel 1874.

 

Esile come una foglia, forse trasportata dal vento del destino, dai marchesi Riario Sforza, giunse in sposa al castello dei Pellicano. 

 

Avvolta nel suo alone letterario, Clelia era sempre circondata da artisti e scrittori che all'epoca frequentavano assiduamente la sua dimora romana.

Amante delle arti e ispirandosi ai momenti di vita paesana, scrisse numerose opere di gusto davvero raffinato: 

- il somanzo Coppie, all'epoca giudicato un libro ardito, descrive la vita di ogni giorno, con tutte le sue cattiverie, le sue debolezze e le sue delusioni;

- Verso il destino è un romanzo pieno di fatti e personaggi appartenenti a vari ceti sociali;

- Novelle calabresi è l'opera con al quale Jane Grey (nome d'arte di Clelia Pellicano) consolida la sua personalità e la piena maturità artistica. Tra le più significative sono da ricordare "Marinella" (narra la morte di una bambina morsa da un pesce venefico); "La dote" descrive la vita di una famiglia borghese dove vige la consuetudine che le ragazze devono farsi monache per far sì che il primogenito erediti tutte le sostanze paterne; "Schiave", una delle più belle novelle del libro, narra di una donna del popolo, legata al marito da affetto veramente servile; "Colpo di Stato" racconta di due cugini che, per assicurarsi l'eredità di un vecchio zio prete, strangolano la sua concubina; 

- la Farsa di Rosetta (dedicata all'onorevole Maggiorino Ferraris) è la migliore e più originale novella on assoluto. Esprimendosi mediante i personaggi di un'antica farsa che veniva recitata l'ultimo giorno di Carnevale, la bravissima Clelia coglie appieno il sapore schietto e plebeo del mondo gioiosano.

 Morì a Castellammare di Stabia il 2 settembre 1923.

 

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DOMENICO  SCARFO'

 

 

Grosso di corporatura e poliedrico nei contenuti artistici, spaziava indifferentemente dalla scultura alla pittura.

 

Ma fu anche liutaio, incisore, cesellatore. 

 

Il suo nome rimane eternamente legato alla statua della "Pietà" che si conserva gelosamente nella Chiesa Matrice: un capolavoro che da solo basterebbe a mettere Domenico Scarfò tra i grandi dell'Arte.

 

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DONNA  GEMMA

 

 

Donna Gemma Incorpora, figlia di Rocco Murizzi, dal quale apprese l'arte di scolpire il legno e la creta, e di Letizia Rodinò, scultrice e pittrice gioiosana, nacque a Gioiosa Jonica il 27 gennaio 1896.

Cominciò giovanissima a lavorare assieme ai propri genitori; ma, invece del legno, la brava artista, preferì l'argilla, dalla quale riproduceva fedelmente i tratti somatici e le espressioni del viso delle sue creature. Sin da bambina, quindi, aiutando il padre, Donna Gemma si formò all'ombra di una scuola casalinga.

Piccola di statura, ma grande nell'arte della terracotta, non possedeva un bagaglio culturale, ma aveva il grande dono e la magia dell'arte e dell'inventiva.

I gioiosani la ricordano per il modo gentile con cui ella entrava in quasi tutte le famiglie, proponendo le sue meravigliose sculture di pastori (cciapópula), che sembravano animarsi e vivere di vita propria. 

Moltissime sono le opere che la bravissima coroplasta ci ha lasciato. Tra le più belle sono da ricordare: il "Ballo della tarantella", la "Maddamma al telaio", "I tamburinari".

Ma proprio dall'argilla, che per anni aveva accarezzato e plasmato - da quando, bambina, la rubava al padre - le venne il male.

Lentamente, si spense tra l'affetto dei suoi cari, il 17 novembre 1966, seguita, a un mese di distanza, dal suo diletto marito, Giovanni Incorpora.

 

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VINCENZO  AMADURI

 

 

Deputato al Parlamento Nazionale e patriota del Risorgimento, per dirla con le stesse parole dello storico Domenico Di Giorgio, fu:

 ...L'uomo che visse in uno dei periodi più agitati,

ma più gloriosi della nostra storia...

 

Nato a Gioiosa il 12 marzo 1808 da Maria Rosa Pellicano e dal nobile D. Giuseppe Amaduri, cospicuo proprietario di terre, valente giureconsulto e appassionato liberale.  

Studiò a Napoli, ove si addottorò in giurisprudenza e conobbe la gentildonna Enrichetta Carrubo che, in seguito, divenne sua moglie. 

Perseguitato dai suoi molti nemici politici e accusato di cospirazione, passò più volte dalla "sconfitta" alle alte onorificenze politiche del secolo. 

Eletto, nel 1864, deputato al Parlamento Nazionale nel Collegio Elettorale di Palmi, riconfermato nelle successive consultazioni elettorali del 1867, eletto Sindaco di Gioiosa nel 1872, Vincenzo Amaduri morì il 19 febbraio 1873. 

Un busto marmoreo si erge silenzioso dall'alto di un piedistallo situato in una delle tante camere del Palazzo Amaduri, casa dove il nostro benemerito ebbe i natali.

 

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LA  FAMIGLIA  COLUCCI

 

 

GIOVAN BATTISTA COLUCCI:  nacque a Gioiosa, agli inizi del secolo scorso. 

Seguì gli studi di Medicina, presso l'università di Napoli, e fu medico diligente, operoso e valente. 

Fu pregiato scrittore di medicina, poeta e patriota fervente. Patì persecuzioni e galera. 

Mori, non ancora cinquantenne, nel tetro Carcere Politico di Reggio, nel 1852. 

 

VINCENZO COLUCCI:  fu fervente patriotta e scienziato di alta classe. 

Uomo di cospicuo ingegno, nobile di cuore e di azioni, ebbe i natali in Giojosa, il l° ottobre 1846, dal medico D. Giovan Battista Colucci; e dalla nobile D. Caterina Albanese, figlia del valente dell'Ufficiale dell'Armata di Napoleone I.

Chiuse la sua operosa vita, ai Bagni di Lucca il 26 settembre 1913.

 

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BENVENUTO  LUCA'

 

 

Nacque l’11 ottobre 1878.

Rifacendoci alla descrizione dello scrittore M. Rodinò, Benvenuto Lucà fu un creatore di parole e un consumatore delle fortune familiari.

Amava vivere in mezzo al lusso e allo sfarzo.

Oratore fecondo e sferzante, fu giovane quando veniva sù Filippo Turati. Ebbe sulle braccia tese la parola rotonda e forbita.  

Bello e aperto al bello, aveva nel sangue e nella carne il caldo dei sensi più ardui. Guascone e di grand'animo, alzò lo scudiscio e non solo sui suoi cani. Tornì una parola, e la parola ebbe peso come se scrivesse.  

Come Socrate insegnò, non scrisse mai. Ebbe attorno il meglio, ora compagno, ora servo del suo gusto. 

Rimase, con la casa crollatagli, in mezzo alle fiamme.

 

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FRANCESCO  PAOLO  LINARES

 

 

Fu un colto e valente umanista, poeta in latino e scrittore eminente, autore, fra l'altro, di opere come "Parva favilla", "Fiori di loto", "Nanilio" e "Verso il tramonto". 

Grande intenditore di lettere latine. 

Scrisse quasi per gioco e fece sonetti sullo stile di Carducci. 

In un poemetto cantò il Naniglio (stabilimento balneare di Età Romana), destando dal sonno dei secoli le terme fiorite al tempo leggendario di Locri.

Schivo, di poche parole, geloso, scrisse raro agli amici. La morfina lo distrusse.

 

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NICOLO'  MANTEGNA

 

 

Il dr. Nicolò Mantegna, figlio di Giuseppe e di D'Agostino Teresa Raffaela Caterina, nacque a Gioiosa Ionica (RC) il 26 maggio 1885, dove mori il 4 novembre 1960.

Aveva contratto matrimonio con Donna Cristina Emilia Ofelia Consolata Macrì di Raffaele e Donna Laura Castellani. 

Compì gli studi classici a Salerno e conseguì la laurea in medicina, con specializzazione in ostetricia, all'Università di Napoli, nel 1910. 

Il suo grande attaccamento all'esercizio della sua professione ebbe una certa eco nel contenuto del romanzo, ancora inedito, Il Torchio, ultimato nel 1943.

 

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ROCCO  MURIZZI

 

 

Rocco Bruno Domenico Morizzi nacque a Tresilico, il 20 agosto 1840, da Francesco e da Fortunata Meduri.

 Studiò a Napoli, alla Scuola del maestro Francesco Biancardi e venne a Gioiosa al seguito del maestro stuccatore Francesco Gangemi (da Cittanova) che aveva decorato la chiesa dell'Addolorata. 

Contrasse matrimonio con Letizia Rodinò e si diede, con impegno e passione all'arte scultorea. 

Gravemente offeso ad un occhio e sfigurato al volto, per un incidente sul lavoro, morì, il 4 novembre 1918.

Tra le opere principali che lasciò nelle varie chiese di Gioiosa, ricordiamo: S. Lucia; S. Francesco di Paola; Sant'Anna; San Vito; Santo Espedito; I Santi Cosma e Damiano; il Crocifisso del pergamo, il Gesù sopra l’altare (all’Addolorata), ecc..

 

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