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IL  CASTELLO

 

      L'imponente monumento, comunemente chiamato "Castello Normanno-Bizantino" o "Castello Carafa", si erge imponente a strapiombo sul torrente Gallizzi, proprio nella parte situata ad est dell'altura, a diretto contatto con le viuzze (vinej) che, snodandosi ai suoi piedi, scendono dolcemente a valle.

     L'epoca di costruzione risale al 1200 circa.

     Con la costruzione del maestoso maniero nasce automaticamente anche il nome di Mocta, conferito al primo nucleo abitato gioiosano che viveva arroccato alle sue falde.

     Caduta la torre maestra (nel 1400), è stata edificata nel 1420 dal sorrentino Marino Correale, Conte di Terranova e Barone di Grotteria, molto amico della Casa Aragonese (appunto per questo molti affermano che il castello sia di origine aragonese).
     Essendo Marino Correale, privo di eredi, alla sua morte, re Ferdinando III, affidò il feudo al barone Don Vincenzo Carafa, Principe di Roccella.
     Il castello rimase in possesso dei Carafa fino al 1559, anno in cui Gioiosa venne acquistata per 12.000 ducati da Don Gennaro Caracciolo.
     Il terremoto del 1638 arrecò gravissimi danni al secolare monumento che, nel 1658, fu nuovamente restaurato ad opera del Marchese Francesco Caracciolo.
     Dai Caracciolo il castello passò ai Pellicano durante il XIX secolo, che ancor oggi sono gli attuali proprietari.

Il vecchio maniero di Gioiosa, rifacentesi ai modelli dettati dal Medio Evo, si compone di sei parti:

     - "Porta d'ingresso" con cancello metallico, portale in pietra e stemma della Casa Caracciolo rappresentato da uno scudo a forma di cuore suddiviso in quattro bande.

     - Un "cortile" con piccolo corridoio che porta ad una scala a due rampe. Al termine del corridoio, troviamo un secondo cortile detto "corte" che separa il castello dalla abitazione del feudatario. Qui si apre una grande veduta che precipita sulla rupe per mezzo di due finestroni ad arco e al centro una vaschetta in muratura (usata per l'allevamento dei pesci d'acqua salata) e una stretta porta che immette in un secondo atrio (dotato di pozzo artesiano) e quindi nei grandi magazzini del pianterreno.
     - Fatta la prima rampa, appare un pianerottolo con un doppio ingresso al "Palazzo Feudale" composto di dieci vani, decorati in stile barocco. Era lì che abitava il "Signore", coi suoi cavalieri e i suoi scudieri; circondato da pregiatissimi mobili di età barocca, arazzi, tele, trofei di  guerra, una ricchissima biblioteca e quanto ci può essere di sfarzoso in una casa gentilizia. Il fabbricato è a pianta quadrata e prevedeva il luogo per il posto di guardia, la sala di giustizia e le varie camere per l'abitazione.

     - Fatta la seconda rampa, ci viene di fronte l' artistico cancelletto di ferro dal quale si accede al "cortile interno" del Castello abbracciato da un solido "muraglione", ai cui estremi si ergono due torri angolari (o bastioni): la "Torre Vecchia", con i suoi 25 metri di circonferenza e 8 metri di diametro, e la "Torre Nuova" (crollata e ricostruita probabilmente dal Marchese Caracciolo) coi suoi 15 metri e mezzo di altezza.

     - Nel grande "cortile interno", sulla destra del piccolo viale centrale troviamo "la prigione diurna" (ambiente circondato da alte mura, accessibile mediante un corridoio largo 2 metri) e sulla sinistra ci appare la botola di accesso alla "prigione notturna". Quest'ultima ha ospitato uomini illustri come il feudatario Nicola Maria Caracciolo (3° Duca di Girifalco e 4° Marchese di Gioiosa), il nobile gioiosano D. Giuseppe Passarelli che, nonostante abbia servito i Signori del Castello per ben 27 anni, gli è toccato subire i rigori dell'orrenda prigione.

- Accanto all'ingresso della "prigione diurna", notiamo una scaletta che accede  all'altana, che fungeva da osservatorio e, all'epoca dei Borboni, fungeva anche da telegrafo ottico.

     Durante le continue incursioni dei Turchi (dal XVI al XVII secolo) il castello venne collegato con Torre Elisabetta, con Torre Galea e con Torre Spina, poste a un miglio di distanza l'una dall'altra.


                                                         

                                                           Particolare del cortile del Castello

 

           N. B.    Il disegno del Castello (prima foto in alto) è opera del designer Enzo Agostino

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IL  NANIGLIO

 

     Tra i resti di costruzioni d'epoca romano-imperiale, che tuttora sopravvivono in Calabria, riveste particolare rilevanza il Naniglio, posto nella vicina località Annunziata, in una zona anticamente chiamata "Li Bagni"

     Comunemente detto Nanìgghju, si tratta di un ampio vano sotterraneo a pianta basilicale che giace immediatamente sotto il manto dell'arteria stradale che, a valle dell'abitato, conduce verso Mammola.
     L'antico rudere, probabilmente risalente all'epoca in cui si passa dall'insediamento greco a quello romano (fine del I secolo e inizio del III secolo d. C.), in un primo momento ha fatto pensare si trattasse semplicemente di un "parabagno" (para = presso, balneum = bagno: cioè "presso il bagno"), alimentato da un condotto sotterraneo d'acqua fredda proveniente dal vicino Gallizzi.
     In un secondo momento si è fatta l'ipotesi che si potesse trattare di un grande serbatoio idrico che:
- serviva da approvvigionamento idrico a una sfarzosa "villa romana";
- forniva l'acqua al complesso termale ad esso adiacente;
- veniva utilizzato quale fonte di irrigazione campestre;
- infine, dato il rinvenimento di laterizi in prossimità della zona in cui sorge l'attuale cimitero di Gioiosa, serviva a fornire acqua ad una fabbrica di mattoni che sorgeva nei pressi della cisterna.

     In seguito ai recentissimi studi condotti da eminenti archeologi, durante gli anni '80, si è arrivati a capo che, complessivamente, si trattava di una grossa struttura di almeno 100 metri di lunghezza nella cui zona centrale era incastonato il Naniglio, locale che faceva da serbatoio idrico a una "villa patrizia" che sorgeva accanto.

Per il controllo periodo dell'acqua contenuta nel serbatoio, si accedeva mediante una scaletta a chiocciola (elicoidale), costruita in comune muratura di pietre e laterizi.
Ai lati della grande cisterna vi era un muro dentro il quale correva un canaletto che aveva il compito di convogliare e distribuire l'acqua proveniente dalle vicine zone sorgive.

Ai lati e nella zona nord orientale del Naniglio si sono trovati i lussuosi tre ambienti della "villa", che si è rivelata dotata di ricchi pavimenti a mosaico, colonne in laterizio e tracce di intonaci parietali dipinto.
I primi due ambienti sono completi e si conservano in buone condizioni; parte del terzo è andato quasi perduto completamente a causa del crollo delle strutture dell'edificio stesso.

     Meraviglioso è il rosone del pavimento relativo al primo ambiente.      Composto da 11 corone circolari concentriche degradanti verso il centro, il rosone è disegnato e racchiuso dentro tre file di tessere nere che decorano il lato orientale del pavimento.

     Come detto, all'estremità sud del Naniglio sorge un complesso di ruderi che rappresentano le "Terme". Non molto lontano è stata anche rinvenuta una vasca con soffitto a botte, pavimenti rivestiti d'intonaco impermeabile e canaletti di piombo e, siccome nella vasca sono stati rinvenuti frammenti di ceramica, viene spontaneo dedurre che proprio lì sorgeva una piccola fabbrica di laterizi alla quale sono da attribuire i mattoni con "marchio di produzione" (CIVN o CIVII) ritrovati durante gli scavi.

     L'interno del Naniglio, è costituito da tre cripte di grandezza diversa:
- la più grande (175 mq), coperta da una volta a crociera, è eretta con strutture in laterizi ricoperti da intonaci a calce e presenta alla sommità tre condotti tubolari. Al centro della cripta, in corrispondenza del suo lucernaio è stata rinvenuta una botola comunicante con una stanza sottostante rimasta inesplorata a causa delle acque che da essa affioravano.

     Per la gente del popolo si trattava di un sotterraneo che metteva in comunicazione Gioiosa con Locri. Ma in realtà si trattava di una stanza-cisterna che aveva il compito di raccogliere le acque del Ninfeo, provenienti dalle vicine sorgenti e anche le acque fluviali.
- la cripta di grandezza media (6,5 mq) è pure ricoperta da una volta a crociera, munita da due lucernai circolari, è dotata di una, ormai malandata, edicola votiva.      Rimane ancora (in parte) visibile una canna fumaria che sta a dimostrare l'uso di cremazioni sacrificali che venivano all'epoca;
- la più piccola (5 mq), coperta da una volta a forma di botte semplice, munita di un lucernaio centrale.

     Sul nome e sul significato del termine "Naniglio" gli archeologi non si trovarono mai d'accordo.
Il Rohlfs ha parlato di an-élios cioè luogo "senza sole" (dal greco bizantino an = senza, élios = sole).
Secondo altri il termine potrebbe derivare da naòs Eliou, cioè "Tempio del Sole".

     Ma, in seguito ad alcuni rinvenimenti, relativi ai resti di una piccola edicola votiva e di alcune figurine fittili votive di Ninfe, si è stabilito che si tratta di un Ninfeo romano, cioè di una specie di Bagno-Santuario dedicato alle Ninfe delle acque (probabilmente si trattava delle Najadi, Ninfe protettrici delle acque, o delle Oreadi, Ninfe dei monti) che sorgeva accanto ad un "complesso termale" alimentato da una ricca sorgente di acqua calda e solforosa proveniente dalle basi del Pantaleo (nei pressi dell'ex-stazione delle Ferrovie Calabro-Lucane).

     Dunque: "villa romana" o "Santuario delle Ninfe"? Non si sa.
     Una cosa è sicura, l'edificio risulta sotterraneo come tutti i santuari mitriaci ed è simile al mitreo delle Terme di Caracalla.


     Le investigazioni scientifiche dell'archeologo Alfonso De Franciscis, tuttavia, stabilirono definitivamente che il Naniglio è la cisterna (capacità 800 metri cubi) di una villa prediale romana (ancora in corso di studio) che sorgeva nell'attuale contrada Annunziata in età imperiale.
Gli estremi cronologici coincidono con l'introduzione nel mondo latino del culto di Mithra (fine I secolo) e con il governo dell'imperatore Giuliano l'Apostata (361-363) di cui una moneta è stata ritrovata nel Naniglio.

     Ad ogni buon conto, la prima testimonianza relativa all'esistenza in Gioiosa di un luogo chiamato Nanilio - che costituisce al tempo stesso un primo tentativo di interpretazione etimologica del termine - è del Marafioti e risale al XVII secolo. 

 

     Sul finire dello stesso secolo anche Padre Giovacchino da Fiore, nella sua "Calabria Illustrata" fa chiara menzione dei monumento gioiosano.

Più tardi - nel 1703 - l'abate Pacichelli affermerà che: "...Un miglio distante la Santissima Nunziata è Badia dei propri Padroni. Vi è un luogo sotterraneo, nel quale si scende a chiocciola... detto <il Nenilio' cioè senza sole...>.

     Riteniamo che la remota vestigia gioiosana, sia uno tra i beni artistici piú belli e preziosi della Calabria, puntualmente sconosciuto alla maggior parte dei Calabresi e - di conseguenza - ignorato dagli itinerari turistici "ufficiali".

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L E    N E C R O P O L I


Con un certo grado di sicurezza, possiamo affermare che gli antichissimi abitatori del nostro territorio, in età paleolitica (anni che vanno dal 10.000 all'8.000 a. C.), non avevano stabili dimore; vivevano dentro grotte naturali e si nutrivano dei frutti della caccia.
L'epoca che segna il passaggio dall'età mesolitica a quella neolitica (dal 5.000 al 2.400 a. C.) indica, invece, tracce più attendibili della presenza dell'uomo in questa piccola parte di Calabria.
L'età dei metalli (dal 2.400 al 1.000 a. C.), infine, è quella che conferma molte supposizioni, per mezzo del rinvenimento di numerosi insediamenti (Locri, Grotteria, Gerace, Mammola, ecc.)
Risulta, allora, evidente che, per costruire la storia di Gioiosa, bisogna fare necessariamente ricorso allo studio delle numerose Necropoli rinvenute, di varia età che, abbracciando un arco di 16 secoli, sono sorte e sono scomparse nella vallata del Torbido.
Si tratta di sepolcreti che coprono un'area di circa 700 metri; la giusta distanza che corre tra la "Costa degli Impisi" (o "Colle degli Impiccati": collinetta su cui si arrampica il nobile palazzo degli Zamparelli) e il "Parabagno" dell' Annunziata.




NECROPOLI  DI  S. ANTONIO

E' stata rinvenuta in località S. Antonio, lungo la Statale 281 (Gioiosa-Mammola) e si tratta di un sepolcreto di natura indigena-ellenica che sorgeva vicino al centro abitato di Mystia.
La Necropoli, detta anche "Necropoli di Costa degli Impisi" (Costa degli Impiccati), non è stata ancora esplorata completamente ed è possibile che altre tombe giacciano sotto il manto stradale.




NECROPOLI  DI  S. MARIA

Necropoli Italico-Greco-Romana, sorge accanto alla Chiesetta di Santa Maria, e comprende un certo numero di tombe italiche frammiste a tombe greche (VI secolo a. C.).
La vasta Necropoli, esplorata per la prima volta nel secolo scorso da D. Francesco Antonio Pellicano, padrone del suolo, è stata poi devastata dagli agricoltori del luogo per adibire il terreno ad oliveto e vigneto.
I reperti archeologici che la Necropoli ci ha regalato riguardano anfore, statuine, lucernette, specchi, pesi litici, mascherine mortuarie, ecc.




NECROPOLI  ROMANA  DELL'ANNUNZIATA

Si tratta di una Necropoli di Era Latina che sorgeva in località Annunziata o Feudo, ad una distanza di 600 metri (in linea d'aria) dalla Necropoli di Santa Maria.
Della Necropoli, devastata in età bizantina, è rimasto ben poco: cocciame di vasi e un ossario di marmo contenente i resti di alcune decine di inumati.




NECROPOLI  BIZANTINA  DELL'ANNUNZIATA

Si tratta di un sepolcreto, ricco di tombe in muratura, costruito per il rito d'inumazione.
Sorto accanto all'omonima Necropoli Romana, ci ha lasciato il marchio di fabbrica "CIVN", inciso su un mattone. Un marchio dello stesso tipo è venuto alla luce anche nella Necropoli Romana di Romanò-Stracuso a Gioiosa Marina e nella zona di Tauriana (Seminara).




NECROPOLI  DI  S. STEFANO

Al di là del Torbido troviamo un'altra importante Necropoli: quella preiprotostorica indigena della prima Età del Ferro, scoperta in località S. Stefano, nel contermine territorio di Grotteria. Fu, questa zona asilo dei primi abitatori della nostra vallata: gli Italici, comunità tribale appartenere alla razza sicula, e perciò allo stesso ceppo dei Siculi della Sicilia Orientale.




NECROPOLI  DEL  GALLIZZI

E' un piccolissimo sepolcreto ubicato sulla sponda sinistra del Torrente Gallizzi, nel pieno centro abitato di Gioiosa, e precisamente, davanti alla Caserma dei Carabinieri.
La Necropoli è stata quasi distrutta completamente a causa della costruzione del muro d'argine della fiumara.
Incerta è la data del complesso. Pare, comunque, appartenga all'età romana.




NECROPOLI  DEL  CASTELLANO

A causa dell'impianto di un vigneto, la piccolissima Necropoli, che forse sorgeva al servizio di una villa rustica, è andata distrutta, lasciandoci alcune testimonianze di età greca: frammenti di laterizi, poche reliquie ossee, cocci di vasi e una fornace per la preparazione della calce idraulica.
Rinvenuto anche un blocco granitico, con porro centrale, che doveva servire, forse, per spremere la frutta, per ricavare essenze vegetali oppure per macinare il grano o torchiare le olive.
Il blocco granitico attualmente giace nell'atrio del Palazzo Amaduri.




NECROPOLI  DI  PRISDARELLO

Minuscolo sepolcreto con tombe costruite a lastroni di terracotta, è stato devastato a causa dei lavori di impianti agricoli.
L'epoca cui risale, probabilmente, è quella romana.




NECROPOLI  DI  BERNAGALLO

Anche questo sepolcreto, probabilmente di età romana, è stato devastato dai lavori di colture agrarie.
In una zona molto vicina a Bernagallo, in località Drusù del Comune di Gioiosa Marina, è stato rinvenuto un'altra Necropoli, forse di età greco-romana.

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