ALBERTO VILLA SANTA

 

IL CASTELLO DI SANLURI E LA FORTEZZA ARAGONESE.

STORIA RAGIONATA E CONCLUSIONI DI UN MILITARE.

 

 

INDICE

 

 

Premessa.

 

Capitolo 1°           Il Campidano, la via Romana e la malaria.

·    Lemma 1 Il Campidano

·    Lemma 2 La via Romana

·    Lemma 3 La malaria

 

Capitolo 2°     La costruzione del Castello di Sanluri.

·    Lemma 4 La scelta della posizione

·    Lemma 5 I dubbi circa l’edificazione

 

Capitolo 3°     Analisi dell’edificio Castello.

·    Lemma 6  Il mastio

·    Lemma 7  La corte d’armi

·    Lemma 8  La cinta murata

·    Lemma 9  Il palazzo

 

Capitolo 4°         Analisi della fortezza Aragonese.

·           Lemma 10           La cerchia delle mura

·     Lemma 11     La porta a “Grecale”

 

Capitolo 5° Elaborazione delle analisi.

· Lemma 12 Il Castello non può essere stato costruito dai Giudici di Cagliari

· Lemma 13 Il Castello non può essere stato costruito dagli Aragonesi poco prima dell’edificazione della fortezza

· Lemma 14 Il Castello di Sanluri noti può essere stato costruito in 27 gg. con l’apporto di 388 carri di trachite di Serrenti

· Lemma 15 Anche la porta a “Grecale” non è stata costmita dagli Aragonesi

· Lemma 16 Il centro storico di Saniuri non si trova nell’ambito della fortezza 

la posizione della fortezza aragonese

 

Capitolo 6°            Le origini politiche del Castello di Sanluri

·          Lemma 18           Preliminari

·          Lemma 19           Le lotte fra Pisani e Genovesi

·          Lemma 20           I rapporti conflittuali fra i Giudicati di Cagliari e Arborea

·          Lemma 21           Il probabile periodo di costruzione

 

Capitolo 7°           La battaglia di Sanluri

·          Lemma 22           L’obiettivo Aragonese

·          Lemma 23           Da Cagliari a Flummara

·          Lemma 24           Le forze in campo

·          Lemma 25           Lo scontro “de su Bruncu” e la ritirata dei sardi

·          Lemma 26           L’eccidio de S’Occidroxiu

·          Lemma 27           La fine del periodo giudicale

 

 PREMESSA

 

Può sembrare “singolare” che io presenti le mie origini militari prima della trattazione della storia del Castello, delle opere ed avvenimenti a questo collegati. Lo faccio non solo perché la conoscenza dell’arte militare mi ha molto aiutato ad interpretare strutture, eventi ed anche ad inquadrare situazioni, ma soprattutto perché lo storico militare si differenzia dagli altri perché ha obiettivi ed interessi più complessi che è opportuno precisare:

a)   quando studia fortezze o castelli, integra l’esame delle strutture con la ricerca dei motivi delle costruzioni, del loro dimensionamento, della loro ubicazione e controlla anche i loro collegamenti -soprattutto visivi-   per le comunicazioni con opere similari dei dintorni;

 

b)   quando il tema riguarda operazioni belliche, lo studio dei piani d’azione dei contendenti non si limita alle forze combattenti inizialmente in campo, ma si estende alle fondamentali riserve, lasciate negli accampamenti, normalmente impiegate nelle manovre risolutive. Tiene inoltre conto delle condizioni meteorologiche, del terreno, dei corsi d’acqua, nonché degli armamenti di difesa ed attacco del tempo e ne esamina le possibilità di impiego;

 

e)   non essendo credibile che cronisti di parte abbiano riportato scrupolosamente gli avvenimenti e siano stati “onesti” nell’attribuire successi e perdite, provvede alla ricostruzione dei fatti dopo una adeguata ricognizione del terreno, analizzando anche le capacità di movimento di uomini ed ammali.

 

Precisato il tipo di indagine, risalgo ai preliminari della mia nuova interessante attività.

 

Nel 1953, mi ero trasferito in Sardegna con varie responsabilità - compresa quella del Castello ed era vivo in me il desiderio di integrare le modeste conoscenze di storia sarda, apprese nel corso degli studi classici. A Sanluri, pensavo di trovare riferimenti precisi almeno sul passato della cittadina. Con mio grande stupore, dopo aver sentito definire la chiesa di San Pietro “parrocchiale dal 1377”, avevo notato che quella costruzione era avvenuta fuori del “centro storico”. Circa il Castello, non mi aveva colpito la notizia che fosse opera “aragonese”, ma che fosse stato edificato neI 1355 in soli “27 giorni”. Meglio di qualunque altro, per averci abitato, ne conoscevo misure, materiali e strutture, alcune delle quali di lenta realizzazione (come la volta a botte del salone, con i suoi numerosi archi in trachite scalpellata), mi era quindi facile definire assurda la notizia, per la complessità dell’opera rispetto ai mezzi del tempo.

 

Insoddisfatto di tali esperienze, mi ero quindi proposto di approfondire adeguatamente le conoscenze storiche, per giungere a conclusioni razionali. Nel mio lungo periodo di presidenza della Sezione Sardegna dell’istituto Italiano dei Castelli ho avuto il piacere (e la fortuna) di conoscere, fra i tanti soci, anche l’illustre Prof. Francesco Cesare Casula - titolare della cattedra di Storia medievale presso l’Università di Cagliari. A lui devo molta gratitudine, non solo per avermi introdotto magistralmente nella storia giudicale, ma per avermi incoraggiato nello studio, riscontrando in me non solo passione, ma anche una buona preparazione storica generale. All’amico Cesare, in visita al Castello di Sanluri, ho avuto poi la possibilità ed il piacere di mostrare l'importanza della “lettura delle pietre” da me intrapresa ed alcuni interessanti risultati raggiunti.

 

 

 

 

Capitolo I°

 

Il Campidano, la via Romana e la malaria.

 

 

1)      Originariamente il Campidano era un braccio di mare che separava l’Iglesiente dal resto dell’isola, che allora lo fronteggiava con ai due estremi il Monti Ferru a nord ed i monti del Sarrabus a sud. Il processo di prosciugamento è avvenuto nei secoli e non si è completato “naturalmente”, infatti alcune zone — le più basse — sono rimaste parzialmente sommerse fino al secondo conflitto mondiale. Fra queste il comprensorio noto “su stami” di circa 22 kmq., ubicato al centro della pianura, fra gli attuali abitati di Villacidro, Sanluri, Samassi e S.Gavino, che è stato bonificato dall’Opera Nazionale Combattenti a partire dal 1924.

 

 

2)   Dal 238 a.C. i Romani — in sostituzione degli sconfitti Cartaginesi - continuarono a sfruttare il Campidano per la produzione di cereali da inviare a Roma. Volendo però agevolare sia la raccolta dei prodotti, sia il loro trasporto, dopo aver adeguatamente attrezzato i porti di Cagliari e di Tarros (che si trovavano alle due estremità della pianura, ambedue protetti dal maestrale che soffia vigoroso), con la consueta arte costruirono la strada che univa gli stessi. Questa, rasentando “su staini”, divideva longitudinalmente la pianura consentendo lo smistamento delle produzioni ed il loro trasporto su carri che, per mancanza di rilevanti salite, potevano venire caricati al massimo della loro capacità.

 

Nel medioevo, il percorso della via Romana venne modificato nella sua parte centrale.

A partire da Samassi, la strada non diresse più su Pabillonis, ma su Sanluri che non si trovava al centro della pianura, ma sul margine est della stessa. Di qui, proseguiva verso nord, rasentando sempre le colline, rientrando nel vecchio tracciato solo in vicinanza di Uras. Il motivo della deviazione è legato alla progressiva desalinizzazione de “su stami”, dovuta alle popolazioni dei dintorni (Sanluri e S.Gavino hanno una strada chiamata “bia su sali”), che, approfittando dell’evaporazione estiva dell’acqua, andavano a raccogliere il sale man mano che questo cristallizzava. Ovviamente, con l’arrivo delle successive piogge, le acque dello stagno divenivano sempre più dolci. Ripetendosi il fenomeno e giunta la salsedine al di sotto di un certo livello, le zanzare “anofele” si trasferirono nello stagno e la vegetazione palustre, imputridendo, cominciò a diffondere nell’aria miasmi malsani. La “malaria” si diffuse allora non solo sotto l’aspetto dell’olfatto, ma sanitario e la paura delle acque fetide provocò il progressivo abbandono del vecchio tracciato stradale.

 

L’operazione “trasferimento” si svolse lentamente, ma è stata coronata da successo. Allora si ignorava che le anofele, trasmettendo il plasmodio, fossero il veicolo della malaria e si accusavano le acque pestilenziali di esserne la causa. Per non dover ridurre la capacità di carico dei carri, (affrontando salite), il raggiungimento del margine della pianura fu ritenuto il massimo allontanamento possibile dalla palude. Il caso volle che Sanluri (che confinava con le colline) fosse distante da “su staini” 5,5 km, mentre le anofele (lo sappiamo adesso) potevano allontanarsi dai nidi solo 3 km. Il nuovo tracciato stradale risultò quindi - per pura fortuna -“franco” dall’attacco massiccio dei micidiali insetti e questo né ha garantito la validità e quindi la durata  fino ai giorni nostri.

 

3)   La malaria in Sardegna è un male antichissimo risultando già diffuso agli albori della Cristianità. E’ però opportuno far qui notare alcune importanti differenze fra i maggiori centri di diffusione, quali i letti dei torrenti e gli stagni non salini, luoghi ove le “anofele” albergavano e proliferavano:

 

a)         La maggior parte dei terreni sardi, per via della montuosità dell’Isola e la grande diffusione del pascolo brado (e quindi per essere incolti), ha sempre avuto scarse capacità di assorbimento delle precipitazioni meteoriche. Di contro la quasi totalità dei corsi d’acqua (in regime torrentizio per mancanza di ghiacciai), pur essendo intervallati da “carroppus” (bacini d’acqua poco profondi), ha avuto specie in passato alvei ristretti, incavati, del tutto insufficienti a contenere le piene. In tali condizioni le acque piovane, non assorbite, defluendo lungo i pendii, raggiungevano rapidamente i torrenti che, ingrossando, straripavano con irruenza... provocando vere mattanze di zanzare.

 

b)         Le acque che finivano negli stagni provocavano invece solo aumenti di volume, senza creare grandi sconvolgimenti.

Agli effetti della malaria la differenza è rilevante: nel primo caso veniva grandemente colpito il veicolo del male con ovvi benefici sanitari; nel secondo, le anofele continuavano ad infestare la zona con la consueta virulenza.

 

 

Da quanto esposto consegue che la presenza dal medioevo al 1942 - nella fascia centrale del Campidano (che ha una larghezza di circa 17 km) di una zona paludosa di oltre 4 km di diametro, questa — una volta divenuta fonte perenne di malaria ha rappresentato, uno sbarramento naturale del traffico di cui hanno dovuto tener conto i sardi e gli stranieri che -con o senza armi - hanno posto piede nell’isola.

 

 

Capitolo 2°

 

La costruzione del Castello di Sanluri.

 

4)         La scelta della posizione.

 

L’abitato di Sanluri, posto fra i Giudicati di Cagliari ed Arborea e fra la pianura del Campidano e le colline della Marmilla, una volta divenuto luogo di passaggio della maggior via di comunicazione dell’Isola, è stato ritenuto un ottimo punto per il controllo del traffico di frontiera e quindi adattissimo per la costruzione di un castello che dominasse la strada. La scelta della posizione ove edificarlo non poteva però prescindere dai canoni di sicurezza del tempo, relativi alla sua difesa, sia in caso di attacco, sia d’assedio. Essendo il colle - ove i frati cappuccini hanno elevato nel ‘600 il loro convento - il punto più elevato più vicino, questo era certamente da preferire al sottostante poggio se, scavando, si fosse trovata acqua. La costruzione di una cisterna per acqua piovana - infatti non avrebbe dato sufficienti garanzie in caso di assedio. Si optò quindi per il poggio non solo perché dotato di un pozzo generoso, ma perché il sovrastante colle poteva rientrare nel sistema di difesa, una volta inserito in una comune cerchia di mura.

 

 

5)         I dubbi degli storici circa l’edificazione.

 

Sono oggetto di dibattito sia la data di costruzione, sia chi l’abbia effettuata. Si è attribuita la costruzione ai Giudici di Cagliari in quanto il territorio di Sanluri, appartenendo alla curatoria di Nuraminis, faceva parte di quel Giudicato; la si è attribuita agli Aragonesi (dopo la pace di Sanluri dell’ 11 luglio 1355 fra Pietro IV d’Aragona e Mariano IV Giudice d’Arborea), che l’avrebbero realizzata in 27 gg., poco prima della costruzione della fortezza avvenuta fra il 1364 ed il gennaio 1366.

Gli storici,  come è noto, studiano di massima documenti d’archivio, spesso lacunosi, imprecisi ed incompleti da cui possono originare equivoci. Quando tali documenti mancano, molti cercano di ricostruire la storia aggrappandosi ad ipotesi in attesa di riscontri, premio di successive ricerche. Non potendo competere nelle ricerche d’archivio, ho preferito concentrare i miei studi sull’analisi delle costruzioni.

 

 

 

Capitolo 3°

 

Analisi dell’edificio Castello.

 

6)  Il mastio. Trattasi di un edificio rettangolare su tre piani (terra – primo - copertura) lungo mt.27, largo mt.8,5, alto mt.12 (al parapetto) sul piano di campagna attuale. E’ sormontato, ai due estremi, da due torrette quadrangolari alte mt.5. Le sue mura hanno lo spessore di mt.2 nei tre lati esterni e mt.1,60 nel lato rivolto verso la corte. Le fondazioni sono poco più larghe delle mura e hanno una profondità media di mt.2. Nel lato maggiore esterno — rivolto a S.E. — si trova un portone — già protetto da saracinesca — largo mt.1,90 ed alto mt.3.

 

La volta del 1° piano è a botte lunga mt.23 e con diametro di mt.5. E’ sostenuta da sette archi di trachite di Serrenti lavorati a scalpello. Il suo spessore - al di sopra delle chiavi - è di mt.1,60 ed è gravata, ai due estremi, del carico delle sovrastanti torrette — merlate alla guelfa di forma quadrata ed alte mt.16,75 sul suolo. Un tempo queste erano fra loro collegate da una fila di merli disposti lungo il parapetto.

Le finestre che si aprono nelle mura sono molto poche e si trovano al 1° piano: cinque sono rivolte verso l’esterno e sono feritoie allargate nel tempo feudale; due molto strette sono rivolte verso la corte. Di queste, una consentiva di accedere, a mezzo scala esterna, alle sovrastanti difese. Al piano terreno vi sono nel lato interno tre finestre luce raggiungibili, con l’aggiunta di una scala, camminando carponi. Le porte del mastio rivolte verso la corte sono due.

La cubatura (vuoto per pieno) del totale delle opere murarie del mastio, comprese fondazioni, volte e torrette, è di mc.1720.87.

 

7)  La corte d’armi. Di forma trapezoidale, un tempo era lunga mt.23 e larga 16. Era compresa fra il mastio e la cerchia muraria esterna (dotata di feritoie) che la chiudeva da tre lati. In quello esposto a “libeccio” (S.W.) si apre una grande porta carraia larga mt.2,60, con portone, a due ante, alto mt.3,30. Una porta-saracinesca, posta anteriormente e marcata dalle scanalature, serviva per bloccare rapidamente eventuali infiltrazioni nemiche.

 

 

8)  La cinta muraria. Chiudeva da tre lati la corte d’armi. Ha un’altezza di mt.11.50 al livello delle spallette esterne. Su queste, probabilmente, si elevavano i merli che dovevano coronare, da ogni lato, il Castello. Lo spessore medio della cinta è di mt.2. Al suo sommo si trova il “cammino di ronda” della larghezza di mt.1, sul quale passavano le sentinelle e, con molta difficoltà, per la sua ristrettezza, si potevano schierare i difensori del Castello. Negli angoli esposti a Ovest ed a Nord — poggiate sul parapetto del cammino di ronda, - si elevano due false torrette — alte come quelle sul mastio ed ugualmente merlate, ma con base angolare e non quadrata. Non essendo quindi in grado di sostenere uomini (se non su ponteggi tipo cantiere edile), parrebbero più atte a fornire al maniero un’estetica quadriturrita che a consentirne la difesa da ogni lato, La cubatura della cinta muraria - vuoto per pieno comprese le fondazioni e le torrette, è di mc.1600.82.

 

 

9)  Il palazzo. Sorto, per scopi residenziali, sfruttando, per l’appoggio posteriore e laterale, il muro di cinta dell’originaria corte d’armi, si compone di due edifici ad angolo. Questi, insieme al “mastio”, cingono a ferro di cavallo la corte attuale che ha mt.8,5 di larghezza e mt.18 di lunghezza, compreso lo spazio occupato dallo scalone (fronteggiante la citata porta a “libeccio”), che mediante due rampe simmetriche, conduce ai primi piani dei tre edifici. Il palazzo - ha due soli piani ed il tetto di tegole. Al primo vi sono otto aperture fra finestre e porte-finestre. E’ quindi molto luminoso, anche perché il muro sulla corte ha solo 70 cm. di spessore ed i vani finestra sono svasati.

La sua erezione è stata certamente rapida perché si è limitata alla costruzione del muro maestro sulla corte e dei tramezzi interni trasversali. L’altezza sulla corte dei due edifici affiancati è di mt.8,70. Il volume, vuoto per pieno, del muro esterno del palazzo (escluso il muro di cinta del Castello e la scala in pietra esterna) è di mc.190,30; il volume dei muri interni è di mc.40,82; complessivamente i mc. sono 231.

 

Capitolo

 

 

Analisi della fortezza Aragonese

 

 

10) La cerchia delle mura. Fatta costruire fra il 1364 ed il gennaio 1366, da Pietro IV° il Cerimonioso, titolare della Corona d’Aragona, negli immediati pressi dell’abitato di Sanluri, comprendeva 16 ettari di territorio, ed era composta da 10 lati di mura, alte mt. 4,50 e spesse poco più di un metro. Il suo perimetro era di 1550 metri. Su ogni angolo si elevava una torre, ma le torri erano 15 perché quattro, alte 12 mt., erano erette sulle porte disposte come i venti principali: Maestrale (porta per Monreale), Grecale (porta per Sardara), Scirocco (Portaleddu), Libeccio (Porta Nuova). La fortezza ha incorporato nel proprio territorio il Castello che dista dalle mura 20 mt.. Era stata edificata per ospitare una guarnigione di migliaia di fanti e cavalieri con i relativi quadrupedi - pronta a intervenire in caso di attacco arborense, non solo per respingere subito gli avversari oltre confine, ma per invadere reattivamente quel Giudicato che, la presenza del Giudice Mariano IV0 di Bas--Serra, aveva reso molto pericoloso.

Il perimetro della fortezza coincide con quello del quartiere di Sanluri chiamato “centro storico”. Il campanile, della attuale parrocchiale (dedicata alla Madonna delle Grazie), è per 2/3 quello della chiesa allora costruita dagli Aragonesi in onore ai Santi Cosma e Damiano protettori di Barcellona.

Con l’occupazione del quartiere alto di Cagliari, avvenuta nel 1326 (il Castello di Cagliari ha una superficie di 20 ettari) cacciandone i residenti per adibirla a loro sede, gli Aragonesi hanno dimostrato che — non sentendosi tranquilli a contatto con la popolazione preferivano isolarsi in strutture esclusive delle quali potevano “chiudere le porte”, soprattutto di notte.

La fortezza di Sanluri - costruita per ospitare la guarnigione di confine - è quindi in linea con le norme tattiche già impiegate dagli Aragonesi 30 anni prima. La minor dimensione è sola dovuta alla consistenza del “presidio” rimasto a proteggere Cagliari.

 

 

11) La porta a “Grecale”. Collocata originariamente in una torre, è l’unica, delle quattro porte della fortezza aragonese, che si è conservata. Situata a 11 mt. dalla parete più prossima del Castello, risulta — anche se arretrata rispetto alla linea delle mura — far parte di queste, ma si differenzia per il materiale utilizzato nella sua costruzione. Nel suo frontale, infatti, si è fatto largo uso di trachite di Serrenti e di pietre squadrate e levigate, come nel mastio del Castello. E’ stata poi edificata allo stesso livello di questo e dotata di identico sistema di chiusura, con saracinesca e portone a due ante; ma, per consentire l’ingresso delle macchine da guerra, questo è largo mt. 3,37 ed alto mt. 4,70.

Nel frontale non si rilevano segni di presenza di ponte Ievatoio, ma di una caditoia, in aggetto, posta al centro sopra l’accesso. Il livello della sottostante strada è oggi più bassa di mt. 1,60 di quella originaria, per cui sono completamente a nudo le fondazioni. Non ci si può quindi stupire che la pane superiore della torre, (tenendo conto del sollevamento della saracinesca doveva superare Il metri d’altezza), sia crollata. Adesso si attende il crollo della parte inferiore, visto che tutto il traffico dei quartiere, compresi autotreni e betoniere è incanalato dal senso unico, a passarvi sotto.

 

AI primo piano della torre si trovavano certamente, sia il magazzino delle armi difensive (usate nella difesa piombante), sia le feritoie per i lanci di frecce; al secondo, dietro le pareti menate, prendevano posto le vedette, gli arcieri ed i balestrieri per la difesa a distanza.

 

 

Capitolo 5°

 

Elaborazione delle analisi

 

 

12) Il Castello di Sanluri non può essere stato costruito dai Giudici di Cagliari. Dall’analisi (lemma 6) risulta che il Castello è stato costruito per combattere verso sud. Lo indicano: la posizione del mastio nei riguardi dell’insieme; la superiore presenza delle uniche due torrette “vere” e del grande terrazzo, utile per combattere e per contenere i rifornimenti; i segni lasciati dalla cortina di merli eretta e poi abbattuta fra le due torrette: tutte opere e segni a ridosso della parete sud.

La vicinanza del colle dei Cappuccini, della porta di Sardara (incorporata nella fortezza aragonese, ma eretta precedentemente (vedi lemma 15)), di tracce sotterranee di mura abbattute, fanno intravedere la presenza — alle origini — di un centro di difesa autonomo e su base circolare (comprendente il Castello, la porta ed il colle), posto a cavallo della strada principale dell’isola, ed orientato a combattere verso sud.

Non essendo possibile sostenere che tale complesso potesse operare a favore dei Giudici di Cagliari, ne consegue logicamente che non è stato da loro costruito.

 

 

13) Il Castello non può essere stato costruito dagli Aragonesi poco prima dell’edificazione della fortezza. Come già precisato, i] Castello è stato compreso nell’area della fortezza aragonese e dista mediamente 20 mt., dalle mura di questa ed appena 11 mt., dalla porta di Sardara. Se fosse stato costruito dagli aragonesi, insieme alla fortezza, questi si sarebbero certamente preoccupati di orientarlo adeguatamente: rivolgendo verso l’esterno delle mura (da dove sarebbe giunta l’attacco nemico) e verso la vicina porta di Sardara (che doveva essere protetta) sia il mastio del Castello, sia le torri quadrate, sia la merlatura intermedia, sia Io spazio per combattere. Invece il Castello presenta in direzione della porta e delle mura della fortezza due cammini di ronda ed una falsa torre non adatti per combattere, mentre il mastio è addirittura rivolto verso l’interno della fortezza. Non essendo gli aragonesi degli sprovveduti, non è possibile pensare che, nella ricerca di soluzioni di problemi seri come la costruzione di fortificazioni, abbiano edificato nel 1355 il Castello e nel 1365 la fortezza, senza una visione unitaria che integrasse le prestazioni delle due opere militari. Poiché tale coordinamento manca e Io si avrebbe solo ruotando il Castello di 90° in senso antiorario, tale carenza si giustifica col fatto che il Castello era già esistente e che21i Aragonesi lo hanno sfruttato al meglio, come sussidio abitativo della fortezza nella quale veniva incorporato.

 

 

14) Il Castello di Sanluri non può essere stato costruito in 27 gg. con l ‘apporto di 388 carri di trachite di Serrenti.

 

Dati:

 

 

Capacità di un carro in volume: 12 starelli di grano

Capacità di uno starello: litri 50,5

Peso specifico medio del grano duro = Kg. 800 per metro cubo o 1000 litri

12 starelli = litri 50,5 x 12 = 606 litri

Kg. 800/litri 1000 x 606 litri = Kg. 484,8 carico di un carro caricato con grano a raso

Peso specifico della trachite 24 qI./mc.

 

Risoluzione:

 

 

Ammettendo di poter sfruttare sia i carri, sia gli animali del traino facendo trasportare non 5, ma 12 qL a viaggio;

 

poiché 1 mc. di trachite pesa 24 ql. ed ogni carro carica ql. 12 che corrispondono a ½ mc.; con i 388 viaggi di carro si potevano trasportare mc. ½ x 388 = 194 mc. di trachite.

 

Poiché dai lemmi 6 e 8 delle analisi risulta che:

la cubatura delle murature del mastio è pari a 1721 mc.;

la cubatura della cinta muraria è pari a 1601 mc.; con un complessivo di mc. 3322 si ha che il totale della pietra trasportata dai 388 carri corrisponde a meno del 6% della pietra necessaria per la costruzione delle murature del Castello.

Se invece passiamo dal Castello al “palazzo” costruito nella originaria corte (lemma 9) noi rileviamo che la cubatura dei muri esterni di questo misura mc. 190,3 e quella dei muri interni mc. 40,82 con un totale di mc. 231,12. Confrontando tale valore con i 194 mc. presuntivamente trasportati dai carri e tenendo presente lo sconto dovuto per gli 8 vani finestre del “palazzo” sui 231,12 mc. di murature vuoto per pieno, ci accorgiamo che la costruzione che è stata effettuata nei 27 gg. con 388 carri non è il “Castello” nel suo insieme, ma solo il “palazzo ubicato nella corte — che da allora integra il Castello.

 

15) Anche la porta a “Grecale” — inserita nelle mura della fortezza — non è stata costruita dagli aragonesi, ma appartiene al preesistente sistema difensivo del Castello.

 

Premesso quanto già indicato nel lemma 11 e cioè che l’arte costruttiva ed i materiali utilizzati nella sua edificazione sono gli stessi utilizzati nel Castello e si differenziano invece da quelli dei resti delle mura della fortezza - richiamando il buon senso degli Aragonesi - questi, dovendo costruire la porta insieme alle mura, l’avrebbero ubicata 47 mt. più a sud (in posizione simmetrica rispetto al Castello e sempre lungo il perimetro delle mura) per poterle assicurare protezione delle milizie, delle torri e del mastio. Non vi è altra giustificazione per aver collocato la porta nella posizione attuale - tranne..., che la porta esistesse già e quindi sia stata incorporata nelle mura della fortezza in sede di costruzione delle stesse, forse demolendo quelle nelle quali era inserita, erette precedentemente, a protezione del Castello,

 

 

16) Il centro storico di Sanluri non può trovarsi nell‘ambito della fortezza aragonese.

 

Se nel 1377 la parrocchiale era la Chiesa di San Pietro, certamente l’abitato di Sanluri doveva trovarsi negli immediati pressi della stessa; se questa era fuori della cerchia delle mura, anche il paese doveva esserne fuori. Gli Aragonesi non avevano alcun interesse a cingere di mura l’abitato di Sanluri e, diffidando dei Sardi, non volevano estranei nelle loro fortificazioni. La fortezza di Sanluri (occupata dagli Arborensi nel 1366, restituita agli Aragonesi con la pace del 1388 e rioccupata da Brancaleone Doria nel 91), dopo la battaglia di Sanluri del 30/06/1409, avendo gli Aragonesi conquistato il dominio dell’intera Isola, perse definitivamente, per loro, ogni importanza militare. Con la successiva istituzione, nel 1436, della Viscontea di Sanluri, attribuita a Giovanni De Sena, avendo questi scelto il Castello come sua residenza e risultando lo spazio della ex fortezza libero da impedimenti militari, proseguì nello stesso l’espansione dell’abitato di Sanluri, iniziata al tempo di Eleonora, ma bloccata tragicamente dal massacro dei 600 civili trovati dagli Aragonesi all’interno della fortezza al termine della battaglia.

 

Poiché il trasferimento della popolazione, nel territorio della ex fortezza, è avvenuto quando mura e porte esistevano, è comprensibile che la viabilità interna nel nuovo borgo si sia formata in funzione di queste. Le strade infatti conducono da una porta all’altra e non si nota alcuna strada — all’interno - che sia stata sbarrata dalle mura. Questo è esattamente il contrario di quanto accade là dove le mura hanno circondato un abitato preesistente (le città mirate del periodo medioevale) dove molte vie sono cieche.

Il centro storico di Sanluri non si trova quindi dove è sorto il Borgo, ma negli immediati pressi della Chiesa di San Pietro.

 

 

17) La scelta della posizione della fortezza aragonese.

 

Chi, dal terrazzo del Castello, guarda la pianura del Campidano (larga 17 km.) - che si estende a perdita d’occhio sia da un lato sia dall’altro - è assai difficile che possa giustificare oggi la località scelta dagli Aragonesi, per la costruzione della loro fortezza di confine. Una guarnigione di confine, infatti, che venga ubicata al margine di una pianura, non può esercitare alcun controllo sui movimenti che avvengono nella pianura stessa, specie di notte anche a breve distanza. Quindi lo scopo di Pietro IV° il Cerimonioso di bloccare sul confine un invasione arborense non avrebbe oggi alcuna possibilità di essere raggiunto in quanto la pianura è transitabile; ma che allora fosse intransitabile lo abbiamo riscontrato nel lemma 3. Dobbiamo quindi convenire che la scelta è stata, per quei tempi, molto oculata.

 

 

 

Capitolo 6°

 

 

Le origini politiche del Castello di Sanluri.

 

18)  Preliminari.

 

Se il Castello, da quanto esposto, non è stato costruito dai Giudici di Cagliari, né dagli Aragonesi, non ci restano che i Giudici d’Arborea. Ma non essendo stato reperito un documento giudicale dal quale rilevare notizie sulla sua edificazione — quando sia avvenuta e a chi sia dovuta — è possibile colmare, con la logica, tale carenza.

 

E’ opportuno comunque precisare:

 

a)         che il Castello al quale si fa riferimento è quella parte della attuale costruzione, che comprende il mastio e le mura sormontate dal cammino di ronda. Viene quindi escluso “il palazzo” costituito dagli edifici prettamente residenziali, identificabile dal tetto in tegole, in quanto costruito certamente dagli Aragonesi subito dopo la pace di Sanluri del 1355.

 

 

b)         Che le due torri quadre che sovrastano il mastio, pur essendo simmetriche, differiscono fra loro per pianta, misure e vetustà. Vi è quindi il dubbio che possano essere state edificate in tempi diversi. Nè sarebbe questo un fatto insolito in edifici militari medioevali, specie se ubicati alle frontiere. La loro erezione, avveniva infatti in modo discontinuo subendo accelerazioni — quando i rapporti con i confinanti si facevano tesi o conflittuali e rallentamenti o soste, quando divenivano pacifici. Le costruzioni militari, oltre a richiedere notevoli investimenti di denaro - a detrimento di eventuali opere civili quali strade, ponti, dighe, acquedotti, bonifiche ecc. — non hanno, quasi mai goduto del gradimento delle popolazioni, che erano costrette a sopportarne i costi (e quindi i sacrifici dovuti all’imposizione di tributi e comandate) senza la speranza di poterne ottenere vantaggi.

 

 

19) Le lotte fra Pisani e Genovesi.

 

Genova, Pisa, Amalfi e Venezia sono note come “le quattro Repubbliche marinare”. Queste città, più che nel proprio retroterra, avevano cercato, nel medioevo, espansione oltremare e, per sviluppare i traffici e garantirsi dalle insidie degli avversari, avevano dovuto costruirsi - oltre alla flotta mercantile - una flotta da guerra e dotarsi di basi di appoggio in terre lontane. Venezia spaziò nell’ Adriatico dove aveva creato colonie nelle coste Dalmate; Genova e Pisa batterono il Tirreno, dove Genova aveva occupato la Corsica; Amalfi, che si era mossa per prima, si invischiò invece in vicende calabro-pugliesi. l’opportunità offerta a Liguri e Pisani di godere di privilegi in Sardegna interessò tante famiglie illustri. Da Genova e dalla Lunigiana giunsero membri delle famiglie Doria (marchesi), Malaspina (marchesi dell’impero), Obertenghi (marchesi di Massa e Corsica) ecc.; da Pisa, oltre ai Visconti, arrivarono i della Gherardesca (conti di Donoratico); i Burgundione (conti di Capraia), ecc.... Questi personaggi, sia per le esperienze acquisite nei luoghi di provenienza, e quindi per l’abilità nel condurre traffici, commerci, trasporti, (anche perché facilitati, oltremare, dalla collaborazione di persone amiche), sia per la capacità artigianali ed agricole sempre acquisite nelle terre di origine, raggiunsero in breve tempo in Sardegna elevate condizioni economiche e quindi eminenti posizioni nel mondo sociale isolano, tali da consentire - ad alcuni - di unirsi in matrimonio con membri di famiglie giudicali ed ai loro eredi di ottenere cariche di rilevante importanza politica. Una volta che esponenti di queste famiglie erano entrati a far parte di “case” giudicali, queste schierandosi di conseguenza con i propri congiunti, finirono per sostenere gli interessi di Pisa o di Genova, e durante i contrasti, combatterono le une contro le altre. Avvenne così che i Giudicati di Sardegna, pur essendo indipendenti da Pisa e Genova, passarono dopo il 1150 dall’armonia dei primi Giudici, tutti appartenenti alla famiglia Lacon-Gunale, ad impegnarsi in lotte fratricide. Nacque allora l’esigenza — specie alle frontiere - di nuove costruzioni militari come i castelli. Quello di Sanluri, sorto a difesa del giudicato d’Arborea, al confine con quello di Cagliari è una risposta.

 

Per sapere quando fu costruito e chi ha affrontato l’onere della sua edificazione, è indispensabile esplorare le relazioni fra i due Giudicati, fra 1150 ed il 1258 quando, con la caduta quello di Cagliari, sparì uno dei contendenti.

 

 

20)  I rapporti conflittuali fra i Giudicati di Cagliari e di Arborea.

 

a) Giudicato di Cagliari. Fino al 1188 la dinastia dei Lacon-Gunale resse il Giudicato di Cagliari che in quell’anno passò a Guglielmo I° figlio del ligure Oberto Obertenghi “Marchese di Massa e Corsica”. Questi, noto come Salusio IV°, regnò fino al 1214 ed è noto per essere stato “sempre in guerra” con gli altri Giudicati: con quello di Torres nel 1194; con quello di Arborea nel 1195; con quello di Gallura nel 1203. A lui successe il nipote Guglielmo II°, che rimase fino alla maggiore età sotto tutela della madre Benedetta (figlia di Adelasia Malaspina di Lunigiana) coniugata con Barisone Torchitorio IV°, giudice d’Arborea. Benedetta prosegui nella politica filo-genovese del padre consentendo però nel 1216, ad imprenditori pisani, la costruzione, su una collina non lontana da S. Igia, di una roccaforte di 20 ettari (l’attuale Castello di Cagliari). L’ultimo sovrano del Giudicato fu quindi Guglielmo della casata di Lacon-Massa-Serra che salì al trono col nome dinastico di Salusio VI°. Il suo governo fu decisamente filo-ligure, tanto da cacciare tutti i Pisani dal Castello di Cagliari. Nel 1257 venne però attaccato, da terra e da mare, da una coalizione militare costituita dagli altri 3 Giudici (filo-pisani) e dal Comune di Pisa. Santa Igia (la capitale) cadde il 20 luglio 1258 e venne distrutta. Guglielmo fuggì a Genova, dove morì, in quello stesso anno, senza lasciare eredi ed il territorio del Giudicato di Cagliari venne smembrato.

 

 

b) Giudicato di Arborea. Nel Giudicato d’Arborea la ripartizione settoriale “Genova — Pisa” ebbe variazioni — per quanto riguarda i rapporti col Giudicato di Cagliari con due personaggi: Barione I° e Guglielmo di Capraia.

Barisone I° di Lacon-Serra, che aspirava al titolo di re di Sardegna, durante la guerra fra

Genova e Pisa, iniziata il 19/06/1162, appoggiò un pretendente filo-ligure al trono di

Cagliari e invase quel Giudicato nel 1163 costringendo il giudice Pietro Torchitario III° a

rifugiarsi nel Giudicato di Torres. L’anno successivo però subì il contrattacco nel Castello di

Cabras. Nel 1180 attaccò nuovamente, ma venne respinto. Guglielmo di Capraia divenuto reggente del Giudicato d’Arborea, per il minore Mariano II°di Lacon-Serra (Visconte nominale di Bas), imparentato con i della Gherardesca e coi Visconti, nel 1258 partecipò invece all’abbattimento e allo smembramento del Giudicato di Cagliari.

 

21) La costruzione del Castello di Sanluri. La costruzione è certamente legata ad un periodo di crisi dei rapporti fra i Giudicati di Cagliari e di Arborea, ma soprattutto alla eventualità di un violento attacco “Cagliaritano” dal quale difendersi. Dall’esame dei rapporti conflittuali sopra riportati, tale periodo può ricadere solo durante i regni: nel Giudicato dì Cagliari di Guglielmo I° Salusio IV° della Casata degli Obertenghi Marchesi di Massa e Conica;

nel Giudicato di Arborea di Pietro I° di Lacon-Serra (figlio di 1° letto di Barisone I°) (1185/1207).

Il Castello di Sanluri deve quindi essere stato costruito da Pietro I° fra il 1188 ed il 1195.

 

 

 

Capitolo 7°

 

LA BATTAGLIA DI SANLURI DEL 30/06/1409.

 

22)  L’obiettivo aragonese: la “rapida riconquista della Sardegna”.

 

Dopo l’arrivo a Cagliari, dalla Catalogna e dalla Sicilia, degli uomini, cavalli, armi ed altri rifornimenti attesi, non vi è dubbio che Martino “il Giovane” re di Sicilia abbia messo a punto, con i suoi consiglieri, il piano di azione da attuare con le forze disponibili. Restando obiettivo prioritario “una rapida riconquista della Sardegna”, si doveva mirare subito al cuore della rivolta e sfruttando gli eventi favorevoli — battere l’esercito del nuovo Giudice di Arborea Guglielmo III° di Narbona e Bas, prima che si rinforzasse. Questo, era numericamente superiore, ma aveva notevoli carenze di addestramento, specie alle operazioni di massa.

I suoi fanti erano sprovvisti di armi e armature adeguate; né sembra fosse dotato di armi da fuoco. Dopo la morte di Brancaleone Doria, avvenuta nel gennaio, era inoltre privo di un Capo prestigioso ed esperto.

L’essere poi costituito da sardo—giudicali, sardo-genovesi, genovesi, lombardi, francesi, non favoriva certo né la compattezza, né l’intesa nello svolgimento delle operazioni. La presenza di una grossa componente sardo-genovese — minata da partigiani rancori per le recenti lotte fratricide della successione arborense né indeboliva ulteriormente la struttura.

Questo esercito, dopo aver guarnita di milizie il Castello di Villa di Chiesa (lglesias), risultava acquartierato nel giugno del 1409 nella grande fortezza di Sanluri (16 ettari di superficie) e nel vicino Castello di Monreale, cioè nei pressi del tradizionale confine sud dell’Arborea.

 

23)      Da Cagliari a “Flummara”.

Lasciando. il 26 giugno, col suo esercito, Castel di Cagliari, in direzione di Sanluri, re Martino non poteva trascurare le forze avversarie di stanza nel Sulcis perché queste avrebbero potuto attaccarlo sul fianco durante il trasferimento al nord, o tagliargli i rifornimenti o anche assediare Castel di Cagliari indebolito dalla partenza di tanti armati. Per creare azioni diversive ed indurre il nemico in errore circa le sue intenzioni, re Martino aveva ordinato prima, di partire per la zona di operazioni, che il 27 giugno alcune centinaia di fanti e cavalieri dirigessero su Villa di Chiesa per assediarla e che Berengario Carroz, conte di Quirra — fedele vassallo muovesse, con le proprie forze feudali, alla conquista dell’Ogliastra.

Essendo estate e dovendo garantire giornalmente ai suoi 8.000 tinti, 3.000 cavalieri e ai loro 3.000 quadrupedi l’indispensabile rifornimento di acqua, aveva scelto per l’avvicinamento al nemico di seguire, a ritroso, il Rio “Samassi” (oggi Flumini Mannu) che dopo essere passato poco a sud di Sanluri sfocia nello stagno di Elmas. Procedendo lungo il fiume, la sera di sabato 29, le forze siculo-aragonesi giunsero a due miglia da Sanluri e si accamparono a “Flamaira”.

La trascrizione corretta del toponimo è certamente “Flumara” (dal sardo: stagno — fluviale). Tale località è oggi ancora identificabile nella grande ansa (parzialmente occupata dal lago artificiale di “Casa Fiume”) sorta per il brusco incontro del Flumini Mannu con le pendici del colle “Conca Manna” che ne ha provocato l’inversione. Prima della costruzione della diga, quando nel bacino imbrifero del fiume cadevano piogge battenti, le acque degli affluenti “Monte Miali” e “Allumina”, immettendosi di lato nel Mannu e sbarrando quindi le acque del fiume, né causavano lo straripamento che avveniva inondando le terre vicine fino ad ottenere un’altra via di uscita, tagliando l’ansa.

Dagli annali dello Zurita non risulta che la battaglia di Sanluri si sia svolta sotto la pioggia, ma che il 30 giugno 1409 il Fiume Mannu fosse in piena. Tale fenomeno si riscontrava anche in estate per i motivi indicati nel lemma 3 ed i locali, partecipavano l’evento dicendo: “esti cabau su frumi!”.

 

 

24)      Le forze in campo Prime avvisaglie.

All’alba di domenica 30 giugno, dopo che nella notte gli esploratori avevano battuto i dintorni della fortezza senza riscontrare movimenti o presenza di armati, l’esercito siculo-aragonese, dopo un discorso di incitamento del sovrano, mosse dall’accampamento di Flummara e si portò, in ordine di battaglia, fino a un miglio dall’abitato di Sanluri.

Guidava l’avanguardia Pietro Torelles con 1.000 armati. Seguiva, con un certo distacco, re Martino con il “grosso” (costituito da 4.000 uomini, dei quali almeno 1.000 cavalieri). Chiudeva la formazione la retroguardia, probabilmente della stessa consistenza dell’avanguardia. Poiché l’armata Aragonese partita da Cagliari era di 11.000 uomini (fra fanti e cavalieri), la differenza di 5.000 armati costituiva le riserve: la “tattica”, di almeno 2.000 fanti, era certamente rimasta a guardia dell’accampamento in attesa di ordini; l’altra “d’urto”, di 2.000 cavalieri e 1.000 fanti da impegnare nell’acme della battaglia — era solita avanzare seguendo un altro percorso, meno in vista, per tenersi “in ombra”, pronta però ad intervenire — come massa di manovra su richiesta del re.

Gli Aragonesi, inferiori di numero, contavano molto sul loro armamento e sulla loro organizzazione. I fanti avevano elmo, corazza, scudo, spada corta e lunga; gli arcieri erano forniti di arco o di balestra con caricamento a pedale; i cavalieri, dotati di corazza, montavano cavalli protetti; erano armati di lancia e di mazza e, nel fodero allacciato alla sella, avevano una daga gli antesignani degli odierni artiglieri accudivano agli schioppi ed alle bronzee bombarde introdotte in Sardegna dal 1380.

Dall’altra parte Guglielmo III° di Narbona, che dalle torri del Castello di Sanluri (quota mt. 150) aveva visto, la sera precedente, l’arrivo dell’avversario, si era mosso quel giorno di buon’ora seguito dai suoi.

Egli doveva raggiungere gli altri fanti e cavalieri provenienti dal Castello di Monreale su una modesta altura (quota mt. 149), a un migliaio di metri da Sanluri, oggi nota come “Bruncu de sa battalla”. Qui intendeva concentrare gli armati ed attendere il nemico.

Le sue forze erano costituite da 3.000 cavalieri e 17.000 fanti. Fra questi i famosi balestrieri genovesi, noti per la loro precisione (la distanza di tiro massima era di 350 metri), la frequenza dei lanci (oltre una freccia al minuto), e la tempera delle punte in grado di perforare le armature. La maggior parte dei fanti sardi non era protetta né da corazza, né da elmo. Era solo armata “del proprio coraggio” e di una verga di circa un metro di lunghezza metà manico di legno e metà lama triangolare, leggermente ricurva — da utilizzare come lancia, spada e anche pugnale.

 

 

25) - Bruncu de sa Batalla — il luogo del primo scontro.

 

Re Martino giunse in vista delle forze giudicali con i suoi 5.000 fanti — armati di tutto punto — 500 cavalieri appiedati e 500 montati. Aveva la formazione tipica per sostenere l’attacco della fanteria avversaria.

Quando però si accorse che Guglielmo III° constatata la prevalenza numerica della propria cavalleria, stava manovrando per lanciarla contro la fanteria siculo-aragonese e travolgerla durante la salita di avvicinamento, ordinò sia l’immediato intervento della “riserva d’urto”, composta da 2.000 cavalieri e 1.000 fanti celeri (con armatura leggera), che stazionava nei pressi, coperta alla vista dell’avversario, sia ai propri cavalieri appiedati di rimontare in sella.

Dispose poi la fanteria sul lato sinistro e la cavalleria sul destro, e fece assumere alla sua armata la formazione “a cuneo”, atta a contrastare l’attacco della cavalleria giudicale, ed a sfondare il fronte delle forze avversarie per dividerle e quindi batterIe separatamente.

La manovra riuscì brillantemente. La battaglia fu subito asprissima, ma — ad un tratto, sotto la pressione del “cuneo”, il lato destro dell’esercito giudicate fu visto sfaldarsi e le sue componenti cercare rifugio nella vicina fortezza di Sanluri o spingersi più a nord in direzione del Castello di Monreale, inseguite dalla fanteria Aragonese. Il lato sinistro invece, essendogli stata chiusa la ritirata dalla manovra avvolgente della cavalleria Aragonese, fu spinto a scendere nella vallata che da Sanluri conduce a Furtei. Da qui poteva raggiungere la piana solcata dal Flumini Mannu, risalire a Sanluri e riunirsi alle forze residue. Gli Aragonesi, sapendo fin dal mattino che il “Mannu” era in piena e che le sue acque chiudevano il fondovalle, allertarono allora la “riserva tattica” — costituita dai 2.000 soldati rimasti nell’accampamento che si trovava vicino al fiume, per bloccare i fuggiaschi mentre questi, trovando chiuso il fondovalle dal fiume, avrebbero dovuto risalire l’altura — oggi nota col triste nome di “S’Occidroxiu” — per tornare a Sanluri.

 

26) - L’eccidio de “S’Occidroxiu” e la caduta della fortezza di Sanluri.

“Ai sardi mancò talvolta la fortuna, mai il valore”. Incalzati e divisi in gruppi dalla cavalleria avversaria, caduti nella trappola fluviale, quando si accorsero che la via d’uscita era sbarrata da consistenti forze, armate di tutto punto, furono presi da quel sacro furore che, se centuplica le forze, annebbia l’intelligenza ed è l’antitesi della freddezza tanto necessaria al combattente. Fu così che a “S’Occidroxiu” caddero a migliaia, mentre le perdite Aragonesi furono assai limitate. Non ebbero miglior fortuna coloro che si erano rifugiati nella fortezza di Sanluri. Questa infatti cedette ai reiterati assalti della fanteria siculo-aragonese, guidata da Bernardo di Cabrera, Bernardo Galcerando de Pinas e Giovanni De Vall ed all’interno della stessa venne fatta una carneficina. Vi perirono infatti duecento balestrieri genovesi, cento fanti francesi e lombardi e centinaia di civili considerati partigiani del nemico. Furono infatti passati a fil di spada gli uomini, mentre alle donne fu riservata la schiavitù.

L’abitato di Sanluri, che aveva come sua parrocchia la chiesa di S. Pietro e che stava fuori della fortezza, non vi è alcun motivo che fosse distrutto e gli abitanti uccisi, in quanto abitare non è una azione di guerra.

 

27) - La fine del periodo giudicale.

Il Giudice Guglielmo III° di Narbona e Bas dopo aver perso la propria insegna di combattimento, caduta in mani nemiche, riuscì a stento a raggiungere il Castello di Monreale ed a mettersi in salvo con i suoi fidi. Era stato inseguito, ma non raggiunto dalle milizie Aragonesi.

Re Martino il “giovane” che nella battaglia si era comportato - malgrado i consigli di prudenza del padre - con grande sprezzo del pericolo e molta audacia, in quella giornata fu molto fortunato. Non per nulla “Audaces fortuna iuvat”. Ma lo attendeva a breve un tristissimo destino. Morì di malaria 25 giorni dopo.

La battaglia di Sanluri fu certamente un immane massacro, ma le sorti del giudicato d’Arborea non erano compromesse visto che le forze Aragonesi non avevano provveduto immediatamente alla sua occupazione. Purtroppo la presenza di un Giudice, straniero per nascita, residenza ed interessi, portò alla fine di questo: sostanzialmente con la battaglia di Sanluri; formalmente il 17 agosto 1420 con la vendita, per 100.000 fiorini ad Alfonso IV° il Magnanimo re di Aragona, dei propri diritti sovrani.

 

 

Si chiuse così, dopo 530 anni, il periodo Giudicate che per gli Istituti giuridici introdotti concernenti elezioni e parlamento e per l’affermazione dello Stato super individuale (che si distingueva e prevaleva sulla persona del Sovrano), ha dato alla Sardegna il merito di aver anticipato di tre secoli l’Inghilterra nella valorizzazione dell’uomo e nella modernizzazione del concetto di Stato.