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Bibliografia Sensky


Le presentazioni del paziente nella Medicina generale:
alcuni effetti della depressione o dell'ansia
sulle attribuzioni causali dei sintomi

di: Tom Sensky, psichiatra


 La valutazione dei pazienti nei riguardi delle loro malattie è spesso più importante delle variabili cliniche di "malattia" nel determinare i livelli di disagio, handicap e il raggiungimento della salute (Sensky, 1990; Sensky & Catalan, 1992). Similmente, il modo con il quale un individuo valuta un nuovo sintomo che modifica il suo stato di salute è probabile influenzi la ricerca di aiuto dal proprio medico. Una moltitudine di fattori possono avere la possibilità di influenzare la valutazione dei propri sintomi, tra questi le conoscenze sulla salute e sulla malattia, le convinzioni sulla gravità dei sintomi, le esperienze passate sulle malattie e sui medici all'interno della famiglia di origine e nell'ambito sociale, le norme sociali e così via.

I modelli comuni di malattia possono essere molto idiosincratici (Sensky, 1990; Sensky, 1993). Questo è poco sorprendente alla luce delle molteplici influenze che riguardano la valutazione delle malattie. Comunque, la spiegazione causale dei sintomi e delle malattie sono anche soggette a sistematiche fonti di errore (Sensky, 1997). La comprensione di questi errori sistematici può aiutare il clinico a capire più velocemente e comprensibilmente perché il paziente si è presentato a lui chiedendo aiuto in quel momento e quali sono i motivi principali delle sue preoccupazioni.

Attribuzione causale
Nel loro colloquio spontaneo, le persone effettuano regolarmente attribuzioni causali offrendo, in altre parole, la loro propria spiegazione per gli eventi che li colpiscono (Weiner, 1985). Ricerche condotte originariamente non in persone ammalate ma nel campo della psicologia sociale indicano che è più probabile che un individuo cerchi una spiegazione quando l'evento ha una particolare rilevanza personale, è inatteso o ha un esito negativo e quando un evento o il suo esito è associato all'incertezza (Weiner, 1986; Turnquist, Harvey & Andersen, 1988). Queste condizioni, naturalmente, si verificano in molte circostanze quando qualcuno sviluppa una lamentela riguardante la propria salute che considera grave o importante abbastanza da cercare un parere. Nelle persone con malattie fisiche, il 70 - 95% riporta attribuzioni causali sulla loro malattia (Turnquist, Harvey & Andersen, 1988).

Molte persone, quando affrontano un nuovo sintomo o un problema di salute, iniziano a cercare una spiegazione ambientale o "esterna" (Robbins & Kirmayer, 1991). Così, per esempio, una persona attribuisce il sentirsi molto caldo non alla febbre ma alla scarso funzionamento dell'aria condizionata. Tali modalità di attribuzione, che sono state chiamate "normalizzanti", sono benigne e non esitano nella ricerca di aiuto. Solo quando una spiegazione normalizzante è inadeguata, l'individuo ricerca delle spiegazioni dentro se stesso. Tali attribuzioni interne sono abitualmente patologiche e spesso esitano nella ricerca di aiuto. Nel ricercare le spiegazioni causali nella memoria, le persone tendono raramente a approfondire le cose e spesso si basano su dati inaccurati (Sensky, 1997). Per esempio, la spiegazioni che ci vengono in mente più velocemente tendono a essere giudicate più probabili di altre. Tali spiegazioni possono essere poco probabili e estreme piuttosto che più probabili. Quello che una persona ha appreso dai media o ha discusso con familiari o amici può avere maggiore influenza di quello che ogni singolo evento meriterebbe. Una volta che la persona è predisposta a fare attribuzioni patologiche (per esempio, se qualcuno è predisposto all'ipocondria), questa predisposizione tende a far sì che l'individuo cerchi di identificare gli indizi (sia riguardanti le memorie passate che quelli riguardanti le osservazioni attuali) che possono essere più probabili nel confermare l'attribuzione patologica. Se una persona sta sperimentando un sintomo per la prima volta, può tentare di costruire alcuni scenari per spiegare il suo sintomo. La probabilità che un dato scenario sia accurato è valutata in relazione a quanto plausibile appare essere la spiegazione del sintomo e a quanto facilmente tale scenario viene in mente al paziente. La plausibilità è ancora una volta soggetta alle influenze sopra descritte e, per molti motivi, gli scenari che giungono in mente più facilmente sono quelli che coinvolgono significativi e spesso estremi passi che conducono dalla causa presunta alla presentazione clinica.

Disturbi affettivi
La depressione e l'ansia sono comuni nelle persone con malattie fisiche, anche nella comunità (Wells, Golding & Burnham, 1988). Una significativa minoranza di persone che si recano dal medico di famiglia hanno lamentele o sintomi psicologici e, in questo gruppo di pazienti, l'ansia e la depressione costituiscono le diagnosi psichiatriche predominanti (Goldberg & Huxley, 1992). Qualunque siano le origini di tale disturbo affettivo, è probabile che esiti in un errore sistematico nella valutazione individuale nei riguardi della sua malattia, delle circostanze a essa correlate e possibilmente anche nei riguardi dell'aiuto medico che riceve (Sensky, 1993). Nonostante la valutazione della malattia di una persona rimanga complessa e individuale, particolari errori dovuti alla presenza dell'ansia e della depressione possono essere previsti da un sostanziale numero di ricerche della psicologia cognitiva e della terapia cognitiva (Sensky, 1997).

Effetti della depressione
In accordo al modello cognitivo, la depressione è caratterizzata da convinzioni eccessivamente pessimistiche nei confronti dell'individuo stesso, del mondo che lo circonda e del futuro (Beck, 1990) Quando si confrontano con qualcosa che è andato storto, alcune persone che soffrono di depressione non solo condannano se stessi ma pensano anche che quello che ha causato questo particolare problema potrebbe ripresentarsi ripetutamente e pensano anche di essere impotenti nell'impedire che questo problema si ripresenti. Questa modello della depressione basato sulla "perdita di speranza" è stato criticato per non essere sufficientemente esaustivo ma illustra bene come gli errori nelle convinzioni di una persona depressa possono essere utilizzati per sostenere o anche esacerbare la depressione. Se a queste convinzioni capita di focalizzarsi su un nuovo sintomo, è poco sorprendente che il sintomo diventi spesso il nucleo delle aumentate preoccupazioni del soggetto.

Le ricerche hanno mostrato che, quando sono depresse, le persone sono capaci di rievocare memorie pessimistiche molto più rapidamente dei soggetti ottimisti (Williams, 1992). Dato per scontato quello che è già stato detto sui modi con i quali le persone costruiscono le attribuzioni causali, questo rende molto più probabile che le persone depresse arriveranno a una visione particolarmente pessimistica della loro salute. Un altro specifico fattore cognitivo influenzato dalla depressione è la memoria autobiografica (Williams & Scott, 1988). Normalmente, quando a una persona viene suggerita una parola e le viene chiesto di ricordare uno specifico evento del passato che gli ricordi di quella parola suggerita, l'individuo è capace di ricordare uno specifico evento con molti dettagli. Questo dettagliato ricordo di specifici eventi è chiamato memoria autobiografica. La persona depressa ha molte possibilità in meno di ricordare eventi specifici, ma tende a avere solo ricordi di memorie molto generali. Questa compromissione nella memoria autobiografica nella depressione è maggiore per le memorie positive rispetto a quelle negative. Essere capace di ricordare eventi positivi solo in termini vaghi e generali è un ulteriore fattore che ancora una volta probabilmente perpetuerà i sentimenti depressivi. Comunque, questa situazione ha anche altre conseguenze. Deficit nella memoria autobiografica sono associati a una compromessa capacità di risoluzione dei problemi (Goddard, Dritschel & Burton, 1996). Questo è comprensibile perché quando ci troviamo di fronte a un nuovo problema, tanto maggiore è il numero di dettagli che una persona ricorda sui problemi passati e sulle loro soluzioni, tanto più è probabile che le caratteristiche del problema attuale possano ricalcare il modo con il quale i problemi del passato sono stati affrontati con successo. È probabile che gli stessi principi si applichino più facilmente nella valutazione della salute o della malattia tra coloro che consultano il loro medico e si verificano anche in coloro che mostrano sintomi di depressione.

Effetti dell'ansia
L'ansia spesso conduce un individuo a percepire un sintomo più seriamente di come lo giudicherebbero altre persone e può contribuire alla decisione della persona di cercare aiuto medico. Un comune modello cognitivo dell'ansia normale, supportato da evidenze sia empiriche che sperimentali, suggerisce che quando l'individuo ansioso percepisce qualche minaccia (come un sintomo o una sensazione corporea alla quale non aveva fatto caso in precedenza) mostra una apprensione che conduce a un aumento della concentrazione sul funzionamento corporeo e della fisiologica eccitazione accompagnato da comportamenti di controllo e dalla ricerca di rassicurazione (Salkowskis, 1989). Questa situazione conduce poi a una preoccupazione sui cambiamenti che vengono percepiti nelle sensazioni corporee. Dato per scontato quello che abbiamo detto prima, ognuno di questi cambiamenti è probabile che venga interpretato come patologico e come segnale di malattia. Questo aumenta l'apprensione dell'individuo creando perciò un circolo vizioso.

Le persone che si autodichiarano "preoccupate" mostrano differenze caratteristiche nei loro processi cognitivi rispetto alle persone che non si preoccupano eccessivamente (MacLeod, Williams & Beckerian, 1991). Se viene chiesto loro se cadranno o meno vittime di eventi avversi, le persone che si preoccupano ne sono maggiormente convinte; sono più "abili" nel trovare spiegazioni sul perché quegli eventi accadranno e meno capaci di fornire spiegazioni sul perché quegli eventi non accadranno. Ciò accade soprattutto nei soggetti che si recano spesso dal medico di famiglia (Sensky, MacLeod & Rigby, 1996; MacLeod, Haynes & Sensky, 1997). Le persone che consultano il loro medico di famiglia meno frequentemente della media attribuiscono più facilmente le sensazioni corporee a cause benigne (attribuzioni normalizzanti - vedi sopra) mentre i soggetti che si recano spesso dal loro medico di famiglia è molto meno probabile che facciano tali attribuzioni normalizzanti. Questa concentrazione sulle attribuzioni patologiche e la relativa scarsa attenzione alle spiegazioni causali benigne si applica a tutti coloro che sono ansiosi. Comunque, esistono differenze tra le persone ansiose specificamente rispetto alla loro salute e quelle ansiose ma non ipocondriache. Gli ipocondriaci tendono a favorire spiegazioni patologiche somatiche per i sintomi o le sensazioni corporee mentre le persone generalmente ansiose tendono a favorire spiegazioni psicologiche.

Influenze più stabili sulle percezioni comuni dei sintomi o delle malattie
Poiché l'ansia e la depressione sono abitualmente transitori, i loro effetti sulle attribuzioni causali e altri aspetti del modello di malattia di una persona sono anch'essi abitualmente transitori. Influenze cognitive a più lungo termine sulla valutazione di una persona riguardo alla malattia o ai sintomi sono molto meno comprensibili. Comunque, alcune potenziali influenze a più lungo termine sono certamente meritevoli di una indagine più ravvicinata.

Le persone, non solo rispetto alla malattia ma anche in generale, sono molto variabili nella complessità totale delle loro spiegazioni causali (Fletcher, Danilovics, Fernandez, Peterson & Reeder, 1986). La ragioni per tali variazioni nella complessità della attribuzione sono a tutt'oggi ancora non chiarite. In questo contesto, può essere rilevante dire che questo fenomeno può essere influenzato dalla depressione, dato che molti ricercatori riportano un declino nella complessità della attribuzione duranti gli episodi depressivi (Flett & Hewitt, 1990). Può essere suggerito che le attribuzioni complesse, poiché contengono molti elementi che devono essere consistenti l'un l'altro, sono meno affini ai tipi di errori descritti sopra e possono quindi essere più accurati e affidabili.

Come la complessità attribuzionale, la memoria autobiografica può essere influenzata da altri fattori oltre che dalla depressione. Specificamente, esiste l'evidenza che i traumi infantili danno luogo a deficit duraturi nella memoria autobiografica che sono generali e non focalizzati specificamente sulle situazioni che possono riportare alla luce memorie del trauma. Per le ragioni sopra descritte, un deficit nella memoria autobiografica è più probabile conduca a errori nella valutazione dei sintomi.

Un altro fattore che merita ulteriori indagini è il senso di coerenza (Antonovsky & Sagy, 1986; Antonovsky, 1993). Questo termine è stato sviluppato come un concetto per comprendere perché alcune persone sono capaci di far fronte più adeguatamente agli eventi stressanti e alle avversità. In sintesi, si tratta di una misura di elasticità di fronte allo stress. Le persone con un altro senso di coerenza mostrano confidenza nella loro capacità di far fronte agli eventi stressanti e percepiscono gli eventi stressanti come prevedibili e spiegabili. Un basso senso di coerenza è stato associato alla depressione in soggetti con malattie fisiche (Buchi, Sensky, Allard, Stoll, Buddebberg & Klaghofer, 1998) e a esiti di malattia meno soddisfacenti in generale (Callahan & Pincus, 1995; Larsson, Johansson & Hamrin, 1995).

Implicazioni per la ricerca e la pratica clinica
Le spiegazioni che le persone adottano per i sintomi e i segni di malattia sono chiaramente importanti ma rimangono comunque sostanziali carenze nelle nostre conoscenze. In particolare, rimane poco chiaro perché, in generale, facciamo attribuzioni causali così prontamente e così frequentemente. È stato unanimemente sostenuto che fare attribuzioni è un processo adattativo ma, a tutt'oggi, i dati che supportano questa affermazione sono inconsistenti (Sensky, 1997). Esiste anche la necessità di caratterizzare ulteriormente alcune delle influenze più probabili nelle spiegazioni che le persone ricercano sui loro sintomi. In particolare, ci si chiede quale sia il contributo dei familiari, degli amici e dei media in questo processo. Dal punto di vista aneddotico, ognuno di questi fattori può essere estremamente importante nei casi singoli ma le evidenze di ricerca disponibili ci lasciano ancora lontani dal produrre un modello convincente di queste influenze e interazioni.

In ambito clinico, le attribuzioni causali sono elementi chiave di ogni modello individuale di malattia. Tali attribuzioni sono soggette a sostanziali errori e ad una moltitudine di influenze variabili. La presenza della depressione o dell'ansia dovrebbe mettere all'erta il clinico in relazione alle particolari forme di attribuzioni errate. Il clinico non dovrebbe fare affermazioni della convinzione individuale di malattia, ma dovrebbe ricavare queste informazioni direttamente dal paziente. Esiste l'evidenza che questo processo in se stesso può essere terapeutico (Van Dulmen, Fennis, Mokkink, Vam der Velden & Bleijenberg, 1995). Inoltre, una comprensione condivisa tra il medico ed il paziente del modello di malattia del paziente può più facilmente ottimizzare la gestione clinica e incontrare una maggiore soddisfazione del paziente.

Indice Quaderno n. 5

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