EPIDEMIOLOGIA DELLA SINDROME DI DOWN

A cura di

Sebastiano Bianca

Genetica Medica – Clinica Pediatrica – Università di Catania e Registro Siciliano delle Malformazioni Congenite (I.S.MA.C.)

INTRODUZIONE

La Sindrome di Down (SD) è la più frequente causa nota di handicap congenito. La sua incidenza media alla nascita è intorno a 1:700 nati. La prevalenza nella popolazione generale, per il prolungamento della durata media di vita di tali soggetti è abbastanza stabile e bilancia in qualche modo il decremento indotto dalla diagnosi prenatale e dall’interruzione volontaria della gravidanza. Nel 90-95% dei casi la SD è dovuta ad una trisomia 21 libera, nel restante 5-10% a forme in mosaico o da traslocazione.

EPIDEMIOLOGIA DELLA SINDROME DI DOWN

L’etiologia della SD rimane nella stragrande maggioranza dei casi sconosciuta, fatta eccezione per l’associazione con l’aumento dell’età materna. Tale associazione è stata ormai ben documentata in letteratura e il rischio di feto affetto aumenta con l’aumentare dell’età materna (Tab. 1). Studi genetici hanno infatti dimostrato che nel 95% dei casi il cromosoma 21 extranumerario è di origine materna e che più dell’80% di queste non disgiunzioni avvengono nella prima divisione meiotica che si attua nell’ovaio . Quindi l’aumentato rischio di non disgiunzione è connesso alla possibilità che l’ovulo possa accumulare diversi insulti mutageni nel corso della sua vita. Un’altra ipotesi si rifà ad una diminuzione della probabilità di aborto spontaneo con l’aumento dell’età materna. Lo spostamento in avanti dell’età riproduttiva delle donne che si sta progressivamente osservando in questi anni, dovrebbe portare ad un aumento dei concepimenti affetti da sindrome di Down.

. Alcuni Autori hanno inoltre condotto studi sull’età paterna come fattore di rischio per la SD, ma non è stata riscontrata nessuna evidenza statistica su tale ipotesi. L’importanza pratica di un effetto dell’età paterna non è comunque grande poiché esiste una forte correlazione tra età paterna e materna. Studi condotti per evidenziare associazioni con altri fattori di rischio (gruppo etnico, parità, teratogeni, etc) non hanno fornito risultati univoci. Appare quindi chiaro come allo stato attuale risulti impossibile attuare piani di prevenzione primaria e le misure messe in atto mirino all’individuazione precoce della sindrome (screening biochimico, ecografico, etc) e all’eventuale ricorso all’interruzione di gravidanza.

Alla Sindrome di Down spesso si associano altre malformazioni congenite a carico di diversi organi. Tra queste le cardiopatie congenite rappresentano senza dubbio la categoria di più frequente riscontro, infatti il rischio di cardiopatia congenita associata è nei soggetti Down intorno al 40-50% e le cardiopatie rappresentano nei primi anni di vita la principale causa di morte. Tra le cardiopatie, quelle di più comune riscontro sono il canale atrioventricolare, il difetto interventricolare, la persistenza del dotto arterioso e il difetto interatriale. Altro gruppo di malformazioni frequentemente riscontrate in associazione alla sindrome di Down sono quelle a carico del tratto digerente (atresia esofagea, atresia duodenale, etc). Meno frequentemente si riscontrano altre malformazioni come la labiopalatoschisi, i difetti del tubo neurale, etc.

Grazie ai progressi medici, molte di queste malformazioni sono correggibili e ciò ha chiaramente influito sulla sopravvivenza media dei soggetti Down e quindi sulla prevalenza nella popolazione generale.

CONCLUSIONI

L’associazione con l’età materna avanzata è stata ormai ampiamente dimostrata ma non del tutto chiari risultano i meccanismi etiologici che portano all’insorgenza della sindrome. La sindrome di Down rappresenta un problema sociale rilevante legato da un lato alla sua frequenza e quindi a tutte quelle misure atte a prevenirne l’insorgenza o meglio dirette alla sua individuazione precoce in epoca prenatale. Dall’altro lato l’aumento della sopravvivenza di questi soggetti apre a problemi sociali rilevanti connessi all’assistenza sanitaria e al complesso problema dell’inserimento nella società. L’utilizzo dei dati epidemiologici può in qualche modo fornire delle stime del fenomeno e facilitare interventi programmatici.

 

 

Bibliografia

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