IL “MISTERO”

Il Signore Dio mi ha dato una lingua da iniziati... Fa attento il mio orecchio perché io ascolti come gli iniziati. (Isaia 50,4)



L'espressione “mistero pasquale” per indicare l’evento salvifico della morte e risurrezione di Cristo è comune nella teologia, così come la liturgia fa proclamare al termine della consacrazione eucaristica le parole “mistero della fede”. Questo vocabolo, che deriva dalla radice greca myein, “tacere”, e che quindi rimanda a qualcosa di segreto che dev’essere svelato, risuona 28 volte nel Nuovo Testamento. Si è pensato che il termine fosse stato adottato dal mondo un po’ esoterico dei “misteri” greci della città di Eleusi, oppure da quelli di Dioniso odi Iside e Mitra, divinità che erano al centro di culti “iniziatici”.

Attraverso riti particolari il fedele entrava in comunione con la divinità per ottenere la salvezza, mantenendo l’obbligo del segreto assoluto (donde la parola “mistero”).

Sta di fatto, però, che il contenuto del mistero cristiano è radicalmente diverso da quello pagano, oltre al fatto che nel cristianesimo non si parla di riti particolari e segreti. L’unica volta, ad esempio, in cui si mette in bocca a Gesù questa parola nei Vangeli, di scena è «il mistero del regno di Dio» (Marco 4,11), ossia il disegno universale di salvezza che Dio vuole compiere nella storia umana. Di esso, certo, solo i discepoli ne hanno piena conoscenza, mentre le folle lo intuiscono solo “in parabole”.
Ma è soprattutto san Paolo a sviluppare il tema del mistero secondo una prospettiva costante.

Così, il mistero di Dio è il cuore della sua predicazione perché riguarda il Cristo crocifisso, sorgente di vita e salvezza. Al centro c’è, dunque, non un’azione rituale, bensì un evento storico che segna profondamente la vicenda umana. Ora, questo mistero, che era nascosto nella mente e volontà divina, è stato rivelato in Cristo ed è annunziato nella predicazione cristiana. Il suo contenuto salvifico non è ristretto a pochi ma destinato ad allargarsi a tutti i popoli, chiamati a inserirsi nel corpo di Cristo.

L’Apostolo confessa, infatti, che la sua missione ha lo scopo di proclamare «il mistero nascosto da secoli e da generazioni e ora manifestato ai santi, ai quali Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo ai pagani» (Colossesi 1,26-2 7).

Nella Lettera agli Efesini ribadisce questo messaggio in modo ancor più netto:

«Il mistero di Cristo non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni, ma al presente è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che ipagani, cioè, sono chiamati in Cristo Gesù a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo e a essere partecipi della promessa per mezzo del vangelo» (3,5-6). Come è evidente, a differenza di quello greco che aveva destinatari segreti e privilegiati, il mistero cristiano è il dono universale della salvezza offerto non attraverso riti segreti, ma nell’atto di donazione di Cristo nella sua solidarietà con noi nella sua morte e con la sua glorificazione.

Tutti sono chiamati a entrare nel corpo di Cristo che è la Chiesa, sede di salvezza. E Paolo ricorre a un suggestivo parallelo per illustrare la qualità profonda della comunione salvatrice tra Cristo e l’umanità, quando rimanda al matrimonio cristiano, segno d’amore e vincolo di unità tra uomo e donna: «questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa» (Efesini 5,32). La rappresentazione vivente del mistero di salvezza è, dunque, l’amore e l’unità del matrimonio cristiano. E in sintesi esso altro non è se non la volontà di Dio di ricondurre a sé, in Cristo, l’intera umanità perché «Dio sia tutto in tutti»
(1 Corinzi15,28).



LE PAROLE PER CAPIRE

GOLGOTA - Denominazione aramaica del colle della crocifissione di Gesù. Si trattava di uno sperone roccioso di pochi metri, ora ingiobato nella basilica del Santo Sepolcro. Il termine indica “Cranio”, forse per la sua funzione di sede delle esecuzioni capitali o per la forma tondeggiante. In latino fu tradotto in calvarium, “teschio”, donde è derivato il nostro “Calvario”.

VELO DEL TEMPIO - L’entrata del Santo dei Santi, il tempietto sacro posto all’interno del tempio di Gerusalemme e destinato a ciistodire l’arca dell’alleanza, era nascosta da una cortina di tessuto detto “il velo” per eccellenza, che poteva essere varcato solo dal sommo sacerdote in occasione della solennità del Kippur o Espiazione. Lo squarcio del velo al momento della morte di Cristo ha il valore simbolico dello svelamento del mistero di Dio.