L’”ESPIAZIONE”

Chiunque crede in lui ottiene la remissione dei peccati per mezzo del suo nome. (Atti 10,43)



In tutte le religioni si celebrano riti che cercano di cancellare la colpa del fedele in modo efficace, ristabilendo il legame con la divinità di cui si è violata la legge e la volontà. Questo atto, spesso accompagnato da sacrifici, è detto tradizionalmente “espiazione”, un vocabolo latino che significa “purificare, riparare”, mentre nell’ebraico biblico si ricorreva a un verbo che è presente nel nome della maggiore solennità di espiazione, il Kippur (vedi Let’itico 16), e che significa “coprire”. Il peccato, infatti, veniva “coperto”, cioè nascosto, spazzato via dagli occhi di Dio che in tal modo tornava a guardare con benevolenza al suo popolo.

Per la Bibbia, fondamentale per comprendere la funzione dell’atto espiatorio è il nesso di alleanza che intercorre tra il Signore e il popolo. Quest’ultimo nella sua storia si rivela spesso infedele, lacerando così il legame che lo unisce al suo Dio. Ecco, allora, la necessità della conversione e dell’espiazione. Essa è manifestata sia con atti sacrificali che sono denominati con due termini ebraici: hatta’at, “sacrificio per il peccato”, e ‘asham, “sacrificio di riparazione”.

Attraverso questi riti si otteneva etticacemente la purificazione dalle trasgressioni degli impegni dell’alleanza col Signore.
I profeti, però, insisteranno sulla necessità di una trasformazione del cuore e della vita perché «uno spirito contrito è sacrificio gradito a Dio» (Salmo 51,19). In questa linea ci si orienta verso la visione cristiana dell’espiazione che ha la sua svolta radicale nella figura di Cristo e nella sua morte sacrificale e nella sua risurrezione.

La remissione dei peccati non è, allora, ottenuta attraverso i riti di espiazione, ma attraverso la donazione che Cristo fa di sé stesso nella sua crocifissione. Sarebbe indispensabile la lettura della parte centrale della Lettera agli Ebrei (capitoli 5-10) in cui Gesù, il perfetto e misericordioso sacerdote, «non ha bisogno — come gli altri sommi sacerdoti — di offrire sacrifici prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo, perché egli ha fatto questo una volta per tutte, offrendo se stesso».

Quando egli celebra l’ultima cena, dichiara esplicitamente sul calice del vino eucanstico che esso è «il mio sangue dell’alleanza, versato per molti in remissione dei peccati» (Matteo 26,28). In questo confermava la frase pronunciata già durante la sua missione pubblica: «11 Figlio dell’uomo è venuto per dare la propria vita in riscatto per tutti» (Marco 10,45). Tale atto supremo di espiazione nasce dalla sua obbedienza al disegno di giustizia e d’amore del Padre (nel linguaggio biblico la “giustizia” divina indica la salvezza): «Dio ha prestabilito Cristo come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue, al fIne di manifestarela sua giustizia» (Romani 3,25).

San Giovanni ribadirà tale certezza con forza: «Gesù Cristo giusto è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo» (1 Giovanni 2,2). E questo avviene per una scelta d’amore che carica sul Figlio di Dio il peso della nostra colpa per liberarcene e per dissolverla: «in questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (4,10).



LE PAROLE PER CAPIRE

ESALTAZIONE - Nel quarto Vangelo la risurrezione è descritta anche come un’ ”esaltazione -innalzamento ” del Cristo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Giovanni 3,14-15; cf. 12,32). Sulla croce Cristo svela la sua divinità e la sua gloria e offre la sua salvezza. Questa rappresentazione della Pasqua di Cristo come “innalzamento” glorioso è presente anche in san Paolo (Filippesi 2,6-11).

ZIQQURAT - Era il caratteristico tempio “verticale” del mondo mesopotamico. In qualche modo con esso si raffigurava un monte sacro: attraverso vari gradoni si ascendeva alla cima ove era collocato un tempietto, considerato la sede della divinità. Si univano, così, cielo e terra. La famosa “torre di Babele” di cui parla la Genesi (capitolo 11) era appunto la celebre ziqqurat di Babilonia. Si ricordi anche la visione della scala tra terra e cielo cile Giacobbe ha in sogno (Genesi 28,12).