IL “MIRACOLO”

Molti miracoli e prodigi awenivano fra il popolo per opera degli apostoli. (Atti 5,12)



C'è un dato statistico curioso: il 31 per cento del testo del Vangelo di Marco (209 versetti su 666) è occupato da narrazioni di miracoli di Gesù, una percentuale che sale al 47 per cento se ci si ferma al solo ministero pubblico di Cristo. La presenza degli eventi miracolosi pervade tutta la Bibbia come segno dell’intervento diretto divino nel creato e nella storia umana. Certo, in molti casi — si pensi, per esempio, alla traversata di Israele del Mar Rosso — si ha probabilmente una visione antica secondo la quale si tende a vedere all’opera in modo diretto Dio, anche quando si tratta di cause naturali o intermedie (nel caso citato dell’esodo dall’Egitto di scena è forse il ritmo delle maree).

In altri casi c’è la tendenza a concepire la malattia come opera demoniaca e quindi a coinvolgere dimensioni ulteriori, riducendo alcuni miracoli a esorcismi. Sta di fatto, però, che — soprattutto nella storia di Gesù — il miracolo è un dato indiscutibile, riconosciuto dai suoi stessi avversari. I termini con cui i Vangeli definiscono questi eventi che travalicano le leggi naturali sono molteplici: essi sono térata, cioè “prodigi” che stupiscono (tale è anche il valore della parola latina miraculum, che suppone un ‘ammirare stupito”), ma sono soprattutto dyndmeis (119 volte), cioè atti della potenza divina che si svela in Cristo, erga, “opere” trascendenti, e seméia, ossia “segni” (77 volte).

Proprio quest’ultimo vocabolo, caro a Giovanni, è significativo per indicare la vera funzione del miracolo, che non vuole essere tanto un atto spettacolare, promozionale, magico, pubblicitario (spesso Gesù compie i miracoli “in disparte dalla folla”, ammonendo i miracolati di non propalare la notizia), quanto piuttosto un messaggio in azione. Per gli evangelisti i prodigi di Cristo sono un segno della sua divinità oppure una descrizione del suo mistero di Signore e Salvatore; sono una rappresentazione efficace della salvezza e della redenzione; sono appunto un “segno”, cioè un indice puntato verso un senso trascendente e superiore, e non una mera guarigione o un atto sensazionale.

È per questo che i Vangeli sono piuttosto sobri — rispetto ad altri racconti folcloristici di prodigi — nel narrare “quello che è successo”, ma più attenti a indicarci “che cosa significa” il gesto di Gesù. In questa luce si vuole esaltare la dimensione intima e misteriosa di quell’evento nella sua funzione di liberazione dal male, raffigurando — diremmo quasi in miniatura e in modo embiematico — l’opera generale di Cristo nella sua vittoria sul male e su Satana e la relativa irruzione del regno di Dio.

È chiaro, perciò, che l’analisi storica può al massimo registrare un fenomeno abnorme e cercare di attestare l’autenticità storica di quel fatto; ma non potrà mai affermarne la qualità “miracolosa”. Essa appartiene all’orizzonte teologico e all’esperienza della fede e non ha la finalità di costringere a credere, ma di rendere efficace l’atto di adesione al Signore del cosmo e della storia. La meta del miracolo non è tanto l’affermazione di una religione o di un personaggio ma la conversione personale, la fede e la liberazione dal male.



LE PAROLE PER CAPIRE

ALFA-OMEGA - Sono la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco che vengono accostate per indicare anche tutto l’alfabeto (è il cosiddetto “polarismo” con cui si assumono due estremi per designare tutta la realtà intermedia). «lo sono l’Alfa e l’Omega», dice il Signore Dio, «Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente» (Apocalisse 1,8). Si prodama, così, la signoria divina su tutte le parole, le opere e i tempi dell’uomo.

LIBRO DELLA VITA - È un’immagine per indicare l’intera vicenda della storia umana che è squadernata davanti a Dio. In quel libro simbolico sono racchiuse tutte le azioni libere, umane e gli interventi divini, li Salmo 56,9 dichiara anche che «tutte le lacrime sono scritte nel libro» che Dio tiene davanti a sé, libro dal quale Mosè chiede paradossalmente di essere cancellato se il Signore non dovesse perdonare il suo popolo peccatore (Esodo 32,32).