IL “NOME”

Dio disse a Mosè: «lo sono colui che sono! Dirai agli Israeliti: “lo sono” mi ha mandato a voi». (Esodo 3,14)



In tutte le culture il nome dato alle persone, alle varie realtà e ai centri abitati o alle componenti topografiche ha sempre un risvolto simbolico. “Nomen omen”, dicevano gli antichi Romani con un gioco di parole, ossia: “il nome è un presagio”. Ovidio nel suo poema Amo res, ad esempio, ironizzava su una vecchia ubriacona chiamata Dipsas, cioè “Assetata”, per cui «il nome traeva la sua verità dalla realtà». Tutto questo si verifica in modo molto marcato nell’orizzonte culturale biblico, ove i nomi dei molti personaggi che entrano in scena sono spiegati ricorrendo a valori simbolici o a vicende a esse collegate, spesso travalicando la stessa filologia che ne rivela i veri significati.

Così, Abramo — nome che ha il valore di questa nostra frase: «il padre (Dio) è stato esaltato» — viene interpretato come «padre di una moltitudine» attraverso un gioco di parole per giustificare la promessa divina che gli assegnava «una discendenza numerosa come le stelle del cielo e la sabbia della riva del mare». Similmente Giacobbe, il cui nome significa: «colui che tiene il calcagno» sulla base della modalità della sua nascita (Genesi 25,25-26), diventa poi “il soppiantatore” per l’inganno perpetrato nei confronti del fratello Esaù. Ma, dopo la lotta notturna con l’essere misterioso, a lui viene imposto un nuovo nome, “Israele”, interpretato come «egli lotta con Dio» (Genesi 32,28).

Ecco, il mutamento del nome ha un particolare significato proprio perché indica la nuova vocazione o missione che
viene imposta a una persona: famoso è il caso di Simone, l’apostolo a cui Gesù assegna il nome aramaico di Kefa, ossia “pietra”, facendolo diventare Pietro per rappresentare la sua funzione di solida base su cui viene innalzata la Chiesa (Matteo 16,18). Lo studio dei nomi biblici ha, quindi, un rilievo notevole per riuscire a illuminarne la funzione e la personalità e spesso essi contengono in sigla lo stesso nome divino (si tratta dei cosiddetti “nomi teoforici”), per sottolineare il primato dell’azione del Signore nella storia e nel compito di chi li porta: tali sono, ad esempio, Isaia («il Signore salva») e i simili Giosuè e Gesù.


A questo punto diventa fondamentale la questione del nome di Dio. La Bibbia ce ne offre molti, spesso desunti dalle civiltà circostanti, a partire dal più cumune e genenco, Elohim, "Dio”, che ricorre quasi 2.600 volte, e dall’affine El, usato 238 volte da solo o connesso con altri termini (per esempio, ‘El ‘elyon, ‘Dio altissimo”). C’è, però, un nome specifico per il Dio di Israele: esso è affidato a quattro consonanti, JHWH che gli Ebrei osservanti evitano di pronunziare sostituendolo con Adonaj “Signore”.
È il cosiddetto ”tetragramma sacro” che ricorre ben 6.828 volte nell’AnticoTestamento e che la tradizione successiva ha letto come Jahweh o, erroneamente, Jehowah-Geova.

La rivelazione di questo nome in Genesi 4,26 è offerta già all’intera umanità, mentre in Esodo3, l4 è connessa a Mosè, al Sinai e alla liberazione di Israele dalla schiavitù egizia In questo passo viene spiegato in collegamento col verbo “essere”: «Io sono colui che sono», ed è oggetto di varie interpretazioni Forse incarna il mistero e la libertà di Dio, oppure la sua azione creatrice e salvatrice. Certo è che, nonostante il mistero del nome, segno di trascendenza JHWH interviene, si rivela, si presenta come persona che opera e salva.



LE PAROLE PER CAPIRE

VERSIONI BIBLICHE - L’Antico Testamento fu tradotto in greco quando gli Ebrei si dispersero in altre nazioni durante l’epoca ellenistica. La versione greca più importante è detta “dei Settanta”, dal numero leggendario dei traduttori e fu eseguita nel 111/Il sec. a.C. ad Alessandria d’Egitto. Viene indicata con la cifra romana DCX. Il Nuovo Testamento usò prevalentemente questa versione per le citazioni anticotestamentarie. Altre traduzioni bibliche importanti furono quelle nelle lingue siriaca, copta, armena, etiopica e georgiana. Per l’Occidente decisiva fu la versione latina eseguita nel IV sec. da san Girolamo e detta Vulgata (“popolare”), usata dalla tradizione e dalla liturgia cattolica.

TARGUM - Quando l’ebraico non era più lingua parlata dal popolo, che usava l’aramaico, una lingua semitica molto diffusa e con alcune varianti, si procedette alla traduzione dell’Antico Testamento dall’ebraico in quest’altra lingua. Nacque, così, il Targum (“versione”), traduzione aramaica di alcuni libri anticotestamentari, talora in forma di parafrasi.