Ezechia, il re giusto e la genealogia di Gesù


«Tutto questo avvenne perché si « adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e partorirà un flgb che sarà chiamato Emmanuele». Così Matteo (1,22-23) annunzia la nascita di Gesù modellandola su un celebre oracolo del profeta Isaia (7,14). Si introduce, però, una significativa variante rispetto all’originale ebraico: là si parlava semplicemente di una «giovane donna» (‘almah); ora, invece, è di scena una “vergine” (in greco, parthénos). È chiaro che l’evangelista rimanda a Maria e a suo Figlio non generato da seme umano bensì dallo Spirito divino. Ma il profeta a chi pensava, annunziando la nascita di quell’”Emmanuele”, cioè di un personaggio segno della presenza del “Dio-con-noi”?

Gli studiosi sono convinti che, prima di tutto, egli facesse riferimento al figlio in arrivo del re di allora, Acaz: la giovane moglie del sovrano, Abia, avrebbe generato un bambino chiamato Ezechia (“il Signore è la mia forza”), che sarebbe stato un re giusto e fedele, a differenza di suo padre col quale Isaia ebbe spesso tensioni. Quella del profeta è, dunque, una speranza immediata per la dinastia di Davide; tuttavia, come si intuisce nelle altre pagine (capitoli 9 e 11) che esaltano il re-Emmanuele, lo sguardo di Isaia si allunga o!tre quegli anni dell’Vifi sec. a.C. e, dietro il proffio concreto di Ezechia, si fa balenare il volto del Consacrato per eccellenza, in ebraico il “Messia”, l’Atteso, il vero e definitivo Emmanuele.

Di Ezechia, comunque, abbiamo varie notizie presenti nel secondo Libro dei Re e nel secondo Libro delle Cronache: purificò il tempio da ogni traccia idolatrica, riportò il culto alla sua purezza, s’impegnò nella conquista del territorio filisteo, si scontrò persino con la superpotenza assira. Fu in quest’ultima occasione che il re di Assiria Sennacherib marciò contro Gerusalemme assediandola: Ezechia — dice la Bibbia — implorò il Signore, che inviò il suo angelo a menar strage nell’accampamento assiro (185.000 morti), forse un modo simbolico per descrivere una pestilenza (in realtà ci furono due campagne militari assire contro il regno di Giuda).

Ci fu un’altra occasione in cui Ezechia si sentì ormai finito e ricorse con fede al suo Salvatore. L’episodio è narrato a colori vivaci nel capitolo 38 di Isaia. Un morbo grave sta per spegnere la vita del re; ma Isaia stesso gli annunzia che la morte sarà allontanata dal Signore e offre al sovrano un segno curioso: l’ombra del sole sulla meridiana del palazzo reale, anziché procedere come d’obbligo, tornerà indietro di dieci gradi! E il re, curato con una ricetta del profeta (un impiastro di fichi) e ritornato sano, intonerà un dolce e intenso inno di ringraziamento al Signore che «preserva la vita dalla fossa della distruzione». Una sorta di salmo che consigliamo a tutti di leggere in Isaia 38,10-20, soprattutto nei giorni della sofferenza fisica.