Eliezer, il servo di Abramo


Sono ben nove i personaggi biblici che portano il nome di Eliezer (il mio Dio è aiuto") e tra costoro c'è un figlio di Mosè (Esodo 18,4) e persino un oscuro antenato di Gesù il quale, a sua volta, era padre di un altro Gesti (Luca 3,29). Noi, però, faremo emergere da questa pattuglia di ebrei omonimi un personaggio che appare nella prima lettura della seconda domenica di Quaresima, desunta dal capitolo 15 della Genesi. Si tratta del maggiordomo di Abramo e di lui si dice soltanto che è di Damasco; quindi, sarebbe uno straniero, ma il testo ebraico in quel punto è quasi incomprensibile. Accontentiamoci, perciò, di accennare a questo personaggio solo per due ragioni.

La prima è proprio legata al suo ingresso in scena in quella pagina della Genesi.
Abramo non ha figli e malinconicamente si sta adeguando al diritto orientale antico che contemplava la possibilità di designare come erede il capo dei domestici, adottandolo come figlio. Ma eccola sorpresa divina: "Non costui sarà il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede" (15,4). La promessa del Signore accantona, dunque, questa figura e la riconduce al suo semplice rango di "servo anziano della casa" di Abramo. È appunto con questa definizione che Eliezer ritorna in scena nel capitolo 24 della Genesi; anche se il nome di Eliezer non è mai fatto in quel delizioso racconto.

Persino nella scritta che accompagna la splendida raffigurazione di questa vicenda nei mosaici di Monreale, la celebre cattedrale fatta erigere da re Guglielmo II(Ca 1153-1189), si ha solo questa nota latina facile da capirsi: Rebecca vaditcum servo Abrahe.

La storia, infatti, è quella dell'ambascena che Eliezer porta a termine per ottenere la mano di una parente di Abramo, Rebecca appunto, per il figlio del patriarca, Isacco, secondo l'uso dell'endogamia, cioè del matrimonio all'interno del dan (il famoso principio della "moglie e buoi dei paesi tuoi"...).

La narrazione è pittoresca e piena di colpi di scena ed è da leggersi integralmente nella pagina biblica, a partire dall'impegno del maggiordomo che è formulato attraverso il rito della "mano sotto la coscia" (un eufemismo per indicare i genitali): il contatto con la sorgente della vita dà origine a un giuramento inviolabile. Ed Eliezer conduce a termine felicemente la sua missione presso il clan di Nacor, il fratello di Abramo, sostenuto in questa impresa dall'aiuto divino (tutto il racconto è costellato di preghiere). Alla fine riesce a ottenere in sposa per Isacco Rivkah, cioè Rebecca, pronipote di Abramo: essa, infatti, era figlia di Betuel, figlio di Nacor, anche se a condurre le trattative sarà Labano, fratello maggiore di Rebecca, e c'è qualcuno che pensa a un regime di "fratriarcato" in cui il primogenito diveniva il capofamiglia.

Suggestiva la finale del racconto. Isacco è nella steppa e vede da lontano la carovana dei cammelli con la sua futura sposa, che si vela il volto. "Isacco, allora, introdusse Rebecca nella tenda che era stata di sua madre Sara (defunta); si prese in moglie Rebecca e l'amò. Isacco trovò così conforto dopo la morte della madre" (24,67).