Àgabo, profeta Giudeo-Cristiano


In queste domeniche di Pasqua la prima lettura della liturgia è desunta dalla seconda opera di Luca, gli Atti degli Apostoli. In questo scritto a dominare la scena sono prima Pietro e poi Paolo. Tuttavia c'è una folla di cristiani che si affacciano in quelle pagine e i loro nomi sono puntigliosamente registrati: Giuseppe Barsabba, Filippo, Giuda, Mania, Stefano, Enea, Simone il cuoiaio, Biasto, Manaen, Lucio di Cirene, Dionigi Areopagita, Damaris, Apollo, Aquila, Priscilla, Dorcade-Tabità, Sila, Lidia, Eutico e così via, per decine e decine di nomi. Ebbene, noi ora da questa massa di volti, talora solo evocati per nome, vorremmo far salire sul palcoscenico almeno uno di essi.

Il suo è un nome strano, Àgabo, forse la deformazione greca di un termine semitico. Egli sale alla ribalta per la prima volta nel capitolo 11 degli Atti degli Apostoli ed è collocato all'interno di una categoria più ampia di "profeti" giudeo-cristiani. Con questa denominazione si indicavano alcune figure carismatiche, testimoni più fervidi di Cristo, dotati di particolari doni dello Spirito che li rendevano capaci di scrutare i cuori, ma anche di intuire gli sviluppi futuri della storia. Anzi, san Paolo, quando elenca i "carismi", cioè i doni speciali dello Spirito, colloca la profezia al secondo posto, dopo la missione apostolica (1 Corinzi 12,28).

Ebbene, Àgabo è uno dei "profeti che scesero da Gerusalemme ad Antiochia". Ma lasciamo la parola a Luca: "Alzatosi in piedi, egli annunziò per impulso dello Spirito che sarebbe scoppiata una grave carestia su tutta la terra. Ciò che di fatto avvenne sotto l'impero di Claudio" (11,28). Effettivamente attorno al 49-50 l'Impero romano soffrì un periodo di forte contrazione della produzione agricola, prima in Grecia e poi a Roma e da lì nel resto dell'area mediterranea. L'annunzio che fa Àgabo ha una finalità cantativa e di solidarietà: infatti, la più ricca comunità cristiana di Antiochia di Siria (ora la città è in territorio turco) si tassò per sostenere i "fratelli" più poveri della Giudea (11,29).

Àgabo, però, non scompare di scena. Egli riappare più avanti, allorché san Paolo sta indirizzandosi per l'ultima volta a Gerusalemme. Giunto al porto di Cesarea, egli è ospite di un predicatore ("evangelista") cristiano, un certo Filippo, uno dei Sette (i cosiddetti "diaconi", tra i quali c'era pure santo Stefano), che aveva quattro figlie, anch'esse dotate del carisma profetico. Dalla Giudea arriva anche Àgabo che, ancora una volta, si rivela capace di intuire il futuro, in questo caso dell'Apostolo.

Ecco il racconto degli Atti degli Apostoli che illustra l'azione simbolica compiuta da Àgabo nello stile dei profeti dell'Antico Testamento, soprattutto di Ezechiele.

"Àgabo, presa la cintura di Paolo, si legò i piedi e le mani e disse: "Questo dice lo Spirito Santo: l'uomo a cui appartiene questa cintura sarà legato così dai Giudei a Gerusalemme e verrà consegnato quindi nelle mani dei pagani". All'udire questo, noi e quelli del luogo pregammo Paolo di non andare più a Gerusalemme. Ma Paolo replicò: "Perché fate così, continuando a piangere e a spezzarmi il cuore? Io sono pronto non soltanto a essere legato, ma a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù""(21,11-13).