BAAL, L'IDOLO CHE SI OPPONE A DIO


La celebrazione della Trinità ripropone uno dei temi più forti della Bibbia, quello del vero volto divino contro tutte quelle che Lutero in latino chiamava le simiae Dei, cioè le scimmiottature di Dio.

Forte, infatti, è la tentazione dell'umanità di crearsi una divinità a propria immagine e somiglianza, "opera delle mani dell'uomo", come dice la Scrittura. Ebbene, per l'Antico Testamento l'idolo che si oppone al Signore vivente, creatore e re della storia, reca di solito il nome di Baal, vocabolo di per sé neutro, tant'è vero che può essere applicato anche al vero Dio perché significa "signore, padrone".

Ora, con questo nome gli indigeni dell'area siro-palestinese designavano la divinità suprema del loro pantheon, sorgente della fecondità umana e animale e della fertilità dei campi, signore del cielo e della terra, simbolicamente raffigurato dal toro prolifico e dalla tempesta: la pioggia era, infatti, considerata come il seme divino effuso nel grembo arido del terreno per farlo germogliare di vita. Il culto di Baal veniva esercitato sulle "alture", santuari collocati su colline con steli e pali sacri che erano evidenti immagini falliche , segni di potenza virile, e con rituali sessuali e orgiastici. Non per nulla la Bibbia chiama i ministri del culto baalico spregiativamente "prostituti e prostitute" e descrive l'infedeltà di Israele come "prostituzione".

Baal era, perciò, una divinità che si innervava e permaneva nella creazione come un'energia vitale (è per questo che si parla della religione di Canaan come di una religione "immanentista"). La molteplicità dei santuari, distribuiti in tutta quell'area, condusse allo sviluppo di una varietà di Baal locali che ne indicavano aspetti particolari (più o meno come avviene per i vari santuari mariani) e non solamente dèi diversi. È per questo che per 18 volte nell'Antico Testamento si parla di Baalim, cioè Baal al plurale, e si ha quasi l'impressione di un politeismo baalico.

Ferma e costante è la polemica biblica nei confronti di questa teologia della fertilità, anche se Israele stesso assume il simbolismo nuziale - a partire dal profeta Osea - per descrivere la relazione di alleanza che intercorre tra il Signore e il suo popolo. Per Israele, però, era forte la tentazione di assimilare elementi del culto di Baal, applicandoli al proprio Dio: non per nulla Aronne erige un toro d'oro (con disprezzo la Bibbia lo chiama "vitello") nel deserto, così da rendere più percepibile il Signore trascendente del Sinai. E questo rischio sarà costante, come ammoniscono ripetutamente i profeti.

Emblematico, al riguardo, è il contrasto che viene messo in scena su un'altura sacra a Baal, il monte Carmelo, da parte del profeta Elia. Da un lato, c'è il Dio vivente che interviene nella realtà creata con la forza del suo mistero, senza magie e manovre umane. Dall'altro lato, i sacerdoti di Baal devono ricorrere a un arsenale di cerimonie e riti persino sanguinolenti per smuovere un dio inerte e impotente. Si legga la descrizione di questa ordalia nel capitolo 18 del primo Libro dei Re.

Il Salmo 115,4-5 dichiara degli idoli che "sono argento e oro: hanno bocca e non parlano, occhi e non vedono, orecchi e non odono, narici e non odorano, mani e non palpano, piedi e non camminano, gola e non emettono suoni. Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi
confida!".