AGAR, LA SCHIAVA SOCCORSA DA DIO


Al centro della lettura paollna di questa domenica liturgica c'è la vicenda di uno schiavo, Onesimo, un personaggio che col suo padrone, Filemone, amico di Paolo, abbiamo già avuto occasione di far entrare nella nostra galleria di personaggi.

Abbiamo, allora, scelto un'altra figura legata alla schiavitù, una donna dell'Antico Testamento, Agar, serva egiziana che darà al patriarca Abramo il primo suo figlio, Ismaele.

La sua è una storia esaltante e amara al tempo stesso ed è narrata in due racconti paralleli ma differenti nei capitoli 16 e21 della Genesi. Secondo il diritto antico orientale, la schiava della signora di un clan poteva sostituirsi a essa nella generazione di un figlio, qualora la moglie ufficiale del capo clan fosse sterile.

È ciò che accade appunto a Sara, moglie di Abramo, e ad Agar, sua schiava. Costei può con orgoglio partorire un figlio, Ismaele (Dio ascolta"), colui che la tradizione biblica vedrà come capostipite degli Ismaeliti arabi (25,12-16).

La stessa Agar portava il nome della capitale di un'immensa oasi nord-arabica, quella odierna di al-Ha-sa, i cui abitanti anche nella Bibbia portano il nome di Agareni.

Ben presto, però, la felicità di questa donna si era incrinata. Era già accaduto mentre era incinta: Sara, gelosa della sicurezza orgogliosa della schiava feconda, l'aveva sottoposta a maltrattamenti così da costringerla a fuggire nel deserto. La, però, un angelo l'aveva invitata a rientrare nell'accampamento di Abramo ove avrebbe partorito un figlio robusto come "un onagro", cioè un asino selvatico, e così lei aveva fatto (capitolo 16). Ma, nato Ismaele, anche a Sara Dio aveva concesso a sorpresa il dono di un figlio, Isacco.

Era, allora, scattata un'altra ragione di contesa, legata all'inimicizia tra i due ragazzi. Sara aveva, così, ottenuto dal marito Abramo l'espulsione dal clan sia di Agar sia di suo figlio. Ancora una volta la schiava era stata costretta a vagare nel deserto, questa volta però ancor più disperata perché vedeva profilarsi lo spettro della morte per sete non solo per sé, ma anche per il suo ragazzo.

Il racconto della Genesi è molto intenso e persino commovente.

"Agar si smarrì nel deserto di Bersabea. Tutta l'acqua dell'otre era venuta a mancare. Allora essa depose il fanciullo sotto un cespuglio e andò a sedersi di fronte, alla distanza di un tiro d'arco, perché diceva: Non voglio veder morire il fanciullo! Appena gli si fu seduta di fronte, egli si mise a gridare e a piangere. Dio, però, udì la voce del ragazzo e un angelo di Dio chiamò Agar dal cielo..." (21,14-17).

Si ha, così, una svolta: all'improvviso appare ad Agar una sorgente a cui i due si dissetano e da allora la loro esistenza sarà quella di nomadi e Ismaele crescerà come un forte tiratore d'arco e sposerà un donna egiziana, come lo era sua madre. San Paolo intesserà una meditazione su Agar nella Lettera ai Galati (4,21-31) e paradossalmente la farà diventare la madre del giudaismo, considerato come sottomesso all'imperio della Legge, in opposizione alla libertà della fede, incarnata da Sara, madre dei credenti in Cristo.