EFRAIM E MANASSE: LA SCELTA DI DIO


Nella tradizione popolare ha ricevuto un titolo che è diventato persino un modo di dire, "il figlio! prodigo".

In verità la stupenda parabola del capitolo 15 di Luca, che la liturgia propone in questa domenica, ha come protagonista il padre, "prodigo d'amore", e soprattutto vede in scena due figli. È proprio dal primogenito, ligio alle regole della famiglia ma anche gretto ed egoista, che noi partiamo per proporre due antiche figure bibliche, così antiche da avere i contorni storici molto sfumati e idealizzati
.
Vorremmo, infatti, delineare il ritratto di un'altra coppia di fratelli, descrivendone la vicenda che ne ribalta lo statuto giuridico.
Facciamo avanzare innanzitutto il primogenito. Giuseppe, il figlio di Giacobbe venduto dai suoi fratelli in Egitto e là divenuto visir del faraone, aveva avuto dalla moglie Asenat, una principessa egiziana di Eliopoli, un bambino e l'aveva chiamato Manasse, nome che la Bibbia interpreta come "colui che fa dimenticare" dolori e preoccupazioni (Genesi 41,50-51). Poi era venuto al mondo un altro bambino e Giuseppe gli aveva imposto il nome di Efraim, collegato al verbo ebraico fr/i (pr/i) che significa "rendere fecondo, portar frutto", in ricordo del benessere ottenuto dal padre in Egitto (41,52).

Siamo, quindi, in presenza di una netta successione ereditaria: Manasse è il primogenito e otterrà tutti gli onori e i diritti patrimoniali connessi al suo stato, mentre Efraim risulterà marginalizzato. Ma ecco la svolta sorprendente. Giuseppe vuole che sia suo padre, il patriarca Giacobbe-Israele, a sancire ufficialmente la successione. Giacobbe, vecchio e malato, riceve al suo capezzale i due nipoti, il maggiore alla sua destra, cioè nella posizione d'onore, l'altro alla sua sinistra. A questo punto basterebbe che egli imponesse le mani sui due pronunziando le rispettive benedizioni del primogenito e del secondo. Ma - come narra il capitolo 48 della Genesi - Giacobbe incrocia le braccia e pone la destra su Efraim, ribaltando così la successione.

Giuseppe s'accorge di questa stranezza e tenta di riportare le mani delpadre alla normalità: la destra su Manasse, la sinistra su Efraim. Ma il vecchio Giacobbe si rifiuta ed esclama: "Lo so, figlio mio, lo so: anche Manasse diventerà un popolo, anch'egli sarà grande, ma suo fratello minore sarà più grande di lui e la sua discendenza diventerà una moltitudine di nazioni" (48,19).

Certo, alla base di questo racconto c'è il desiderio di giustificare l'importanza della tribù di Efraim che sarà, a partire dal X secolo a.C., a capo di un regno scissionista rispetto a quello di Giuda e Gerusalemme, il cosiddetto regno di Israele o di Samaria. Tuttavia ritroviamo in questo atto di Giacobbe una scelta quasi costante di Dio che privilegia il "secondo" o l'ultimo, cioè chi non ha diritti. Dopo tutto, lo stesso Giacobbe era stato prescelto rispetto a Esaù, il potente primogenito di Isacco. E anche nella parabola di Luca è proprio quel figlio minore, debole ma sincero, a passare avanti - agli occhi di Cristo - all'altezzoso e gretto fratello maggiore.