LABANO AVIDO SUOCERO DI GIACOBBE


Speculazioni sui mercati, frodi fiscali e commerciali, corruzioni politiche: è un po' questa la denuncia che il profeta Amos (8,4-7) scaglia con veemenza contro la società ebraica dell'VIII secolo a.C. Anche Gesù, con la parabola dell'amministratore astuto ma infedele, delinea una situazione scorretta con una sorta di falso in bilancio (Luca 16,1-13).

Le letture bibliche di questa domenica liturgica sollevano il velo su una situazione che è antica e moderna, perché costante è la tentazione del denaro e dell'immoralità. Su questo tema avremmo molteplici testimonianze bibliche da allegare: la Sacra Scrittura è, infatti, una storia della salvezza e come "storia" comprende anche il male che Dio giudica e condanna.

Sceglieremo, però, un personaggio minore, il suocero del patriarca Giacobbe, Labano, per rappresentare (anche col comportamento del genero) quel tessuto di piccoli o grandi inganni che spesso regolano le relazioni economiche.

Il nome "Labano" significa "bianco" ed era portato anche da una località citata dalla Bibbia (Deuteronomio 1,1), ma ignota; forse il termine, usato anche in Assiria, evocava il candore della luna, venerata come una divinità. Nel capitolo 29 della Genesi si racconta l'accordo che si stipula tra Labano e Giacobbe -che erano tra loro imparentati - per la concessione di una figlia in moglie.

Ora, nell'antico Vicino Oriente questo contratto supponeva un rilevante aspetto economico (era la "dote" o mo har, cioè il prezzo da versare al padre della sposa). Giacobbe si innamora a prima vista di Rachele, una ragazza affascinante; ma Labano vuole prima sistemare la bruttina Lia. L'accordo per Rachele comprende sette anni di lavoro di Giacobbe per Labano. Ma, al termine, con un trucco Labano riesce a rifilare al nipote la povera Lia. Di fronte alle rimostranze di Giacobbe egli ricorre a un cavillo giuridico per giustificare il suo operato e ripropone un nuovo contratto per Rachele con un'altra prestazione settennale di Giacobbe.

Cosi, alla fine, il patriarca si ritrova con due mogli, dopo una pesante dipendenza di anni dal suocero prevaricatore.
L'esosità di Labano, però, non finirà, svelando quell'auri sacra fames, cioè quell'esecranda fame d'oro che spesso colpisce l'umanità. Quando Giacobbe deciderà di rientrare dalla Siria, ove abitava Labano, nella terra di Israele, ecco una nuova richiesta, una sorta di liberatoria da versare al suocero attraverso la cessione di una parte notevole e migliore del gregge. Giacobbe ricorre, allora, a una tecnica di riproduzione molto curiosa per colpire l'egoismo del suocero.
Non possiamo ora descriverla, ma fa parte delle antiche conoscenze etologiche, cioè del comportamento animale:
suggeriamo, perciò, ai nostri lettori di prendere in mano la Bibbia e di leggere il capitolo 30 della Genesi nei versetti 25-43.

Come un boomerang, l'astuzia di Labano viene sbeffeggiata e colpita proprio dall'astuzia più acuta della sua vittima, il nipote e genero Giacobbe. Perché, come dice il Salmista, l'ingiusto "scava un pozzo profondo e cade nella fossa che ha fatto, la sua malizia ricade sul suo capo, la sua violenza gli piomba sulla testa" (7,16-17).