LAZZARO DI BETANIA, L'AMICO DI GESÙ


È l'unico personaggio delle parabole evangeliche a essere citato con un nome proprio, Lazzaro: è il mendicante della parabola che la liturgia propone in questa domenica e che il solo evangelista Luca ci ha riferito (16,19-3 1). Un nome di persona che significa nella matrice ebraica "Dio ha aiutato" e che ha la sua forma più comune in "Eleazaro", un nome portato da almeno cinque personaggi dell'Antico Testamento, tra i quali il terzo figlio di Aronne, fratello di Mosè, e un martire della rivoluzione dei Maccabei (2 Maccabei 6,18-31).

La figura del povero che Gesù tratteggia mentre è alla soglia del palazzo di un potente, accompagnato solo da cani randagi, è però rimasta così impressa nella memoria collettiva da aver reso il suo nome quasi un emblema della miseria e dell'emarginazione (si pensi al termine lazzaretto"). Tuttavia sappiamo che nel Vangelo di Giovanni c'è un altro Lazzaro, fratello di Marta e Maria, amico di Gesù, residente in un sobborgo di Gerusalemme, Betania.

È in quella cornice spaziale che si consuma il dramma della sua morte, ma anche l'evento glorioso della sua risurrezione ad opera di Gesù, evento visto dall'evangelista come la prefigurazione della Pasqua di Cristo (si legga il capitolo 11 di Giovanni).
I pellegrini che hanno visitato quel villaggio, Betania (in ebraico significa "Casa di Anania", in arabo però la sua denominazione è el-Azariya, cioè "il paese di Lazzaro"), ricorderanno la chiesa francescana consacrata nel 1954 e destinataa rievocare non solo la risurrezione di Lazzaro, ma anche il soggiorno di Gesù in questa casa di amici.

Il quarto evangelista, infatti, descrive un banchetto a cui è assiso anche Lazzaro risorto: mentre Marta è dedita alla cucina e al servizio, Maria compie quel gesto di rispetto e affetto che a tutti è noto. "Presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò coi suoi capelli" (12,3), ripetendo un atto già compiuto da un'altra donna, secondo il racconto di Luca (7,36-50). Anche questo gesto di Maria, come la risurrezione del fratello Lazzaro, viene però riletto dall'evangelista alla luce della Pasqua ormai imminente. Dice, infatti, Gesù a Giuda che obietta sullo spreco: "Lasciala fare perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura" (12,7).

Lazzaro, però, rimane soprattutto come un segno di vita oltre la morte, non solo per il suo ritorno temporaneo all'esistenza terrena, quanto piuttosto per il destino di comunione eterna con Dio che attende il fedele al termine della sua parabola nel tempo e nello spazio. A Betania una tradizione popolare che risale al IV sec. attribuisce a una grotta sotterranea, posta nei pressi della chiesa francescana, il nome di "tomba di Lazzaro". Ma è proprio nella cupola della chiesa che è posta la frase di Gesù che dà senso alla memoria e al luogo: "Chi crede in me, anche se morto, vivrà e chiunque vive e crede in me non morirà in eterno" (11,25-26).