LA FEDE ESEMPLARE DEL "BUON LADRONE"


Non ha un nome proprio, eppure il suo volto è stato uno dei più raffigurati nella storia dell'arte cristiana. La tradizione gli ha attribuito una definizione divenuta quasi il suo secondo nome, "il buon ladrone". In verità nell'originale greco del brano di Luca che lo evoca - brano che costituisce anche il testo evangelico della solennità di Cristo Re (24,39-43) - è chiamato, come il suo collega crocifisso con Gesù, kakourgòs, "malfattore", un termine col quale in quel periodo venivano forse sbrigativamente etichettati i rivoluzionari antiromani. Si spiega così il fatto che sia condannato alla crocifissione, un supplizio riservato agli schiavi e ai ribelli.

La scena è talmente celebre da non aver bisogno di essere riproposta. Vorremmo solo sottolineare tre parole significative che riguardano il nostro personaggio anonimo. La prima è l'appello: "Ricordati di me" da lui rivolto a Cristo, una parola che fa parte del linguaggio biblico della preghiera ed esprime perciò la fede nel Signore Gesù. Il "buon ladrone", allora, confessa la sua colpa "noi giustamente siamo condannati perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni", ma professa anche la sua incondizionata fiducia nel Cristo della storia ("ricordati di me quando entrerai nel tuo regno!").

La seconda parola è nella frase di risposta di Gesù: "Oggi sarai con me". Quell'"oggi" è caro a Luca che spesso lo ripete nel suo Vangelo per affermare che Cristo ha inaugurato già nel presente, in modo efficace ed effettivo, quel regno di salvezza.

Un regno che è trascendente ed è defìnito col terzo vocabolo a cui vogliamo far riferimento, "paradiso". Come è noto, si tratta di un termine di origine iranica che indica un giardino recintato e che è usato solo tre volte nel Nuovo Testamento (qui e in 2 Connzi 12,4 e Apocalisse 2,7). È la rappresentazione simbolica dell'area divina e quindi dell'infinita ed eterna comunione del giusto con Dio.
È per questo che si può veramente dire che quell'ignoto malfattore o ribelle è "canonizzato" da Gesù stesso.

La tradizione cristiana popolare non ha, però, saputo resistere alla tentazione di dare un nome, sia pure di fantasia, a questo personaggio. Così, ad esempio, nel Vangelo apocrifo arabo dell'infanzia di Gesù si descrive un assalto subìto dalla Santa Famiglia profuga in Egitto da parte di due banditi, Tito e Dumaco. Il primo si commuove per questi poveri da loro depredati e consegna 40 dracme dei suoi "risparmi" al collega pur di impedire che egli rapini Maria e Giuseppe. Ebbene, questi malviventi saranno in seguito condannati a morte proprio con Cristo: Tito, dunque, sarebbe il nome del "buon ladrone".

In un altro apocrifo, il Vangelo di Nicodemo, i due malfattori portano invece i nomi di Disma e Gesta. Sarà proprio Disma, il nome ad aver fortuna, a livello popolare, per designare il "ladrone" pentito. Ma c'è un'altra denominazione, offerta da un'apocrifa Narrazione di Giuseppe da Arimatea sui due ladroni.

Essa così descriveva il nostro personaggio: "Si chiamava Dema, era galileo e aveva un albergo; ospitava i ricchi, ma faceva del bene anche ai bisognosi e, come Tobia, seppelliva segretamente i morti poveri. Si industriava, però, a derubare gli Ebrei; depredò la stessa figlia di Caifa", il sommo sacerdote, e proprio per questa sua temerarietà fu condannato a morte.