LAMEK, FIGURA MACABRA E SPREZZANTE


Questa volta procederemo per contrasto. Partiremo, infatti, dalla prima lettura della liturgia di questa seconda domenica di Avvento, una celebre pagina del profeta Isaia (11,1-10) in cui si raffigura l'orizzonte di pace e di seremtà che il re-Emmanuele, personaggio divenuto emblema messianico nella tradizione giudaica e cristiana, aprirà nella storia dell'umanità. Gli animali considerati come avversari feroci tra loro si disporranno insieme in una sorta di armonia paradisiaca ritrovata: lupo e agnello, pantera e capretto, vitello e leoncello, mucca e orsa, leone e bue si muoveranno insieme in un mondo pacificato e gioioso.

Anche l'uomo e il serpente, la cui tensione simbolica era stata tratteggiata proprio agli inizi della creazione (Genesi 3), si scopriranno solo come due creature di Dio: i bambini si divertiranno a infilare la loro manina nella buca delle vipere per giocarvi, senza alcun rischio o danno. Accanto a questa scena di pace accostiamo, in una specie di dittico antitetico, la figura macabra e sprezzante di Lamek, uno dei discendenti di Caino (Genesi 4,17-24). È lui, tra l'altro, il primo a introdurre la poligamia: "Lamek si prese due mogli: una di nome Ada e l'altra di nome Zilla" (4,19). Con questo personaggio la Bibbia delinea la civiltà urbana che ha sostanzialmente due volti. Da un lato, certamente, essa si apre alla cultura e al progresso.

Infatti, tra i figli di Lamek, c'è Iubal (il cui nome in ebraico rimanda al corno o alla tromba), il padre della musica; c'è Tubalqain (il cui nome in ebraico echeggia quello di un popolo sito in una regione mineraria), colui che dà l'avvio all'arte dei fabbri, e c'è anche un Iabal che incarna i grandi proprietari di bestiame e i loro stanziamenti, segno dell'economia. C'è anche una figlia,
Naama, la "bella, affascinante", che potrebbe discretamente alludere alle donne di piacere (4,20-22).

D'altro lato, emerge però con veemenza un dato oscuro e tragico, quello della violenza, che è rappresentato in modo fremente e icastico da quel "canto della spada" che Laniek intona: "Ho ucciso un uomo per una mia ferita e un giovane per un mio livido: Caino sarà vendicato sette volte, ma Lamek settantasette" (4,23-24). Ecco affiorare la legge della violenza secondo una spirale inarrestabile: se si riceve una ferita, si deve reagire uccidendo senza pietà. La vendetta non deve conoscere limiti, neppure quello del taglione che imponeva la parità nelle reazioni alle offese.

Se Dio aveva punito ogni ingiustizia contro Caino "sette volte", cioè - per il valore simbolico di questo numero - in modo pieno e perfetto, ora Lamek si vendica andando oltre ogni coerenza e confine: il "settanta-sette" indica simbolicamente un numero infmito, sterminato. A questa truculenta dichiarazione si riferirà per antitesi Gesù quando insegnerà il perdono senza limiti. A Pietro che gli domanda: "Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello se pecca contro di me? Fino a sette volte?". Gesù replicherà: "Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette" (Matteo 18,2 1-22).