NEVE SILENZIO E STUPORE
 
 
È diventato famoso il verso di una battuta del poeta francese Francois Villon, nato a Parigi attorno al 1431 e morto dopo il 1463: Mais où sontles neiges d’antan?, "Ma dove sono le nevi di un tempo?”.

Si ripete spesso che non nevica più come accadeva nella nostra infanzia, che il tempo è cambiato e che le stagioni sono trasformate.

Forse è questione di nostalgia del passato, anche se per noi del terzo millennio c’è di mezzo quella devastazione ambientale che abbiamo perpetrato e di cui le grandi nazioni non mostrano segni di pentimento o ravvedimento.

Ebbene, noi ora vorremmo evocare una sorta di quadretto invernale attraverso il rimando a un solenne e vasto inno al Creatore composto da un sapiente biblico vissuto nel Il sec. a.C., il cui nome completo era Gesù Ben Sira, chiamato convenzionalmente il Siracide.

Il suo canto al Creatore si stende dal 42,15 fino a 43,33 del suo libro e si apre con una celebrazione del mistero divino e, dello splendore cosmico: «Quanto sono amabili tutte le sue opere! Eppure solo una scintilla se ne può osservare!... Esse sono a coppia, una di fronte all’altra; nulla ha creato di incompleto...». Ma quest’ultima frase nell’originale ebraico, ritrovato a partire dalla fine dell’Ottocento e a metà del secolo scorso (prima possedevamo solo la versione greca dell’opera eseguita dal nipote del Siracide), suona così: «Ogni creatura è diversa dall’altra; non ne ha fatta nessuna inutile!».

Dopo questa premessa sfilano le creature più affascinanti: il sole che «emette vampe di fuoco, fa brillare i suoi raggi e abbaglia gli occhi»; la luna che è come un orologio cosmico (si ricordi che il calendario ebraico è lunare); le stelle simili a sentinelle nelle loro varie postazioni; l’arcobaleno «teso dalle mani di Dio», «affascinante nel suo splendore»; ecco poi i vari eventi meteorologici, come il guizzare dei fulmini, il volo delle nubi nel cielo, il tuono che fa tremare la terra, il turbinio dei venti.

È a questo punto che si apre la scena dell’inverno con la meraviglia della neve che spesso imbianca i colli su cui si leva Gerusalemme. Il poeta biblico canta così quella stagione: «Scende la neve come uccellini che si posano; la sua discesa sembra quella delle cavallette che si posano. L’occhio contempla la bellezza del suo candore e il cuore stupisce nel vederla fioccare.
Il Signore riversa poi sulla terra la brina come se fosse sale: gelandosi forma come tante punte di spine.
Soffia la gelida tramontana: sulla superficie dell’acqua si condensa il ghiaccio che si depone sull’intera massa delle acque che si rivestono così d’una corazza» (43,18-20).

Subentra poi l’estate; ma lo spazio maggiore è riservato proprio all’inverno, la stagione che più impressiona chi vive in un paesaggio spesso assolato e arido. Tuttavia lo sguardo del poeta biblico non è mai solo “romantico”. Subito dopo, infatti, il Siracide canta: «Potremmo dire tante cose e mai finiremmo se non per dire: Egli è tutto! ... Egli, il Grande, sopra tutte le creature! Il Signore è terribile e grandioso, meravigliosa è la sua potenza!» (43,27-29).