IL MAGO BALAAM, L’ASINA E LA PROFEZIA
  

La settimana di preghiere per l’unità dei cristiani, che si snoda dal 18 al 25 gennaio, non è solo un tempo d’incontro tra i credenti in Cristo; è anche l’occasione per ascoltare il respiro universale che sale da tutta l’umanità verso il cielo e il Creatore di tutti.
I “semi del Verbo”, come dicevano i Padri della Chiesa, sono effusi nei terreni di tutte le fedi e di tutti i popoli.
È ciò che appare, sia pure in forma solo abbozzata all’interno di un antico e affascinante racconto biblico, quello che ha per protagonista il mago Balaam, e che è offerto dai capitoli 22-24 del libro dei Numeri.

A prima vista si tratta di una vicenda strana. Il re di Moab, Balak, per frenare l’avanzata delle tribù ebraiche in marcia dall’Egitto verso la terra promessa, convoca questo mago, famoso per l’efficacia delle sue maledizioni.
Balaam si mette in cammino e si deve subito scontrare con una difficoltà: la sua asina si impunta e si rifiuta di condurre il suo padrone verso il territorio ove sta transitando Israele. Anzi, il racconto, che è molto arcaico e contiene spunti favolistici (come è noto, nelle favole gli animali parlano: si pensi a Esopo e Fedro o La Fontaine), immagina che l’asina faccia intuire a Balaam che a fermarla è «un angelo del Signore con la spada sguainata» (22,23).

Alla fine, però, il mago giunge su un picco roccioso del deserto transgiordanico e da lassù, dopo aver celebrato un sacrificio, si prepara a pronunziare — come gli aveva commissionato quel re — una terribile ed efficace maledizione che blocchi e atterrisca Israele. Ed ecco la sorpresa: le sue labbra per ben quattro volte, anziché formule magiche, emettono oracoli profetici in poesia che esaltano il destino glorioso del popolo di Dio.
Il mago pagano si trasforma, così, in un profeta ispirato da Dio.

Anzi, nel quarto di questi oracoli c’è una frase che sarà riletta successivamente come un annunzio messianico:
«Io lo vedo, ma non ora, io lo contemplo, ma non da vicino: una stella spunta da Giacobbe, uno scettro sorge da Israele» (24,17). Di per sé il testo allude alla futura dinastia davidica; ma l’antica versione della Bibbia dall’ebraico in aramaico,
la nuova lingua parlata dagli Ebrei anche al tempo di Gesù, traduce così quell’annunzio:
«Un re spunta da Giacobbe; un Messia sorge da Israele».
In tal modo la stella diverrà un simbolo messianico: si pensi al racconto dei Magi o dell’Apocalisse che chiama Cristo «stella radiosa del mattino» (2,28; 22,16).

Curiosamente nell’Apocalisse (2,14) Balaam è ancora una figura negativa che vuole pervertire Israele, come fanno i cattivi maestri presenti nella chiesa della città di Pergamo. Ma nell’Antico Testamento e nella tradizione giudaica e cristiana Balaam viene quasi “santificato”: è il segno di tutti coloro che incontranò Dio senza cercarlo e che ne ricevono la parola rivelatrice prima ancora di averlo invocato, per usare una frase di san Paolo nella lettera ai Romani (10,20).