I misteri del regno rivelati ai piccoli.
 
 
Oltre al Padre nostro, preghiera di un’intensità e di una bellezza uniche, sono poche le orazioni di Gesù conservate nei Vangeli (Giovanni 11,4 1-42; 12,27-28; 17; Marco 14,36; Luca 10,2 1-22). Ce n’è, però, una riferita da Matteo (11,25-27) e da Luca (10,21-22) che merita di essere ripresa non solo per la sua alta spiritualità ma anche per il fascino della sua semplicità e profondità. Si tratta di una ‘bendenziose" che Luca ricorda essere stata pronunziata da Gesù in piena esultanza nello Spirito Santo, per cui si è coniato il titolo latino hymnus jubilationis, cioè "inno di giubilo". Gli studiosi, sentendo in questo testo una specie di eco o riflesso del linguaggio usato da Cristo nel quarto Vangelo, l’hanno chiamato il loghion johanneum, cioè il "detto giovanneo" dei Vangeli sinottici.

Ascoltiamo il brano così come ce lo offre Matteo: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare». Due sono i fili conduttori di questa invocazione-rivelazione.
Da un lato, ecco un tema caro a Gesù, quello degli ultimi, dei semplici, dei piccoli, opposti ai primi, ai sapienti boriosi,ai potenti. Sappiamo quanto sia stato rilevante nella storia della spiritualità l’essere come bambini tra le braccia del proprio Dio. Già sullo zoccolo di una statua egizia del XV sec. a.C. si leggeva: «Due volte beato colui che riposa felicemente tra le braccia del dio Amon, che ha cura del silenzioso e aiuta il povero», mentre il Salmo 131 introduceva lo stesso contrasto di Gesù tra chi «esalta il suo cuore e leva superbi gli occhi camminando verso cose grandi» e chi ha «l’anima distesa e tranquilla come un bimbo svezzato in braccio a sua madre».

D’altro lato, ecco invece l’idea della comunione intima che intercorre tra il Figlio e il Padre, una comunione che non è esclusiva ma che si apre a tutti coloro che ricevono la rivelazione divina. E costoro sono proprio i "piccoli" cantati nella prima strofa di questo dolce mini-inno. Non per nulla subito dopo averinvocato il Padre, Gesù si rivolge a coloro che lo seguono dicendo: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò» (11,28). Gli «affaticati e gli oppressi» sono appunto i "piccoli", gli ultimi; essi sono invitati a «venire a me», al Cristo, «mite e umile di cuore» (11,29) per un abbraccio, una vicinanza, una profonda unità di vita e di speranza.

In questa breve ma intensa preghiera di Gesù abbiamo un ritratto perfetto dell’orante che si affida al suo Dio con la stessa intimità del figlio che si rivolge all’abbà, cioè al Padre, anzi - come dice questa parola aramaica usata e insegnata da Gesù per rivolgersi al Dio - al Babbo che è nei cieli. Anche il poeta mistico indù Kabir (XV sec.) cantava: «Qualsiasi sbaglio commetta un figlio, suo padre non sa fare altro se non perdonare. O mio Dio, io sono il tuo bambino, non cancellerai forse i miei errori?».