Signore del cosmo e della storia


La solennità della Trinità dovrebbe condurre alla contemplazione del mistero di Dio. Noi lo facciamo con una mirabile pagina paolina: l’inno posto in apertura alla Lettera agli Efesini (1,3-14).
In forma di benedizione, con le frasi concatenate a grappolo in una fluviale costruzione, questo denso salmo neotestamentario vuole esaltare una figura del Cristo simile a quella che incombe dalle absidi di certe basiliche o cattedrali, soprattutto bizantine.
È il Cristo Pantokrator, cioè in greco Signore e dominatore di tutto l’essere cosmico e storico (si pensi al grandioso e indimenticabile Cristo dell’abside del duomo di Monreale).

Nel canto paolino si parte dall’infinito ed eterno orizzonte di Dio, un oceano in cui «quanto più si naviga tanto più si scoprono nuovi mari», come diceva il mistico spagnolo del Cinquecento Fray Lufs de Leén. Anche lo stile stesso dell’inno così debordante e ramificato vuole creare questa impressione di immensità entro la quale noi siamo collocati. Non è immensità caotica bensì ben «progettata».

Paolo ricorre al vocabolo greco pròthesis, che significa un piano disegnato fin da «prima», cioè dall’eternità.
Anzi, egli ricorre a un’immagine suggestiva per descrivere l’armonia centrale di questo disegno: «ricapitolare in Cristo tutte le realtà, le celesti e le terrestri» (1,10). Ora, il vocabolo greco usato dall’apostolo per rendere quel «ricapitolare» è anakefalaiòsasthai. Esso allude alla kefale, cioè la «testa», il «capo», perché Cristo guida e ordina l’intero «corpo» della Chiesa, ma anche l’insieme della creazione. Ma quel verbo nmanda forse anche al kefàlaion che indicava l’asta attorno alla quale si avvolgeva il rotolo di pergamena, e che in latino era chiamato capitulum.

L’immagine diventa, allora, significativa: Cristo dà ordine e senso al libro della storia, coordina in un discorso unitario tutte le parole e gli atti che compongono la nostra vicenda umana e tutte le particelle dell’essere. Per Paolo in questa immensa pergamena cosmica uno spazio decisivo è occupato dalla Chiesa e dai figli adottivi cli Dio, i cristiani, «gli eredi..., coloro che hanno ricevuto il sigillo dello Spirito Santo» (1,11.13). Cristo «ricapitola» in sé tutto l’essere, ma è soprattutto «capo» della Chiesa che, poche righe dopo l’inno, è definita come «la pienezza di Colui che si realizza interamente in tutte le cose» (1,23). C’è qui un altro vocabolo greco importante, plèrorna, «pienezza».

Per spiegarlo ricorriamo alle parole di un commentatore della Lettera agli Efesini, Romano Penna: «Mondo e Chiesa formano due cerchi concentrici, sottoposti alla stessa signoria di Cristo, ma solo la Chiesa è il plèroma di Cristo, cioè l’ambito pienamente ricolmo della sua presenza, della sua energia, della sua grazia e dei suoi doni». Con la sua teologia Paolo ci insegna non solo a conoscere la verità di Dio, ma anche a cantarne la bellezza amorosa.