Il Vangelo è il fiore di tutta la bibbia


Un grande scrittore cristiano del III secolo, Origene, definiva così il quarto Vangelo: «il fiore di tutta la Sacra Scrittura è il Vangelo e il fiore del Vangelo è quello trasmesso a noi da Giovanni, il cui senso profondo e riposto nessuno mai potrà pienamente cogliere». Questa definizione è sperimentabile in molte pagine di quel testo, ma in particolare brilla nei discorsi d’addio di Gesù, raccolti nei capitoli 13-17 e che noi abbiamo già delineato nella loro cornice narrativa la scorsa settimana.

Ritorniamo ora brevemente su di essi per farne risplendere la bellezza e l’intensità. Due sono i temi che reggono il fluire delle parole di Cristo: la fede e l’amore. Noi ci accontenteremo di due citazioni. Per la fede, che è intimità e comunione con Cristo: «Io sono la vera vite... Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da sé stesso, se non rimane nella vite, così anche voi, se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci...» (15,1.4-5).
Per l’amore: «Questo è il mio comandamento: Amatevi gli unì gli altri, come io vi ho amato» (15,12).

La comparazione non è più quella biblica: «Ama il prossimo come te stesso» (Levitico 19,18), che anche Gesù aveva accolto (Matteo 22,19). È ormai totale e paradossale: «come io vi ho amati», cioè fino alla donazione assoluta, perché «nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (15,13). Dopo aver sviluppato «a ondate» continue questi due temi e dopo aver promesso per cinque volte la futura presenza dello Spirito Paraclito, cioè «difensore» dei discepoli nella lotta contro il male e il mondo, le parole di Gesù si trasformano in preghiera.

Consapevole che la lacerazione della sua morte è come un parto che genera vita (16,21), Cristo affida al Padre la comunità dei credenti perché siano «una cosa sola» nell’amore per lui e per Dio e tra di loro. Si tratta dell’ultima pagina di quei discorsi, il capitolo 17, chiamato convenzionalmente a partire dal ‘500 «preghiera sacerdotale». In realtà è un canto di lode che abbraccia tutta la distesa dei secoli futuri e che si spegne sulla parola «amore»: «L’amore col quale tu, o Padre, mi hai amato sia in essi e io in loro!» (17,26).

Concludiamo con un riferimento artistico. Uno dei maggiori compositori contemporanei, Goffredo Petrassi, tra il 1974 e il 1975, ha elaborato un testo musicale intitolato Orationes Christi. Il primo quadro è dominato proprio dai primi cinque versetti della «preghiera sacerdotale» di Gesù (17,1-5), mentre nel secondo quadro musicale si introduce l’orazione nel Getsemani (Luca 22,42 e Matteo 26,42). Dedicate «ai fedeli di Cristo», queste Orationes, affidate a una strumentazione povera e a una sonorità nuda e persino aspra, sfociano nel finale in un mormorio di voci parlate e confuse, che sembrano raccogliere l’eterno e universale respiro orante dell’umanità.