Una Terra Promessa di latte e miele


Metteremo questa volta insieme tre scene bibliche differenti ma parallele. Eccoci di fronte alla prima.
È giunta, terminato l’inverno oscuro, la primavera sospirata. Nelle campagne sono sbocciate le primizie.
Un ebreo ne ha raccolte alcune dal suo campo e, in una cesta, le ha portate per offrirle al sacerdote.
Costui le riceve, le depone sull’altare e invita il fedele a pronunziare una specie di Credo. L’ebreo comincia a recitare: «Mio padre era un arameo nomade; scese in Egitto... Gli Egiziani ci imposero una dura schiavitù. Allora noi gridammo al Signore, Dio dei nostri padri... Il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano possente e braccio teso... e ci guidò in questo luogo, donandoci questa terra dove scorre latte e miele» (Deuteronomio 26,5-9).

Questo brano, da noi citato frammentariamente, è forse una delle più antiche professioni di fede di Israele: Dio, come è evidente, si rivela il Signore Salvatore dell’esodo e della conquista della terra promessa.

Ma passiamo ora alla seconda scena. Siamo a Sichem, sede di un antico santuario di Israele. Giosuè, che ha guidato l’ingresso del popolo ebraico in questa terra, ha convocato tutte le tribù e davanti a esse proclama anch’egli un Credo che ricalca quello pronunziato dall’antico contadino, anche se è più ampio e articolato: «I vostri padri abitavano dai tempi antichi oltre il fiume (Eufrate)... Io li presi e gli feci percorrere tutto il paese di Canaan..., moltiplicai la loro discendenza che scese in Egitto. Mandai Mosè e Aronne e colpii l’Egitto e li feci uscire... Dimoraste lungo tempo nel deserto... Poi passaste il Giordano... e vi diedi una terra...».

È questa la parte dominante dell’ultimo capitolo del libro di Giosuè (24, 1-13) e anch’essa rivela le azioni divine nella storia della salvezza: la chiamata dei patriarchi, l’esodo dall’Egitto, la terra promessa e conquistata. Il popolo si impegnerà di fronte a questi doni a «servire» il Signore: per 21 volte (3 x 7, numeri perfetti) si ripete nel capitolo (24,14-27) proprio quel verbo (in ebraico ‘abad) che attesta l’adesione operosa del popolo eletto e il suo culto fedele in onore del Signore.

Eccoci, così, alla terza scena. Nell’assemblea del tempio di Gerusalemme si alza un solista e intona un cantico, il «grande Hallel», cioè la Lode per eccellenza, il Salmo 136: «Lodate il Signore: egli è buono!... I cieli ha fatto con sapienza, la terra ha stabilito sulle acque... Percosse l’Egitto nei suoi primogeniti e da loro liberò Israele... Divise il Mar Rosso in due parti e in mezzo fece passare Israele... Guidò il suo popolo nel deserto... Diede in eredità la loro terra...».

Ancora una volta, in questo Credo cantato, si fanno sfilare i gesti salvifici di Dio: l’esodo dall’Egitto e il dono della terra di Canaan, ai quali si premette la creazione del mondo. E il popolo a ogni verso risponde: Ki le òlam hasdò «perché è eterno il suo amore». Il Dio della Bibbia esce dai suoi cieli dorati e penetra nel groviglio delle vicende umane.
Egli è il Dio della storia e la Bibbia è la storia di un Dio che non teme di impolverarsi camminando per le vie del nostro tempo e del nostro spazio.