Le due colpe del re


Anche al centro di questa pagina, come abbiamo fatto la scorsa settimana, poniamo una delle figure più affascinanti e celebrate dall’Antico Testamento, quella di Davide. Per lui tutto era cominciato quel giorno in cui su di lui, pastorello «fuivo, con begli occhi e di aspetto gentile» (1 Samuele 16,1-13), il profeta Samuele aveva versato da un corno l’olio sacro, avviandolo così a essere l’antagonista di Saul, l’eletto ormai reietto. L’indimenticabile duello col corpulento eroe filisteo Golia, vinto col sasso di fonda scagliato nel nome del Signore (1 Samuele 17), l’ingresso a corte prima come musico e poi come genero del re Saul, l’amicizia profonda (a noi già nota nei suoi risvolti anche politici) con Gionata, figlio del sovrano in carica, la vita partigiana nel deserto sotto la pressione costante dell’esercito regolare ebraico segnano la prima fase della vita di Davide, racchiusa nel primo Libro di Samuele.

Davide risaliva forse a questo suo passato, mentre cantava la morte tragica in guerra di Saul e Gionata in quella lamentazione da noi già presentata. Ora egli aveva di fronte un regno ebraico allo sfascio, premuto dai vittoriosi Filistei e diviso all’interno da dissidi sociopolitici. Eletto dalla sua tribù, Giuda, come re, Davide aveva compreso subito la necessità di trovare una nuova capitale, libera da legami tribali. Aveva, allora, conquistato Gerusalemme, strappandola con uno stratagemma al dan indigeno cananeo dei Gebusei che l’occupavano. Vi aveva trasferito l’arca, emblema delle origini sinaitiche e vessillo dell’unità religiosa e nazionale di Israele, e aveva avviato la costituzione di uno Stato in senso stretto.

Eppure, nel racconto del secondo Libro di Samuele, si delinea una diversa figura di Davide, tratteggiata secondo una dolente e spesso debole umanità. È questo il Davide storico, differente dal Davide della fede, segno luminoso della speranza messianica e di quello stesso Cristo che sarà interpellato come “figlio di Davide”. Basterebbe la carnale e solare Betsabea al bagno di Rembrandt conservata al Louvre o la vitale e fatale Betsabea di uno dei maggiori romanzieri svedesi contemporanei, Torgny Lindgren (ed. Iperborea, 1988), o quella, più angelica ma non meno intrigante, di Chagallal Museo del messaggio biblico di Nizza per evocare la storia di amore e morte, di passione e delitto che lega il re a questa donna, moglie di un suo ufficiale, Uria.

Il sovrano la intravede nuda su una terrazza di Gerusalemme, mentre egli riposa nel palazzo reale in un caldo pomeriggio estivo. Sarà per Davide una vera e propria passione che non conosce limiti, neppure quelli morali, come è descritto in due pagine strepitose per finezza narrativa, i capitoli 11 e 12 del secondo Libro di Samuele. Eliminato fisicamente con un falso alibi morale il marito Uria, Davide sposerà Betsabea. Ma nel silenzio complice dei sudditi, che fingono di non vedere l’adulterio e l’assassinio perpetrato dal re, si leva alta e impavida la voce del profeta Natan che punta l’indice contro Davide: «Sei tu quell’uomo!», l’uomo che ha strappato a un povero la pecorella piccina e unica, come dice la trasparente parabola usata dal profeta per denunziare la colpa del re.