Figlio mio! Assalonne, Figlio Mio!


Ancora una volta ritorniamo sulla figura di Davide. L’abbiamo lasciato sotto l’indice d’accusa del profeta Natan che denuncia il delitto dell’adulterio con Betsabea e dell’assassinio di suo marito Uria. Espiata la colpa, sposata regolarmente la donna che gli darà il futuro erede al trono, Salomone, su Davide s’abbatte un’ulteriore tempesta, il colpo di stato ordito da un altro suo figlio, il bell’Assalonne.
È una vicenda che vede stupri, balenare di lame, tradimenti, violenze e inganni e persino l’umiliazione della fuga di Davide da Gerusalemme per colpa di questo figlio dall’animo ribelle e fin parricida.

Ma l’impressionante e mirabile racconto dei capitoli 13-19 del Secondo libro di Samuele, un racconto tutto da leggere, sbocca in tragedia. Nonostante l’ordine del re, il ministro delle forze annate, Ioab, nipote di Davide, uccide Assalonne in battaglia.
Allora risuona di stanza in stanza, nella residenza provvisoria del re esule in Transgiordania, un grido disperato: «Figlio mio! Assalonne, figlio mio!». Eppure loab, implacabile, costringe questo padre, che non può odiare il figlio anche se ribelle, a presiedere la parata militare per la vittoria sui rivoltosi.

Davide appare, dunque, nella narrazione biblica in tutta la sua umanità.
È questo il Davide amato dalla letteratura contemporanea: pensiamo al Pianto del figlio di Lais di Bacchelli, al Davide di Coccioli, al tormentato e un po’ tenebroso personaggio che emerge nel Resoconto sul re Davide dello scrittore tedesco Heym (1972) o alla figura un po’ Canagliesca proposta dall’americano Heller che nel suo romanzo Lo sa Dio gli attribuisce fantasiosamente il Cantico dei cantici; come canto carnale in onore dell’amata Betsabea.

Un Davide che cade in disgrazia anche presso Dio quando ordina il censimento come atto di orgoglio politico-religioso, sollevando la dura reazione divina, placata dall’altare votivo che sarà quasi la prima pietra di quel tempio di Sion che solo suo figlio Salomone riuscirà a erigere.

E, alla fine, ecco il vecchio Davide dalle membra aride e quasi cadaveriche, vanamente riscaldate da una vergine, mentre si stanno consumando gli intrighi di una successione difficile che vedrà ancora uno spargimento di sangue.

Alle sue spalle scorreva, dunque, un fiume di ricordi spesso tristi.
Un ritratto sconcertante e quasi scandaloso quello davidico dei libri biblici di Samuele.
A partire da quel pomeriggio, quando i suoi occhi si erano fissati sulla pelle folgorante di Betsabea, era stata per Davide una specie di discesa agli inferi i cui gironi erano fatti di delitti, di passione, di dolori, di rivolte, di morti. Eppure egli rimarrà nella memoria come l’anticipazione del volto glorioso del Messia, trasfigurato come il David di Donatello, di Michelangelo, di Raffaello, del Bernini, del Reni e di tanti altri scultori e pittori.
Sarà solo il pittore francese Rouault a offrirci l’amara realtà finale di Vecchio re (1936), quella del Davide della storia e non solo della speranza ideale.