Il Signore ha risposto allo sfogo di Anna


Che il nome della madre di Maria di Nazaret fosse Anna a noi è noto solo attraverso un testo apocrifo (cioè non “canonico” e “ispirato”), il Protovangelo di Giacomo.
Alla base di questa identificazione c’è forse uno spunto biblico.
Anna, infatti, è il nome della madre del grande profeta Samuele, colei che nel suo cantico per la nascita prodigiosa del figlio (era, infatti, sterile) aveva offerto la base sulla quale Maria avrebbe poi intessuto il suo Magnificat.
Noi ora vorremmo proprio offrire alla lettura quell’inno, citato nel primo Libro di Samuele (2,1-10).

In realtà gli studiosi sono convinti che il canto sia stato posto successivamente sulle labbra di Anna perché esso ha le caratteristiche di un salmo regale in cui il sovrano ebraico, più debole rispetto alle grandi potenze, è sorretto ed esaltato dal Signore in cui egli confida. Questa è stata anche l’esperienza di Anna, donna umiliata perché sterile (in una civiltà agricola una donna che non genera è considerata come un ramo secco), ma sostenuta e glorificata da Dio che le dona un tale figlio.

Il movimento del cantico — che in filigrana rivela molti rimandi ai Salmi biblici — è teso lungo due traiettorie: da un lato il re ebreo debole, Israele povero, Anna sterile vincono i potenti, i ricchi e le rivali feconde perché dalla loro parte si schiera Dio; dall’altro lato, la vittoria offerta dal Signore è totale perché supera tutti i limiti umani, varcando anche la frontiera ultima, quella della morte. Ascoltiamo, allora il cuore dell’inno, ove le due componenti appaiono nitidamente e ove si intuisce di già il respiro del Magnificat: «L’arco dei forti s’è infranto, i deboli sono stati rivestiti di vigore. I sazi sono andati a giornata per un pane, gli affamati hanno finito cli faticare. La sterile ha partorito sette volte, la ricca di figli è sfiorita. È il Signore che rende povero e arricchisce, abbassa ed esalta. Dalla polvere solleva il misero, e il povero dall’immondizia, e li fa sedere coi capi del popolo, assegnando loro un seggio di gloria» (2,4-8).

La finale del cantico è ugualmente significativa perché fa balenare il volto del re messia: «Il Signore.., darà forza al suo re, eleverà la potenza del suo consacrato (in ebraico “messia”)» (2,10). L’inno di Anna, allo stesso modo di quello che Maria intonerà davanti a Elisabetta, riaccende la fiducia e la speranza degli umili e degli umiliati. I “piccoli” del mondo si sentono rappresentati da Anna e da Maria. Lo scrittore francese Georges Bernanos nel suo famoso romanzo Diario di un curato di campagna (1936) affermava: «Lo sguardo della Vergine è il solo sguardo veramente infantile, il solo sguardo da bambino che si sia mai elevato sulla nostra vergogna e sulla nostra infelicità».

Questo sguardo “infantile” di fiducia era balenato anche negli occhi dell’antica donna ebrea Anna che, come racconta il primo Libro di Samuele, nella sua amarezza era subito corsa davanti al Signore nel santuario di Silo. E al sacerdote Eli, sconcertato perché — contro l’uso allora corrente — pregava in silenzio, essa aveva risposto con semplicità: «Sto sfogandomi davanti al Signore» (1,15). E il Signore era l’unico a sentire quella voce silenziosa.