ABELE, VITTIMA DELL'INVIDIA DI CAINO


Nella liturgia di questa domenica si può rintracciare un filo che percorre le varie letture bibliche. Si parte dai "poveri", dal «popolo umile e povero» esaltato dal profeta Sofonia, si passa lungo la folla degli oppressi, affamati, prigionieri e miseri e caduti introdotti dal Salmo 146 (145),6-l0 si incontrano le scelte di Dio nei confronti di "ciò che è debole, ignobile e disprezzato", descritte da Paolo nella prima Lettera ai Corinzi (1,26-3 1), e si approda alla proclamazione di Cristo: "Beati i poveri, gli afflitti, i miti, i perseguitati".

Ecco, noi sceglieremo tra le varie figure bibliche che incarnano il profilo delle vittime, sulle quali si accanisce la prevaricazione dei potenti e dei prepotenti, quella di Abele, la prima vittima della storia biblica, un personaggio del tutto dimenticato nelle pagine dell'Antico Testamento dopo la tragica scena del suo assassinio da parte del fratello Caino. Sarà Gesù a rievocarlo proprio come il capostipite della lunga vicenda cli sangue che segua la storia dell'umanità, emblema di "tutto il sangue rnnocente versato sopra la terra, dal sangue del giusto Abele..." (Matteo 23,35).

A tutti è noto che questo secondo figlio di Adamo entra in scena nel capitolo 4 della Genesi come pastore: si ha, quindi, una sorta di scontro tra due civiltà perché Caino è, invece, un agricoltore. Siamo, allora, di fronte alla violenza di un sedentario contro un nomade, simbolo dell'incapacità di coesistenza tra forme diverse di cultura.

Chi cade è il più debole: è significativo il nome stesso del nostro personaggio, Abele, che in ebraico significa "soffio, fumo", ed è il vocabolo caro al sapiente biblico Qohelet per indicare la "vanità", vuoto che pervade la realtà creata (habel/hebel).

Ciò che sconvolge Caino è l'invidia nei confronti del fratello: Dio, infatti, "gradiva Abele e la sua offerta" (4,4). Ora, questa espressione - "gradire il sacrificio" - è una locuzione tipica per indicare la prosperità, la serenità e la pace di Abele, benedetto da Dio. Caino reagisce con la violenza che esplode dalla gelosia per il bene altrui: "Ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto" (4,5). Egli non riesce più a trattenere quella bramosia che il "peccato, accovacciato alla porta" della sua anima (4,7), gli tormenta la mente e il cuore.

Si consuma, così, il fratricidio che l'autore sacro dipinge con una sola, tragica pennellata: "Caino disse al fratello Abele: "Andiamo in campagna!". E mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise" (4,8). Il demone dell'odio e dell'invidia ha ormai prevalso e, in quel giorno drammatico, sulla scena rimane solo un cadavere il cui sangue cola sulla terra.

Nessuno ha visto e, quindi, Caino può rientrare impunito nella sua casa. Ma un testimone c'è, il Signore, e la sua voce non dà tregua all'assassino, come una voce misteriosa si leva anche da quel sangue versato: "Dov'è Abele, tuo fratello?... La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!" (4,9-10).