ABRAMO, PADRE DI MOLTI POPOLI


Tra il 1922 e il 1934 l'inglese Leonard Woolley fece emergere dalla polvere della terra, nei pressi del fiume Eufrate, nell'attuale tormentato Irak meridionale, la splendida città di Ur, la patria di Abramo. È sullo sfondo di quel centro mesopotamico che il libro della Genesi colloca la vocazione del patriarca, nel brano che oggi la liturgia ci propone (12,1-4).
Secoli dopo, l'autore di quella omelia che va sotto il nome di Lettera agli Ebrei dipingeva così il momento decisivo vissuto da quello sceicco orientale: "Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità e partì senza sapere dove andava..." (Ebrei 11,8).

La Bibbia cerca di interpretare il nome del patriarca ricorrendo a una variazione che abbia un'affinità con un'espressione ebraica: da Abram (che di per sé significava "padre elevato, esaltato", titolo glorioso riservato alla divinità considerata come padre) si ha Abraham, "padre di una moltitudine di popoli" (Genesi 17,5). Appare, così, uno dei due temi della promessa che il Signore aveva fatto al patriarca, quello della discendenza, a cui si unirà il dono della terra di Canaan. La posterità rimarrà, comunque, il segno fondamentale della "benedizione" divina nei suoi confronti.

Infatti, se si legge attentamente il testo dell'odierna liturgia, si sente echeggiare per cinque volte un termine: "Ti benedirò..., diventerai una benedizione..., benedirò coloro che ti benediranno..., in te si diranno benedette le famiglie della terra". Ora, il vocabolo ebraico che indica la benedizione (brk) ha proprio un rimando concreto alla fecondità come dono divino: allude, infatti, al "ginocchio" come eufemismo per rimandare alla genitalità, radice della vita.

Ecco il primo grande dono del Signore, quello che attraverso le generazioni permette al popolo di esistere nel tempo, così come la terra donata è il segno della presenza nello spazio. Dio si rivela, quindi, nella storia umana che è fatta di tempo e di spazio.
Sappiamo che la promessa divina si aprirà la sua strada nel grembo delle vicende del patriarca, con fatica e lentezza, per cui Abramo dovrà credere e avere fiducia nel misterioso agire di Dio, che, prima, gli dona un figlio attraverso la schiava Agar, Ismaele, secondo una tipica procedura dell'antico Vicino Oriente, e poi attraverso la moglie ormai anziana, Sara, che genererà Isacco.

Ma la prova della fede avrà proprio allora il suo apice, che si consuma sulla vetta del monte Moria: lassù Abramo sarà pronto anche a rinunciare al figlio tanto atteso e promesso dallo stesso Signore che ora gli chiede di sacrificarlo. Ma sarà Dio stesso a riconsegnarglielo come segno totale della sua benedizione e come suggello supremo di una fede pura e assoluta che renderà Abramo "nostro padre nella fede", come dirà san Paolo (si leggano Romani 4,1-25 e Galati 3,1-19).

Tra lui e il Signore si era ormai stabilito un "patto" che sarà siglato attraverso il gesto rituale della circoncisione, descritto nel capitolo 17 della Genesi, capitolo nel quale risuona per ben 14 volte (7 è il numero perfetto, qui raddoppiato a indicare pienezza) la parola ebraica berit, "patto, alleanza", quel legame unico che vincolerà tutto Israele a Dio e, attraverso la fede di Abramo, anche le altre due religioni "abramitiche" e monoteiste, il cristianesimo e l'islam.