GIUSEPPE D'ARIMATEA, BUONO E GIUSTO


"Venuta la sera, giunse un uomo " ricco di Arirnatea, chiamato Giuseppe, il quale era diventato anche lui discepolo di Gesù". È, questo, uno dei personaggi minori del racconto della passione secondo Matteo (27,57) che si legge nell'odierna domenica. Luca (23,50) e Marco (15,43) ricordano che era uno dei 70 membri del Sinedrio, la suprema istituzione giudaica, quindi una personalità autorevole. Egli era originario di Arimatea, ossia Rarnataim, la patria del profeta Samuele che, secondo l'archeologo William F. Albright, era l'attuale Rainalla, città palestinese di particolare importanza anche ai nostri giorni (è la sede in cui èrelegato il governo dell'Autorità palestinese). Per gli aliti-chi era, invece, identificata in un altro centro posto a nordest dell'attuale città di Lod.

Giuseppe, però, risiedeva ormai a Gerusalemme, come si deduce dal sepolcro '~nuovo" che si era fatto approntare nella città santa (27,60). Egli èpronto a ospitare nel suo mausoleo a più stanze il cadavere di Gesù. Trattandosi, però, di un condannato a morte, deve avanzare formale richiesta al governatore romano Ponzio Pilato che, di fronte a un'autorità com'è il sinedrita Giuseppe, non batte ciglio e autorizza la traslazione della salma. Qualcosa del genere doveva essere accaduto con un certo Jehohanan (Giovanni), un ebreo crocifisso - forse un ribelle antiromano del I secolo -' il cui scheletro è stato scoperto nel 1969
in una tomba di un'area cirniteriale nei pressi di Gerusalemme, a Giv'at Ha-Mivtar: nei piedi egli aveva ancora un chiodo di ferro della crocifissione.

Luca sottolinea l'integrità morale di Giuseppe d'Arimatea ("persona buona e giusta"); Matteo e Giovanni lo considerano "discepolo di Gesù", mentre Marco e Luca lo presentano "in attesa del regno di Dio", cioè più genericamente come simpatizzante del movimento cristiano. Ma il ritratto - tutto sommato sobrio - di questo personaggio, che ebbe la fortuna di accogliere, anche se per poco, nella tomba di famiglia Gesù di Nazaret morto, è stato caricato di mille particolari, per lo più leggendari, nei
Vangeli apocrifi e nella successiva tradizione popolare.

Così, se l'importante e antico Vangelo di Pietro lo presenta, forse con fondamento, Come conoscente e amico di Pilato, le Memorie di Nicoderno, un apocrifo più tardo, raccontallo tutte le amare conseguenze che derivarono a Giuseppe da quel gesto pietoso e affettuoso: arrestato, processato, carcerato, ma anche miracolosamente liberato dal Risorto.

Nel Medioevo ebbe, invece, successo un'apocrifa Narrazione di Giuseppe piena di colpi di scena e destinata ad approdare alla glorificazione del personaggio, la cui memoria liturgica fu poi fissata al 17 marzo.

Ricordiamo anche che la celebre vicenda del Santo Graal (si pensi al Parsifal di Wagner) coinvolge Giuseppe di Ariniatea: secondo la leggenda sarebbe stato lui a usare il calice dell'ultima cena per raccogliere il sangue sgorgato dal costato del Cristo crocifisso, calice che i crociati credettero di ritrovare tra le rovine di Cesarea Marittima, dando il via a un vero e proprio "mito" cavalleresco.