MATTEO, “SCRIBA” A SERVIZIO DI GESÙ


«Ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e antiche».
Sono queste le parole di Gesù che suggellano il discorso in parabole la cui lettura è conclusa nell’odierna domenica (Matteo 13,52). Abbiamo pensato, allora, di far emergere questa volta una figura collettiva, quella dello “scriba”, sofrrin ebraico, gram;natéusin greco (quest’ultima parola ricorre 63 volte nel Nuovo Testamento).

Ora, se stiamo alla tradizione dell’antico Vicino Oriente, questo titolo copriva una molteplicità di funzioni, fermo restando l’elemento Lapitale, quello della scrittura e, quindi, della redazione di documenti sia privati sia pubblici. È facile intuire che lo scriba poteva trasformarsi nel responsabile della burocrazia e dell’amministrazione; anzi, nella Bibbia si hanno esempi di scribi divenuti alti funzionari, gestori della politica, dell’economia e dell’amministrazione, come nel caso di Safan, scriba reale che è incaricato dal re Giosia nel 622 a.C. di verificare il “libro della legge” ritrovato nel tempio dal sommo sacerdote Helkia (2Re 22).
Che la carica talora fosse eredi— tana emerge dal fatto che di Sa- fan il libro del profeta Geremia (36,10) menzionerà il figlio Ghemaria con incarico analogo. Tra l’altro, tra i profeti è proprio Geremia a usufruire di uno scriba, Baruk, nella funzione di segretario personale.

Sarà nel Il secolo a.C. che un sapiente, il Siracide, intesserà un vero e proprio eìogio dello scriba, presentandolo però ormai secondo la nuova veste che era andato acquisendo, ossia quella dell’intellettuale, spesso prestato o coinvolto nella politica (38,24; 39,11).

È a questo punto che possiamo introdurre lo scriba neotestamentario, la cui figura è prevalentemente dipinta in chiave negativa, in frequente polemica con Gesù e soprattutto in combutta coi sommi sacerdoti e gli anziani, ossia con le altre due classi del potere (religioso e politico), rappresentate all’interno del sinedrio, il supremo organo istituzionale ebraico.

Non manca, soprattutto in Matteo e Luca, un accostamento degli scribi al partito “progressista” dei farisei e questo fa comprendere che si trattava di una professione che poteva essere praticata da persone appartenenti a diversi ambiti, livelli e orientamenti sociali. Se è vero che spesso gli scribi vengono associati alla condanna a morte di Cristo, è pur vero che nel brano da noi citato la figura dello scriba riceve un’applicazione positiva.

Infatti, si parla di un gramma téus che si fa “discepolo del regno dei cieli”, ossia uditore della parola di Cristo, capace di comprendere e di penetrare nella ricchezza molteplice dell’insegnamento di Gesù. Non per nulla si fa riferimento al “tesoro”, un termine che ben esprimeva il patrimonio della tradizione rabbinica e che ora è applicato al messaggio del nuovo maestro. Forse con questo ritratto lo stesso evangelista Matteo introduceva sé stesso: come è noto, infatti, nel suo Vangelo egli è particolarmente attento a connettere l’Antico Testamento alla dottrina di Cristo. Sigiiificativa risulta, allora, l’inversione compiuta nella descrizione dell’oggetto del “tesoro”: «cose nuove e antiche». Il “nuovo” precede l”antico” contro la sequenza logica, per mostrare come l’insegnamento di Cristo sia al primo posto, illuminato dall’antico messaggio.