CANAAN E IL CULTO DELLA FERTILITÀ


«Gesù si diresse verso le parti di Tiro e Sidone. Ed ecco una donna cananea, che veniva da quelle regioni...»:

comincia così il Vangelo di questa domenica (Matteo 15,21-28), dominato dalla fede straordinaria di una madre straniera, appartenente alla popolazione indigena dell’area siro-fenicia-palestinese.

Questo territorio nell’antichità era denominato con un termine dalla genesi e dal significato oscuro, Canaan, usato nella Bibbia per evocare una civiltà che proponeva a Israele un sistema religioso alternativo, tutto centrato sulla fecondità come dono divino. Il dio principale, Baal, era infatti visto come la sorgente della fertilità e il suo culto aveva un profilo di stampo sessuale, con rapporti sacri con sacerdotesse e sacerdoti di quella divinità.

La Bibbia, però, cerca di individuare un capostipite per questo popolo e lo delinea in un nipote dell’eroe arcaico Noè, Canaan, appunto. Egli nasce, infatti, da uno dei tre figli di Noè, Cam, ed è coinvolto in una vicenda dai contorni oscuri di taglio simbolico.
È noto che Noè è celebrato come l’artefice della viticoltura ed è rappresentato anche come la prima vittima del vino. Infatti, «si ubriacò e giacque scoperto all’interno della sua tenda. Ora, Cani, padre di Canaan, vide il padre scoperto e raccontò la cosa ai due fratelli, Seni e Iafet, che stavano fuori» (Genesi 9,21-22). Costoro ricompongono il padre scoperto, senza però guardarne la nudità. Rientrato in sé, curiosamente Noè scaglia una maledizione non contro il figlio Cam, ma contro il nipote Canaan:
«Sia maleaetto Canaan! Schiavo degli schiavi sarà dei suoi fratelli!» (9,25).

Ovviamente la Bibbia vuole in questo modo descrivere la sua avversione nei confronti di una cultura religiosa che costituiva una permanente tentazione per un popolo seminomadico o agricolo com’era Israele, legato alla fertilità dei campi e alla fecondità della famiglia e dei greggi.

Si deve spiegare per questa via anche l’oscura colpa di “vedere la nudità” del padre: si tratta di un rimando a una trasgressione sessuale che viene aspramente condannata. In tal modo si bollavano indirettamente quei culti idolatrici cananei che tanto attiravano Israele.

La figura di Canaan riappare poi in una sorta di mappa geopolitica del mondo antico disegnata nel capitolo 10 della Genesi.

Là egli è definito come fratello di Etiopia (Kush), Egitto (Mizraini) e Put (Libia) e come padre degli Ittiti (Chet), dei Gebusei (antichi abitanti di Gerusalemme) e di Sidone, l’area fenicia da cui proveniva appunto la protagonista del Vangelo di questa domenica, oltre che di una serie di altre popolazioni residenti nella Terra Santa.

Canaan è, dunque, un nome detestato e maledetto per gli Ebrei della Bibbia; eppure una delle sue discendenti, quell’anonima madre cananea, prima rigettata dall’ebreo Gesù («Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele»), riceve poi da lui — oltre alla guarigione della figlia — quella lode eccezionale che la rende un modello per tutti i credenti:
«Donna, davvero grande è la tua fede!» (Matteo 15,28).