LA GIORNATA DELL’APOSTOLO PIETRO


Sia la scorsa domenica sia quella che ora celebriamo vedono come protagonista la figura di Pietro, esaltata nella sua missione di “pietra” sicura e stabile, costituita da Cristo per la sua Chiesa, ma anche figura riconosciuta nella sua fragilità di uomo, il quale «non pensa secondo Dio, ma secondo gli uomini», come si dice nell’odierno Vangelo (Matteo 16,21-27).

È impresa impossibile delineare un profilo del primo degli apostoli in poche righe: si pensi che la pura e semplice presenza del suo nome (Pétros in greco per 154 volte, 27 come Simone e 9 con l’arainaico Kefa, “pietra”) è inferiore solo a quella di Gesù Cristo.
Faremo, perciò, solo un bozzetto, usando come simbolo lo scorrere di una giornata.

C’è innanzitutto l’alba della vocazione che ha come fondale quel lago di Tiberiade solcato tante volte in barca in compagnia del fratello Andrea: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini». A quelle parole di Gesù, «essi, lasciate le reti, subito lo seguirono» (Matteo 4,19-20). Iniziava, così, la grande giornata apostolica che avrebbe conosciuto tanti eventi narrati dai Vangeli. Essa ha il suo ideale mezzodì a Cesarea di Filippo di fronte a quella domanda capitale di Cristo: «Ma voi chi dite che io sia?». «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (16,15-16), risponde Pietro.

E subito seguono quelle parole di Gesù che renderanno Simone il primo nella lista dei Dodici: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa...» (Matteo 16,18). Tre sono i simboli applicati all’apostolo in quella pagina che si è letta domenica scorsa. Il primo è quello della pietra-roccia, evocata nel nome stesso Pietro-Kefa e segno di stabilità e sicurezza: l’apostolo rende visibile nella storia la fondazione primaria e divina di Cristo sulla quale poggia la comunità cristiana.

Le “chiavi” sono il secondo simbolo, da noi presentato nella precedente puntata della nostra rubrica come emblema di autorità giuridica ma anche di insegnarnento. Il terzo simbolo è un’immagine di tipo forense, è il “legare e sciogliere”, ossia il rimettere i peccati nel nome del Signore, nia anche l’ammonire, l’esortare, il formare nella fede i fratelli. La vita di Pietro, però, conosce anche la sera e la notte, ossia il tempo della crisi, dell’oscurità, del tradimento. Chi non ricorda il triplice rinnegamento che si consuma nel cortile del palazzo del sommo sacerdote, proprio mentre Gesù è processato? «Cominciò a imprecare e a giurare: Io non conosco quell’uomo!» (Matteo 26,74).

Ma dal baratro di quella notte Pietro emerge non solo con le lacrime del suo pentimento, ma anche con la triplice professione d’amore che l’evangelista Giovanni gli mette in bocca davanti a Cristo risorto, proprio sul litorale di quel lago ove aveva incontrato Gesù per la prima volta: «Signore, tu sai che io ti amo». Ed è così che egli riceve di nuovo in modo solenne il mandato di «pascere gli agnelli» del gregge della Chiesa (Giovanni 21,1 5-19).

In quell’occasione Cristo fa balenare a Pietro anche il suo destino ultimo terreno, quello del martirio, «la morte con la quale egli avrebbe glorificato Dio». E da allora l’apostolo annunzierà al mondo la parola di quel Risorto che egli per primo aveva incontrato all’alba di Pasqua, come ci ricordano Giovanni (20,1-10) e lo stesso Paolo (1corinzi 15,5). Sarà lui a intervenire autorevolmente negli eventi fondamentali della Chiesa delle origini, a partire dalla Pentecoste fino al concilio di Gerusalemme, secondo la narrazione offerta dagli Atti degli Apostoli, la seconda opera lucana che ci riserva — con le due lettere che vanno sotto il nome di Pietro — un’ultima, intensa memoria del suo ministero e della sua parola.