LEVI, IL TERZO FIGLIO DI LIA E GIACOBBE


«Ora a voi questo monito, o sacerdoti... Voi vi siete allontanati dalla retta via e siete stati d’inciampo a molti con il vostro insegnamento; avete rotto l’alleanza di Levi, dice il Signore degli eserciti».

Sono parole dure quelle che il profeta Malachia riserva ai sacerdoti di Israele all’interno del brano che viene letto in questa domenica (1,14; 2,1-2.8-10). Siamo forse nel V secolo a.C. allorché il sacerdote Esdra e il “laico” Neernia cercano di riportare gli Ebrei, rientrati nella terra dei padri dopo l’esilio babilonese, a un maggior rigore nella fede e nel comportamento morale.

Vengono, così, colpiti dal profeta anche i sacerdoti che tradiscono “l’alleanza di Levi”, un’espressione che si trova solo qui per indicare il legame non solo “ereditario”, ma anche spirituale che li vincolava alla tribù sacerdotale per eccellenza, quella di Levi.

Ora, Levi (in ebraico “unito”) era il terzo figlio del patriarca Giacobbe (Genesi 29,34), generato dalla prima moglie Lia. Egli aveva dato il nome a una tribù inizialmente piuttosto forte e bellicosa: l’episodio della strage che essi perpetrano nei confronti degli abitanti di Sichem (Genesi 34) rivela l’impeto del loro atteggiamento, capace di mettere in difficoltà lo stesso Giacobbe, il quale, poco prima di morire, pronunziando una serie di benedizioni-testamento sulle varie tribù, riserva a Levi e alla tribù sorella di Sirneone parole aspre: «...Strurnenti di violenza sono i loro coltelli... Maledetta la loro ira perché violenta, e la loro collera perché crudele» (Genesi 49,5-7).

Successivamente, con l’apparire di Mosè e Aronne che appartengono a questa tribù, Levi acquista i connotati di una comunità sacerdotale. A essa Mosè nelle sue benedizioni-testamento riserva un trattamento glorioso. Ricorda la loro funzione oracolare durante il culto, così da essere in grado di rivelare la volontà divina e ne delinea un ritratto intenso e luminoso: «Essi osservano la tua parola e custodiscono la tua alleanza; insegnano i tuoi decreti a Giacobbe e la tua legge a Israele; pongono l’incenso sotto le tue narici e un sacrificio sul tuo altare. Benedici, Signore, il loro valore e gradisci il lavoro delle loro mani» (Deuteronomio 33,9-11).

Proprio perché essi fossem totalmente dediti al culto e all’annunzio della parola di Dio, i Leviti non ricevettero — Come accadde per le altre tribù durante la ripartizione della terra promessa — una regione di loro proprietà. Essi risiedeva- no in alcune città a loro riservate e vivevano delle decirne e delle offerte erogate dalle altre tribù. L’orante del Salmo 16 (15), che è probabilmente un sacerdote, evoca questa situazione considerandola come un grande beneficio: «Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita. Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi e magnifica è la mia eredità» (vv. 5-6).

Rimangono aperti per gli studiosi vari problemi. Così, ad esempio, si discute ancora sul tempo e sulla modalità secondo cui avvenne il trapasso di Levi da una qualità ‘secolare” e “laica” a una tribù sacerdotale. In epoca successiva si introduce una distinzione tra i Leviti in generale, che sembrano avere incarichi minori nel culto del tempio, e la classe sacerdotale in senso stretto, destinata ad espletare funzioni più alte. Certo è che Gesù Cristo non appartiene alla tribù di Levi, bensì a quella di Giuda e, quindi, non può essere considerato sacerdote secondo la definizione anticotestarnentaria.

È per questo che la Lettera agli Ebrei, attraverso un’ampia e complessa trattazione, riconosce che «il Signore nostro è germogliato da Giuda», tribù «della quale nessuno fu mai addetto all’altare» (7,13-14). È, quindi, per altra via — e non secondo la linea genealogica di Levi — che il sacerdozio di Cristo si configura. Il riferimento sarà, allora, a Melchisedek, un personaggio regale, e sacerdote che viene visto non solo privo di legami ereditari ma anche superiore allo stesso Abramo e quindi anche a Levi, discendente dal patriarca ebreo: fu lui, infatti, a benedire Abramo, rivelando così il suo primato sul padre-antenato di Israele e di Levi (Genesi 14,18-20).