GIOSIA E L’IMMAGINE DEL RE PASTORE


Anche Omero chiamava i re “pastori dei popoli”: è questa un’immagine diffusa in varie culture. L’odierna liturgia che ha al centro la figura gloriosa di Cristo re si apre appunto con un brano di Ezechiele dedicato a Dio pastore, che decide di sostituirsi ai cattivi pastori di Israele (34,11-12.15-17). Effettivamente i sovrani ebrei furono tutt’altro che buoni pastori del loro popolo: la Bibbia ripetutamente bolla le loro infedeltà e ingiustizie.

Tuttavia qualche eccezione c’è e ora ne vorremmo illustrare una, introducendo un breve profilo del re Giosia, sovrano del regno meridionale di Giuda, sotto il cui governo entrò in scena il profeta Geremia, chiamato a quella inissione «nell’anno XIII del regno di Giosia» (1,2), ossia nel 626 a.C.

Giosia — il cui nome è vanamente interpretato come «il Signore dona, produce o guarisce» — era figlio di un pessimo padre, Amon, eliminato nel 639 a.C. da un complotto militare. Così, Giosia salì al trono a soli otto anni e vi rimase per trentuno. La sua fu una politica religiosa di grande rigore spirituale, cercando di cancellare tutte le tracce dei culti pagani che i suoi predecessori avevano tollerato e talora persino sostenuto. Sotto il suo governo avvenne un episodio che è oggetto di diverse interpretazioni da parte degli studiosi. Esso è narrato nel capitolo 22 del secondo Libro dei Re.

Nel 622 a.C., durante alcuni lavori di restauro nel tempio di Gerusalemme, il sommo sacerdote Helkia ritrovò in una delle stanze un “libro della legge” che consegnò al ministro Safan, uno scriba, uomo di cultura, che lo lesse al re. Costui decise di adottarlo come base per un’autentica e profonda riforma religiosa e in questo fu sostenuto, oltre che dal clero, anche da una profetessa, una certa Hulda che era la moglie del guardarobiere reale. È difficile dire se questo ritrovamento sia stato vero e sia stato un modo per avallare solennemente la riforma, come è arduo decidere che cosa fosse esattamente questo “libro della legge”: molti pensano che esso fosse una prima redazione di quel testo che oggi noi chiarniamo Deuteronomio, il quinto dei libri della Bibbia, appartenente appunto alla Torah, ossia alla Legge divina.

Certo è che Giosia poté su questa base eliminare l’idolatria che aveva ormai contaminato ampi strati di Israele, compreso il regno ebraico settentrionale, quello di Samaria, caduto nel 722 a.C. e finito sotto il potere di occupazione dell’Assiria (2Re 23). Si colse anche l'occasione per celebrare una grande festa di Pasqua: «una Pasqua simile non era mai stata celebrata dal tempo dei Giudici, che governarono Israele, ossia per tutto il periodo dei re di Israele e dei re di Giuda» (23,22). Frattanto, però, la situazione politica interiiazionale stava entrando in subbuglio.

A est sorgeva progressivamente l’astro dell’impero neobabilonese che premeva sull’Assiria, la potenza fino a quel momento dominarne nell’area orientale. Il faraone Necao II, che preferiva vedere divisa la superpotenza orientale, sua antagonista, aveva così deciso di sostenere l’Assiria e aveva inviato un’armata d’appoggio. Essa doveva necessariamente attraversare il territorio di Giosia per recarsi verso Ninive, la capitale assira minacciata dai Babilonesi. Il re di Giuda scelse di opporsi, forse perché egli sperava nel crollo dell’Assiria che aveva già piegato il regno fratello ebraico di Samaria.

Così, egli schierò il suo esercito nella fortezza settentrionale di Meghiddo, «ma Necao lo uccise al primo urto. I suoi ufficiali portarono su un carro il re morto da Meghiddo a Gerusalemme e lo seppellirono nel suo sepolcro» (23,29-30). Era l’anno 609 a.C. e si chiudeva in modo tragico la vita ancor giovane (non era neppure quarantenne) di un sovrano religioso e giusto, il cui nome resterà in benedizione. Infatti, come scriveva nel Il secolo a.C. il Siracide, sapiente biblico, «se si eccettuano Davide, Ezechia e Giosia, tutti i re commisero peccati e abbandonarono la legge dell’Altissimo» (49,4).