AGGEO, PROFETA DI FIDUCIA E SPERANZA


Nell’Avvento che ha ora il suo inizio vorremmo lasciare spazio alle figure di alcuni profeti. In questa domenica, facciamo avanzare un personaggio poco noto, Aggeo, un nome che ha nell’originale ebraico un rimando all’idea di “festa”. Assieme a Zaccaria egli è il testimone partecipe e coinvolto della ricostruzione della città santa e del tempio di Sion da parte degli Ebrei reduci dall’esilio babilonese: il Libro di Esdra, che è appunto la narrazione di quegli anni eroici e faticosi, li cita entrambi, Aggeo e Zaccaria, come artefici di una promozione della rinascita di Israele (5,1 e 6,14).

Le coordinate cronologiche deducibili dal libretto di Aggeo, fatto di due soli capitoli, parlano di una predicazione limitata nel tempo, da collocare tra l’agosto e il dicembre deI 520 a.C. Del profeta ignoriamo quasi tutto. Dal suo testo sappiamo innanzitutto che egli si rivolge in modo un po’ fremente ai due capi della comunità dei rimpatriati: il principe Zorobabele, discendente dalla famiglia di Davide, responsabile politico dal nome emblematico, in ebraico “germoglio di Babilonia”, ove era nato, e il sommo sacerdote Giosuè, capo religioso. Entrambi sono stimolati da Aggeo ad accelerare i lavori di riedificazione del tempio, vincendo difficoltà, inerzie ed egoismi: «Vi sembra questo il tempo di abitare tranquilli nelle vostre case ben coperte, mentre la casa del Signore è ancora in rovina?» (1,4).

Zorobabele, Giosuè e il popolo reagiscono assicurando il loro impegno. E, a quanto pare, i lavori riprendono di buona Iena, tant’è vero che il profeta si rivolge di nuovo ai suoi interlocutori esaltando l’opera da essi intrapresa: la gloria di questo secondo tempio — afferma Aggeo (2,1-9) — supererà quella dell’edificio sontuoso eretto da Salomonc e distrutto dai Babilonesi nel 586 a.C, In esso confluirà la ricchezza offerta dai popoli, ossia i contributi dell’impero persiano e quelli degli Ebrei della diaspora. La frase che indica questo atto di munificenza in ebraico suona letteralmeiite così: «Verrà (a Sion) la realtà desiderata (cioè la ricchezza) da parte di tutte le genti» (2,7). Queste parole, però, sono state rilette — a partire dalla traduzione latina di san Girolamo — come un annunzio inessianico e universalistico.

Infatti, si era reso quel passo così: «Verrà Colui che è desiderato da tutte le genti», cioè il Messia, speranza di tutti i popoli. È per questa libera interpretazione che possiamo collocare nell’atmosfera dell’Avvento anche Aggeo, che aprirebbe il suo orizzonte a un’attesa universale di salvezza. Ma il suo libretto prosegue con un’altra informazione storica: Israele sta, infatti, attraversando difficoltà di tipo agrario. Allora egli interpreta questo evento secondo un’altra finalità che gli è cara: è necessario riportare nel tempio di Gerusalemme un culto corretto, soprattutto per quanto riguarda i sacrifici. Se si osserveranno le norme rituali con rigore, senza egoismi o interessi privati, il Signore benedirà il popolo assicurandogli benessere e prosperità agricola (2,10-19).

Le ultime parole di Aggeo sembrano ritornare all’atmosfera messianica. Egli si rivolge al citato principe Zorobabele e lo esalta con lineamenti gloriosi: «Io ti prenderò, Zorobabele mio servo — dice il Signore — e ti porrò come un sigillo, perché io ti ho eletto» (2,23). Costui era, infatti, un discendente davidico e, al di là delle speranze meramente politiche riposte in lui, c’era forse anche l’attesa sottile che in lui si potesse concentrare la missione del re-messia.

Comunque sia, Aggeo col suo breve scritto, composto in un linguaggio letterariamente non eccelso, rimane per noi come la testimonianza di una voce che voleva essere di sprone e di stimolo a una comunità che correva il rischio dello scoraggiamento di fronte alle difficoltà concrete, alla povertà dei mezzi e alla modestia a cui Israele si era ormai ridotto. Compito dei profeti è, infatti, quello di tenere alta la fiaccola della fiducia e della speranza.