NATAN, COSCIENZA CRITICA DI DAVIDE


Il protagonista della prima lettura della quarta domenica di Avvento è il profeta Natan (in ebraico: “Dio ha donato’; la forma completa sarebbe “Natanaele”), un personaggio della corte di Davide. La sua entrata in scena è appunto nel capitolo 7 del secondo Libro di Samuele: il re lo convoca per esprirnergli il suo desiderio di erigere nella capitale appena conquistata, Gerusalenìine, un tempio al Signore così da avere accanto a sé la protezione e l’avallo divino.

Come accade ai cappellani di corte, Natan si schiera subito dalla parte del suo sovrano. Ma ecco, all’improvviso, la sorpresa: egli è pur sempre un profeta e quindi dipende in modo ultimo dal Signore, il quale nega la sua autorizzazione. In una visione notturna, Dio dichiara di non volere per sé una casa materiale. Sarà lui a dare una casa vivente a Davide, ossia un casato nel quale anche il Signore si renderà presente con la sua parola e la sua opera e col suo Messia. In pratica, Dio allo spazio preferisce il tempo che è la realtà più “umana”, più intima alla nostra qualità di creature mortali. In ebraico è possibile un gioco di significati attorno alla stessa parola: bajit, in fatti, significa sia “casa, palazzo, tempio” sia “casato, discendenza”.

Come è noto, sarà poi il figlio di Davide, Salomone, a erigere il tenipio di Sion. In verità, il primo tempio rimarrà quello della “carne” degli uomini, cioè la dinastia davidica: si ha, così, un’anticipazione del tema cristiano dell’Incarnazione.

C’è, però, un’altra occasione in cui Natan si presenta davanti al re e anche in questo caso deve superare tutte le reticenze e le adulazioni che i potenti impongono direttamente o implicitamente ai loro sudditi. Davide si è da poco impossessato della moglie di un suo ufficiale, Betsabea, che ha messo incinta, e ha fatto eliminare con uno stratagenima il marito di lei Uria. Nel silenzio complice di tutti, l’unico che ha il coraggio di pun tare l’indice contro il re adultero e assassino è proprio Natan. Egli lo fa ricorrendo a una parabola che coinvolge inconsapevolniente Davide.

In una città un ricco proprietario di bestiame sottrae con la prepotenza a un povero l’unica pecorella tanto amata per poterla offrire in pasto a un ospite. Davide, credendosi di fronte a un caso reale, reagisce con sdegno pronunziando umia sentenza durissima. È a questo punto che Natan gli grida: «Sei tu quell’uomo!». Egli elenca i delitti commessi, costringendo così il re a confessare: «Ho peccato contro il Signore!». E Natan: «Il Signore ha perdonato il tuo peccato; tu non morirai. Ma, poiché in questa cosa hai insultato il Signore, il figlio che ti è nato morirà» (si legga l’intero capitolo 12 del secondo Libro di Samuele).

Natan appare nella Bibbia un’ultima volta alle soglie della morte di Davide. Qui vediamo ripresentarsi il volto dell’uomo di corte. Egli, infatti, opera dietro le quinte in un periodo delicatissimo, quello della succes sione al trono, durante il quale si stanno fronteggiando due figli di Davide, Adonia e Salomone. Natan, senza che ci sia cenno nella Bibbia a visioni e oracoli divini (quindi si tratta di un suo progetto politico), manovra in modo tale che Davide ormai debilitato designi come suo successore proprio il secondo figlio (dopo quello morto a cui sopra si accennava) avuto dall’amata Betsabea, ossia Salomone.

Si legga, al riguardo, il tormentato capitolo I del primo Libro dei Re. Sarà questa l’ultima azione pubblica di Natan, cappellano di corte ma anche profeta del Signore.