IL “PECCATO”

Sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati. (Marco 2,10)



Che questo sia uno dei temi capitali non solo della Bibbia ma di tutte le religioni appare anche dal semplice fatto che ricca è la gamma di vocaboli adottati per definire il peccato. Lo stesso ebraico-biblico, che è una lingua povera fatta di soli 5.750 vocaboli, usa uno spettro variegato di termini nei quali dominano le par&e che descrivono il peccato come un ‘deviare” dalla giusta via o come un “fallire il bersaglio”: è per questo che la conversione è un “ritornare” (shùb in ebraico). Il rilievo di questo tema, che non potrà certo essere dimostrato in poche righe, emerge anche dal fatto che la Bibbia si apre proprio su una scena di peccato (Genesi 2-3).

L’uomo, che è stato concepito da Dio in armonia con sé stesso, col prossimo e con la natura, si illude di costruire una morale alternativa che lo isola da Dio, lo mette in lotta col prossimo, gli rende ostile il creato. È quello che è definito come peccato originale, cioè posto alla radice del nostro essere uomini e donne, simbolicamente raffigurato nell’afferrare il frutto dell’»calbero della conoscenza del bene e del male», ossia nella pretesa di sottrarre a Dio la definizione di ciò che è bene e di ciò che è male. La sorgente del peccato, reso possibile dalla libertà umana, è nella superbia dell’uomo che vuole essere “come Dio, conoscitore del bene e del male”.

Il peccato dilaga nella storia e la Bibbia lo presenta nelle sue molteplici forme e vergogne, puntando l’indice soprattutto sull’idolatria e sull’ingiustizia, cioè sulla perversione delle due relazioni con Dio e col proprio simile. Si giunge, così, alla scelta di Dio di inviare suo Figlio «in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato, per condannare il peccato nella carne» (Romani 8,3). Ma questo ingresso non è solo per il giudizio sul male. «Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito... Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui» (Giovanni3,l 6-1 7).


La riflessione più ampia e sistematica sul peccato e sulla redenzione ci è offerta da san Paolo. L’uomo è radicato nella “carne” che per l’Apostolo non è solo la nostra fragilità creaturale ma la nostra peccaminosità, legata a una libertà ferita. Invano cerchiamo di sollevarci da questo gorgo oscuro attraverso le opere della legge: siamo come uno sventurato che dalle sabbie mobili cerca di sollevarsi alzando le braccia verso l’alto. È necessario che Dio stenda la sua mano e ci liberi: è questa la “grazia” che ci libera dal fango del peccato e ci conduce alla “giustizia”. Perché questo accada, dobbiamo aprirci a Dio attraverso la fede, lasciando che egli ci sottragga dall’abisso del peccato.

Cristo, divenendo uomo, si fa solidale con noi, ponendosi dalla parte dei peccatori; ma con la sua divinità egli ci strappa dal male e ci rende creature nuove, animate dallo Spirito di Dio. Il battesimo è appunto questo atto d’amore divino: l’uomo «vecchio peccatore muore nel sepolcro d’acqua con Cristo morto e ne risorge con lui come “figlio adottivo”». «Cristo ha dato, infatti, sé stesso per i nostri peccati per strapparci da questo mondo perverso, secondo la volontà di Dio e Padre nostro» (Galati 1,4).



LE PAROLE PER CAPIRE

BESTEMMIA - In pratica essa era ignota nella forma in vigore da noi ma consisteva piuttosto nell’arrogarsi una qualità propria di Dio. Il «nominare il nome di Dio invano» del Decalogo è, infatti, una condanna dell’idolatria, essendo l’idolo una “cosa vana”. La «bestemmia contro lo Spirito Santo» (Marco 3,29) è il rifiuto cosciente della verità conosciuta come tale, è il rigetto consapevole della parola e dell’opera di Cristo, pur sapendola vera e santa.

IPOCRISIA - È la religiosità esteriore usata come copertura per nascondere i propri interessi e per celare i vizi segreti. Gesù è inesorabile contro questo uso scorretto e corrotto della religione, individuato nel comportamento di scribi e farisei.