IL “SACRIFICIO”

Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco e offrilo in olocausto... Stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. (Genesi 22,2-10)



In tutte le religioni il sacrificio è una componente fondamentale del culto, pur nella diversità dei rituali. La vittima animale o l’offerta vegetale incarna lo stesso fedele che offre sé stesso alla divinità, così da stabilire con essa un vincolo di comunione. Nell’Antico Testamento si ha una gamma molteplice di sacrifici, descritti minuziosamente nella loro celebrazione liturgica. Il più solenne è l’”olocausto” che, come suggerisce la parola di origine greca, suppone la totale combustione della vittima sacrificale, che in tal modo ascende a Dio (in ebraico il rito è detto ‘olah, “ciò che sale” verso il cielo), il quale ne «odora la soave fragranza» (Genesi 8,21), cioè lo accoglie con favore.

Un altro rito sacrificale significativo è quello detto “di comunione” che comprende un pasto sacro: la parte migliore della vittima è bruciata e parzialmente riservata ai sacerdoti (e, quindi, implicitamente a Dio), il resto è consumato dai fedeli nel recinto del tempio. Attraverso questo banchetto sacro, a cui idealmente partecipa Dio, si stabilisce un legame di comunione e di intimità. Non mancano poi sacrifici per il peccato attraverso i quali si espiano colpe di diversa gravità, e in Israele si conserva anche il ricordo del sacrificio del primogenito, in uso nell’antico Vicino Oriente, ma condannato dalla Bibbia che lo sostituisce con un rito alternati- vo: si pensi al sacrificio di Isacco (Genesi 22) o al riscatto dei primogeniti ebrei (Esodo 13,11-16; Luca 2,22-24).

Una svolta nell’interpretazione del sacrificio è impressa dai profeti. Essi non negano il culto sacrificale, ma esigono che esso non si riduca a mero ritualismo senza incidere nell’esistenza del fedele che lo compie. Il loro appello è apparentemente severo e negativo: «Misericordia io voglio e non sacrificio, dice il Signore» (Osea 6,6); «anche se voi mi offrite olocausti, io non gradisco i vostri doni, e le vittime grasse di pacificazione io non le guardo» (Amos 5,22). In realtà, per la profezia rito e vita, culto e giustizia, sacrificio e coerenza nella vita morale devono intrecciarsi tra loro; altrimenti la liturgia diventa magia o alibi sacrale per assolvere una coscienza impura e un comportamento illecito.

Cristo, che pure partecipa alla vita cultuale del tempio di Sion, si colloca nella stessa linea dei profeti, come attesta il suo gesto veemente di purificazione del tempio dai mercanti o la sua polemica nei confronti delle osservanze esteriori del giudaismo del suo tempo. Alla fine egli offrirà sé stesso come vittima sacrificale e questo atto sarà ampiamente meditato e approfondito dalla Lettera agli Ebrei. Sulla scia di Gesù, immolato come vittima di espiazione per i peccati del mondo, si porrà anche il culto cristiano che avrà come suo unico rito “sacrificale” e “di comunione” l’Eucaristia e che si svilupperà secondo il monito di san Paolo: «Offrite i vostri corpi (cioè la vostra esistenza) come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» (Romani 12,1). Sono questi «i sacrifici spirituali graditi a Dio» (1 Pietro 2,5).



LE PAROLE PER CAPIRE

MONTE - Come in tutte le culture, anche nella Bibbia è un simbolo della trascendenza a causa della sua verticalità che lo collega al cielo. Il Sinai, Sion e il Golgota sono tra i più celebri dei molti monti che popolano la Bibbia e che sono carichi di risonanze legate alla storia ebraica e cristiana.

ALTURE - Con questo vocabolo (in ebraico bamòfl si indicano i luoghi elevati ove sorgevano i templi idolatrici dei Cananei, gli indigeni della Palestina. La Bibbia condanna questi culti che si svolgevano su colline e tra alberi sacri, perché riducevano la divinità alla fecondità umana e naturale e alla fertilità agraria.